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di Liea

In scena fino al 29 giugno all’Elfo Puccini Shopping & Fucking: uno spettacolo forte ma trattato con eleganza dall’abile mano registica di Ferdinando Bruni.
«È una specie di satira di un mondo e di un sistema morale vuoto, dove tutto è visto in termini di consumo. I personaggi sono alla ricerca disperata di nuovi valori, ma non ce la fanno».

Basterebbe questa breve citazione da un intervista che Mark Ravenhill lasciò all’Indipendent nel ’96 per riassumere la matrice fondamentale di questo testo portato in scena quello stesso anno. Ma ciò che lo rende ancora più attraente in questa occasione sono la sensibilità e l’intuizione registica geniali di Ferdinando Bruni: in un grande open-space che, grazie alla luce e a pochi oggetti caratterizzanti, si trasforma di volta in volta in piccoli luoghi asfissianti (salottini prova, uffici, camere in disordine) si avvicendano personaggi che trascinano le loro vite incapaci di uscire definitivamente da dipendenze e debolezze, soprattutto sentimentali.

Quasi con uno stratagemma da straniamento brechtiano, ogni scena è segnalata dagli attori stessi che scrivono su una gigante lavagna il luogo in cui ci troviamo. A potenziare i passaggi da un “quadro” all’altro, rumori e schiamazzi tipici dei talk-show e delle televendite che segnalano l’onnipresenza invisibile ma tirannica della televisione, strumento che viene chiaramente considerato come uno dei maggiori responsabili delle “vite a perdere” dei protagonisti: Lulu e Robbie – interpretati da degli incredibili Camilla Semino Favro e Alessandro Rugnone – sono una coppia di giovani tossici che vivono in totale dipendenza di Mark, uomo maturo anagraficamente ma non certo dal punto di vista sentimentale (anche per questo personaggio, impeccabile la bravura di Vincenzo Giordano).

Ma la loro più grande dipendenza non è la droga, ma il bisogno di affetto che cercano spasmodicamente e patologicamente negli altri: è un continuo gioco di rapporti di vittima e carnefice, di cacciatore e preda. E tra la ricerca del sesso e la ricerca della droga, le loro storie si incrociano con Brian – un cinico datore di lavoro interpretato dal grande Bruni, sempre in ottima forma sulla scena – e Gary, ovvero un bravissimo Gabriele Portoghese, abilissimo nell’interpretare, senza cadere nella caricatura, un minorenne che nonostante la sua tenera età ha tanti problemi da risolvere, soprattutto con se stesso.

Detta così sembrerebbe una pièce superficiale, offensiva, urtante (c’è sempre qualche spettatore che esce a metà spettacolo!) ma per chi riesce a cogliere il senso profondo del disagio di questi personaggi, è possibile anche avvertire uno strato di sottile poesia: ogni personaggio vive situazioni estreme e pericolose perché alla ricerca di surrogati di felicità e d’amore, per poi comprendere come invece la vita reale non sia altro che commercio, soldi, transazioni. Ci sono scene fortissime, scioccanti, in cui risalta la capacità del regista di far emergere l’umanità e la debolezza di questi esseri umani che non riescono a evitare che la logica capitalistica pervada anche la loro vita sentimentale: ti uso, ti consumo, soddisfo il mio piacere dunque sono.
E quando ho finito con te sarà il turno di un altro essere umano-prodotto del mio piacere.

Come ha affermato Bruni: se il marchese De Sade e Marx si fossero trovati avrebbero scritto questo testo a quattro mani.