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 Quando Lucio Lucetta di Cosimo Lucetta non è alle prese con i conti da pagare o con le nostalgie di amori giovanili andati a male davanti a un beverone a tasso alcolico non certificabile, pensa a sua madre, a quel giorno in cui lo ha messo al mondo e si è fatta fotografare nella nobile posa di chi non si abbassa a portare vestaglia e ciabatte nemmeno nelle circostanze più estreme, sfoggiando una decorosa permanente con bigodini nonostante il travaglio già abbondantemente avviato. Era bella, sua madre, nell’abitino blu con le maniche larghe ai polsi e un corpetto drappeggiato, consono alle pratiche frequenti dell’allattamento, il giorno in cui aveva preso quella decisione d’accordo con il marito Cosimo, che ad ogni buon conto è un impiegato di banca rispettato da molti compaesani, colpiti in particolare dalla perizia con cui l’uomo lucida ogni domenica la carrozzeria dell’automobile bianca e scintillante come una vela spiegata al vento nelle mattine di sole: a pochi minuti dallo scatenamento delle doglie che la signora Elvira aveva affrontato ben ferma nella sua dignità di donna accuratamente cotonata, i coniugi Lucetta deliberavano unanimemente di dare al loro primo ed unico figlio il nome Lucio. Il destino di Lucio Lucetta di Cosimo Lucetta era segnato per sempre: la scuola per l’avviamento professionale, le prime sigarette di marijuana all’ora dell’intervallo nella mano destra e nella mano sinistra i panini con salsiccia e provolone preparati dalla madre, e poi fiumi e fiumi di birre serali prima che scattasse in tutto il territorio regionale e nazionale la moda dei beveroni con formula ignota a base di Negramaro, spacciati di sottobanco al Bar Centrale da Rizzo Amato Rocco di Marcello, detto l’Enolitòre.

   Nelle sere d’estate, quando dal porto di Gallipoli vecchia escono le lampare e si dispongono in file ordinate prima di occupare un posto confacente alle necessità della pesca notturna, punteggiando di luci dondolanti il nero della notte e il violetto del mare, seduto nell’angolo Sud-Ovest della Piazza Camine a Melendugno, Lucio beve e beve, e i liquidi cominciano a diffondersi per osmosi dall’interno verso l’esterno del suo corpo: in larghe gocce stillanti dalla fronte verso il collo arrossato dalla calura, in pozze dai bordi irregolari nei golfi più remoti della maglietta blu, in forma d’onda tormentata dalla risacca, fra lo stomaco e la cintura dei calzoni, mentre sullo schermo al plasma del televisore scorrono le immagini del Tour de France, e la mente ritorna inconsapevole agli anni della scuola, quando la mattina si mangiavano i panini con provolone e salsiccia, fumando marijuana, e la sera si inseguiva la Titìna fino all’ultimo campo da bocce, sul mare, anche se i tornei d’agosto erano ormai finiti, e nell’aria vorticavano ancora mulinelli tiepidi di scirocco che le scompigliavano i capelli rimasti fuori dall’intrico delle trecce.

PicsPlay_1357224882472Nunzia Palmieri