Vengo ora a raccontare di quando Peppo, il cucciolo di razza spezzer della famiglia De Cumis, ha preso l’abitudine di fumare. Devo premettere che la Fedra De Cumis, madre di Leopoldo, aveva preso l’abitudine del cigarillo postprandiale dopo il suo primo viaggio nei Caraibi, nella primavera del lontano 1979. Aveva trascorso un lungo inverno alla George Mason University of Commonwealth, in Virginia, uno dei pochi stati dell’unione in cui le rivolte studentesche erano passate senza lasciare tracce visibili nei campus, dove si affrontavano ormai solo i drammi delle basse temperature durante gli acquisti natalizi portando sulla testa altissimi copricapo in lana cotta, modellati in forma di corna variamente ispirate al prototipo originario delle Renne di Santa Klaus, con i campanellini al sommo, le luci intermittenti e tutto il resto. Una volta ottenuta la specializzazione in “Linguistica comparata” con una tesi di PHD dal titolo La diglossìa nel cane, la Fedra era stata inviata, su consiglio del relatore, a far la cameriera in un Motel di Jacksonville gestito da esuli cubani, per raccogliere materiali supplementari – così recitava la lettera di accompagnamento della domanda in carta semplice firmata dal docente proponente – e trovare nuove ispirazioni per le sue ricerche. Ecco spiegata l’origine dell’abitudine che la Fedra aveva preso di fumarsi un cigarillo dopo pranzo, uno all’ora del tè e uno durante la digestione serale, nelle riunioni di amici che si tenevano di tanto in tanto alla villa di Porto Selvaggio o nelle lunghe ore d’inverno passate sul divano, davanti alla tv. Era un’usanza che la Fedra De Cumis, la quale da nubile faceva Carrozzella, aveva mantenuto anche dopo la nascita del suo primo figlio, il Leopoldo suddetto, avendo affidato il pargolo, immediatamente dopo il parto avvenuto in casa, alle cure dell’Agatuccia, domestica di fiducia e donna di casa tuttofare, ostetrica diplomata, capo giardiniera, telefonista, cuoca, lava pentole, addestratrice di cani e nourse. Ma non sempre la Fedra, che aveva amiche parlantolàte in ogni angolo dell’universo, riusciva a portare il rito del cigarillo fino in fondo, richiamata ad altre faccende da uno squillo di cellulare o da un gorgogliamento di segnali skype. Dopo le conversazioni interminabili che abbracciavano gli argomenti più diversi sviscerati in ogni minimo dettaglio, spesso si accasciava su una sedia, dimentica di tutto, con un fischio all’orecchio che non le dava tregua e che si accentuava con il tempo, nonostante l’uso raccomandato dell’auricolare. Ma poteva viceversa capitare che la Fedra, tentando di obliare le disgrazie dei collegamenti mancati in chat, andasse in cerca dell’avanzo di cigarillo lasciato a consumarsi in qualche pezzo raro del servizio Wedgwood, salvatosi miracolosamente dalla strage di porcellane antiche perpetrata dal Peppo. Ora si dava il fatto che spesso e volentieri il cigarillo in questione non fosse più al suo posto. Si chiamava subito l’Agatuccia, pronta a discolparsi con alibi di ferro, poi si ascoltavano a uno a uno tutti gli altri abitanti della casa, che a dire il vero erano piuttosto numerosi. L’unico a non essere indiziato era il Leopoldo, per via della sua tenera età, ma essendo le ricerche rimaste a lungo senza esito, si cominciò a sospettare anche di lui, che all’epoca poteva avere sei anni o poco più. Quei sigari, già lo sapete, se li fumava tutti Peppo, nascosto in un angolo remoto del giardino all’ombra del ficus macrophylla, prima che venisse l’epoca delle racchette da tennis abbandonate dal Leopoldo in amore. Se li fumava tutti fino alla fine, e di gusto, pensando che in fondo in fondo a lui non importava niente di quei due idioti di maltesi venerati dalla De Cumis, scherzi della natura dal pelo lungo come la spazzola di un lavaggio automatico per automobili, zerbini claudicanti che rischiavano di slogarsi un’anca quando gli passavano davanti con quella loro camminata obliqua, alzando una gamba all’unisono, neanche fossero le gemelle Kessler.