Michael-Nymandi Davide Zanini

Uno splendido teatro sette-ottocentesco solitamente destinato all’opera e al balletto; sul palco, uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia minimalista; uno spettacolo multimediale, con proiezioni video e concerto per piano solo. Premesse che, teoricamente, dovrebbero suscitare qualche timore reverenziale in chi, come il sottoscritto, non è frequentatore assiduo e abituale di tali territori.

I termini della questione cambiano però in partenza se a esibirsi è Michael Nyman.

Compositore, direttore d’orchestra, pianista, musicologo, più recentemente fotografo e regista, Nyman non può certo essere presentato come un algido e ostico autore riservato all’ascolto di pochi “eletti”. Nella sua ormai lunga carriera ha scritto opere, concerti e quartetti d’archi che, è vero, non possono certo dirsi all’insegna dell’easy listening; così come è innegabile la sua appartenenza al Minimalismo (termine che, nelle vesti di critico musicale, fu tra i primi a usare nel lontano 1969), non propriamente il genere più popolare del mondo (di cui è uno dei massimi rappresentanti insieme a Philip Glass, Terry Riley e Steve Reich). Nyman riesce però a sfondare gli steccati della “musica colta”, e a imporsi presso un pubblico tutt’altro che ristretto, soprattutto grazie a un particolare ambito del suo lavoro, quello di compositore di colonne sonore; tra le moltissime che ha realizzato, vanno ricordate quelle per tanti film di Peter Greenaway (regista con cui aveva instaurato una proficua collaborazione negli anni ’70 e ’80) e quella di The Piano (Lezioni di piano, 1993) di Jane Campion, a oggi il maggior successo di Nyman con oltre tre milioni di copie vendute.

Lo spettacolo (Cine Opera) che l’autore inglese porta al Teatro Grande di Brescia si basa proprio su questo settore della sua produzione: alcuni brani di sue opere per il cinema, da lui suonati al pianoforte, accompagnano la proiezione di video, non però tratti dai film stessi, ma da lui realizzati in giro per il mondo negli ultimi quindici anni.

Le eventuali e residue soggezioni scompaiono quando Nyman inizia a suonare. Intendiamoci: non stiamo parlando di un virtuoso del piano e, a mio parere, sarebbe del tutto errato giudicarlo negativamente (entusiasmandosi magari per altri suoi semplici Allevi … pardon, allievi) per un’esecuzione non sempre pulitissima e la completa assenza di frizzi e lazzi allo strumento: Nyman di mestiere fa il compositore e con il suo pianoforte riesce a veicolare, con semplicità e senza strafare, l’essenza e la carica emotiva delle opere che propone.

Il concerto inizia con tre brani tratti da Wonderland (1999), “Franklyn”, “Debbie” e “Jack” (quest’ultimo accompagnato dal video, prescindibile, “Berlin lobbysts”), che esaltano il versante più dolce e lirico della musica di Nyman. Seguono tre pezzi da Gattaca (1997), “The morrow”, “Becoming Jerome” e “The departure”: spogliati del pathos orchestrale delle loro versioni originali, acquistano una veste emozionante e malinconica, decisamente amplificata dalla proiezione di “Slow walkers” (video incentrato su fragili e incerte camminate di anziani). Senza abbinamento a filmati sono invece le esecuzioni di “Why” e “If” (da The diary of Anne Frank, 1995), in originale vere e proprie canzoni (“le uniche vere canzoni che ho scritto per il cinema”) che, anche senza canto, non perdono qui la loro presa “pop”. Tra l’una e l’altra vengono suonate “Diary of Love” (da The end of the affair, 1999) e “The mistress” (da The Libertine, 2004); i video che le accompagnano sono rispettivamente “Love train” (un romantico avvicinarsi e allontanarsi tra…ammortizzatori di un treno!) e “Privado” (semplice ma suggestiva inquadratura di una ragazzina sudamericana, che si rivela alla fine essere ripresa attraverso il riflesso in uno specchio). Nonostante il trascurabile filmato (“History of cinema – Part 67”, semplicemente una passeggiata sul lungomare di Cannes), il climax del concerto viene raggiunto, inevitabilmente, con i tre brani tratti da The Piano (1993), “Big my secret”, “Silver fingered fling” e “The Heart asks pleasure first”, tra le cose più belle e intense che Nyman (e non solo lui, questo è certo) abbia mai scritto.

La prima parte dello spettacolo si conclude qui. Il bilancio è senza dubbio positivo per quanto riguarda la componente musicale, mentre non eccessivamente esaltante per quanto riguarda la parte visuale; il problema non è tanto quello di associare a colonne sonore di film nuovi e diversi video (cosa che Nyman aveva ben chiara anche prima di dar vita a questo progetto, dichiarando che “se si legano immagini diverse alla mia musica, penso che vada tutto bene. Nella mia mente le mie composizioni sono connesse a sensazioni ed emozioni che ho vissuto precedentemente”), quanto la rilevanza dei video stessi, in sé non disprezzabili ma certo non all’altezza delle aspettative create dai proclami roboanti con cui erano stati presentati nei programmi della serata (“Tentativi di catturare le culture esistenti e le tradizioni dimenticate in un format che esemplifica uno studio cronistico della vita quotidiana moderna”, o ancora “Studio approfondito dei nostri tempi complessi per riflettere sulla condizione umana in questo inizio di secolo”). Così quello che avviene è di fatto un’inversione nel ruolo delle parti che costituiscono lo spettacolo: sono in realtà i video ad accompagnare le splendide musiche; non viceversa.

L’ultimo atto della serata (anche se poi seguiranno un paio di bis) propone qualcosa di diverso:  sullo schermo si proietta per intero (25 minuti) il cortometraggio À propos de Nice (1930), documentario di Jean Vigo, cui Nyman provvede a fornire un vero e proprio commento sonoro, mettendo in atto la sonorizzazione “in diretta” di un film muto: per la qualità della pellicola di Vigo e la capacità di Nyman di coglierne toni e umori, il risultato è davvero eccellente.

723_img_s_nayman_2sTermina così un concerto sicuramente riuscito e positivo del compositore londinese, cui il pubblico tributa il proprio sentito omaggio con un lunghissimo e meritato applauso finale; ulteriore conferma di come, indipendentemente da etichette e generi, quando ci sono passione e qualità la musica non conosce ostacoli e barriere.

Teatro Grande di Brescia, 5 dicembre 2012