valchirie

di Anna Girardi

Al Teatro alla Scala continua la densa settimana dedicata a Wagner. Dopo Das Rheingold, preludio e antefatto di tutto il ciclo, ecco la prima giornata: Die Walküre, andata in scena martedì 17 giugno davanti ad un teatro colmo di spettatori (sarà replicata martedì 25 giugno).

 La vicenda narra del dissidio interiore di Wotan (René Pape), che deve obbedire alla richiesta di Fricka (Ekaterina Gubanova), regina degli dei e protettrice del vincolo nunziale, anche se in cuor suo desidererebbe agire in altro modo: essa infatti, indignata dall’amore incestuoso che ha coinvolto i due figli di Wotan (con una donna mortale), Sigmund (Simon O’Neill) e Sieglinde (Waltraud Meier), ne reclama l’immediata punizione. Sarà Brünnhilde (Iréne Theorin), figlia prediletta di Wotan e una delle Valchirie, che, conoscendo lo sconforto del padre per la sorte che deve toccare a Sigmund, tenterà di assecondarne i desideri e la volontà nascosta. La punizione per aver disubbidito agli ordini del dio (nonostante la valchiria abbia agito mossa dall’amore nei suoi confronti) è però tremenda: essa sarà addormentata su una rupe, preda del primo uomo che la sveglierà dal sonno. Solo ad una richiesta il dio cede: Brünnhilde lo supplica di esser protetta almeno da un cerchio di fuoco in modo che solo un cavaliere valoroso possa conquistarla. E così l’opera si conclude con Wotan che dopo aver addormentato la figlia con un bacio sugli occhi (uno dei momenti più dolci della Tetralogia), chiama nuovamente Loge – già incontrato nell’Oro del Reno – affinché circondi la rupe con il fuoco.

La scena continua sui toni tendenzialmente scuri che abbiamo già visto in Das Rheingold e diverse idee ritornano a sottolineare un continuum anche a livello registico: ad esempio ricompaiono i fili rossi a rappresentare la morte; le scene sono indissolubilmente legate da oggetti e materiali comuni quali il pannello scomponibile in fibra di vetro sullo sfondo o le mattonelle che formano il pavimento del palcoscenico che, a seconda delle necessità si alzano o abbassano.

Una qualità dell’intero allestimento è l’estrema coerenza tra le quattro opere.

Continua il connubio tra teatro e tecnologia e le diverse proiezioni ottengono l’effetto di rendere le emozioni più profonde relazionando arte, politica e potere. «Sia chiaro però» sottolinea Enrico Bagnoli, scenografo e light designer, «che le proiezioni non devono essere ridondanti, non devono potenziare un concetto ma piuttosto introdurne un altro che si vada a intrecciare col materiale già presente»; vengono proposti dunque ulteriori stimoli oltre a quelli wagneriani ed è facoltà di chi guarda e ascolta captarli e spiegarli secondo la propria esperienza e la propria conoscenza. Allo spettatore è richiesto un ruolo attivo di intuizione e ricostruzione nella visione dello spettacolo, cosa che già Wagner stesso esigeva ai suoi tempi.

 Dal punto di vista musicale l’orchestra questa volta non commette particolari errori e anzi, guidata dalla sapiente bacchetta di Daniel Baremboim, regala al pubblico una performance capace di meravigliare, a volte di disarmare. Complimenti al Maestro per il lavoro sopraffino svolto in questi anni, in cui la ricerca di suono, timbro, colore è stata curata in ogni minimo dettaglio: i risultati si vedono, o meglio, si sentono. Bravi gli ottoni, bravi gli archi, è difficile elogiare più l’uno o l’altro settore poiché tutti hanno concorso in maniera diversa alla riuscita dell’esecuzione.

Anche al cast va una nota di merito: in particolare all’eccellente Waltraud Meier la cui voce dolce e calda è perfetta nel ruolo di Sieglinde e a Iréne Theorin, Brünnhilde. Brave tutte le Valchirie, sorelle di Brünnhilde, che nella celeberrima “cavalcata” ben rendono l’idea della guerra incessante supportate da corni, tube, trombe e tromboni. La “cavalcata” ricorda tutto il mondo delle armi, della vendetta del sangue. Nel grido di guerra da esse pronunciato trapela un lirismo violento e selvaggio.

René Pape, voce importante nel panorama musicale di questi anni, forse non è la persona più azzeccata nel ruolo di Wotan e ogni tanto la sua voce è sovrastata dalla musica; questo però non va ad incidere particolarmente sullo spettacolare duetto finale in cui Wotan, separandosi dalla figlia, è consapevole di lasciare la miglior parte di sé. Compare il “tema del sonno”, uno dei più belli di tutta la Tetralogia. Esso consiste in una lenta, ma breve, scala cromatica discendente, in cui tutta la suggestione scaturisce dalle armonie. E su questa scena, lunga e commovente, con Brünnhilde addormentata e circondata dalle fiamme (rese registicamente con dei led rossi calati dall’alto e proiezioni di fiamme tutte intorno) si conclude anche la seconda rappresentazione.