di Giulia Ravera

Con efficace scelta editoriale – non importa se dettata da criteri estetici – il sottotitolo esplicativo, in copertina, non compare. E lascia così agli “Scritti” tutta la geniale ambiguità dell’essere “galeotti”.

L’ampia panoramica di Daria Galateria si sviluppa, infatti, tra i due poli della galera e dell’opportunità di esprimersi. In catene, quarantatré narratori scoprono la libertà di scrivere e in alcuni casi l’identità stessa di autori. In catene, gustano l’agio e l’ispirazione di raccontare, avvantaggiandosi del tempo che scorre lento, della solitudine, dell’assenza di impegni. Ne beneficiano la creatività e la concentrazione (e a volte anche la salute fisica, come per i reumatismi di P. G. Wodehouse). Ma nelle loro catene, anche per il lettore si svela un’occasione: il libro è davvero “galeotto”, perché come il Galehaut che favorì l’incontro tra Ginevra e Lancillotto pone le premesse di nuove curiosità, ricerche, letture.

La misura del discorso, che si mantiene in perfetto equilibrio tra quadro storico, dettaglio biografico e spunto critico-letterario, corrisponde puntualmente allo scopo dell’autrice e ai bisogni del lettore. Vengono fornite tutte le informazioni necessarie a cogliere il carattere di ciascun personaggio e l’effetto della carcerazione sul suo percorso esistenziale ed intellettuale, quanto basta a sostenere la tesi secondo cui in alcuni casi particolari la detenzione giova alla scrittura (e l’argomentazione procede per lo più senza intoppi). È il giusto grado di orientamento per non perdersi, ma con tutti i vantaggi di una sintesi che invoglia a continuare il cammino e di una laconicità che spinge all’approfondimento. Il “detto” è appagante, il “non detto” è accattivante, cosicché un capitolo breve e brillante motiva un nuovo percorso di scoperta e lettura. Un contributo notevole, soprattutto nel tempo presente.

Quando poi un’efficace brevità si sposa ad una calibrata varietà, l’effetto è ancor più piacevole. Nell’arco di circa trecento anni ed altrettante pagine, facciamo capolino in luoghi e tempi molto distanti, dalla Francia prerivoluzionaria all’Inghilterra vittoriana, dagli Stati Uniti di primo Novecento all’Italia futurista, dall’Europa della Seconda guerra mondiale ai cambiamenti del dopoguerra, con numerose tappe intermedie. Incontriamo i personaggi più disparati, da de Sade a Dostoevskij, da Settembrini a Verlaine, da Pound a un giovanissimo Truffaut. Poco importa che siano accostati nomi celeberrimi (Diderot, Stevenson, Wilde, Fitzgerald, Solženicyn…) e meno noti (Michel, Himes, Berto, Semprùn, Hamsun…) sino all’attualità di Sofri. Conta ben di più il mutare delle motivazioni, delle colpe vere e presunte, dei mezzi con cui sono perpetrate, dei luoghi della pena, degli stati d’animo e delle percezioni sociali. Certo, la vastità del panorama offre all’autrice lo spazio per sfruttare un’invidiabile preparazione, che alla lettura si offre gradevole, vivace, mai pedante.

Chiave di volta e vera costante della narrazione è la sua leggerezza, spesso ironica. Questa cifra, comunque, non impedisce di percepire la differenza tra carcerazioni che hanno segnato la vita (e la morte) del condannato e brevi prigionie, che a posteriori assumono facilmente il tono dello scherzo. Né al centro della questione è mai posta la colpa in sé o un suo giudizio morale; non importa realmente che il protagonista sia colpevole o innocente, benché questi elementi siano di volta in volta chiariti. Sotto i riflettori è sempre il punto di vista dello scrittore, le sue sensazioni e le conseguenze che sa trarre dai rivolgimenti della sua vita. Con qualche piccola e gustosa nota paradossale.

L’intonazione lieve e spesso giocosa è dunque un ingrediente essenziale per la godibilità di queste pagine, ma anche per l’efficacia con cui l’idea di fondo coglie nel segno: più della serietà del carcere, la festosa eruzione della scrittura. E se a prima vista quella leggerezza può non suggerire la riflessione, per il lettore autonomo ve n’è piena ragione, soprattutto se pensa al proprio tempo. Quali sono le catene degli scrittori, oggi? E quali i loro spazi di libertà e creatività? Oltre al carcere, s’intende.

D. Galateria, Scritti galeotti, Palermo, Sellerio, 2012, pp. 320, € 14.