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di Achab

Eccoci giunti al fine settimana: ultimi due giorni di Festivaletteratura, ultime emozioni. Sono i giorni in cui Mantova abbandona l’atmosfera più intima dei primi giorni e accoglie le ondate di persone che affollano vie e piazze. E sarà proprio per l’aumento numerico del pubblico, sarà che il costante sole ancora estivo ha fatto la sua parte, la giornata di sabato si è caratterizzata per una fortissima energia positiva, che ha fatto calcare innumerevoli vie e ciottoli della città pur di accaparrarsene un po’.

Si comincia di mattina presto, con la proposta di un insieme di filosofie che possano cambiare il mondo, almeno in questa forma di crisi che si è dato da qualche tempo a questa parte. È Mary Zournazi, filosofa australiana, a proporci una serie di dialoghi (che preferisce al termine ‘interviste’) con filosofi e pensatori di tutto il mondo sul tema della speranza. La speranza che va contro ogni evidenza, che rappresenta una nascita nonostante le morti e le fini, che è come uno stato di trance in cui si è liberi perfino da se stessi. La speranza che, come ha detto il filosofo Giacomo Marramao, si può anche non amare: «Quando iniziamo a sperare vuol dire che siamo davvero messi male». Ma è un concetto che va del tutto ripensato, qui sta la sfida della filosofa: la speranza non ha a che fare soltanto con ciò che vorremmo e quindi con le nostre attese, ma anche con ciò che noi in primis possiamo fare per vivere una vita migliore.

Anche lo scrittore ungherese László Krasznahorkai ha contribuito a dare la propria dose di energia alla città: «Dobbiamo pensare che tutte le piccole cose che noi facciamo hanno un significato. Almeno così c’è un po’ di speranza». Ma non finisce qui.

Beppe Severgnini, in coppia con Ivano Fossati, ha espresso tutta la propria fiducia verso il futuro e, soprattutto verso i giovani. “Cosa succede se l’Italia più giovane non si rassegna?”, il titolo dell’intervento: a questa Italia Severgnini propone alcune “T-soluzioni”, ovvero Talento, Tenacia, Tecnica, Terra, Tenerezza, come dei precetti da tenere presente e declinare a proprio modo, nelle proprie esperienze e nella propria (giovanissima) ricerca della felicità. «Siate brutali, siatelo nel gridare il vostro talento e nel riconoscerne l’assenza. Siate tenaci, perché questo aiuterà anche se, di talento, ce ne sarà meno o non ce ne sarà affatto». A conclusione, un consiglio tanto originale quanto intenso da parte del cantante: «Non fate del vostro talento l’unica ragione di vita. Quanto è bello quando, di tanto in tanto, al talento si sostituisce la vita?».

Qualche risposta ai dubbi del nostro tempo, secondo lo scrittore Roberto Andreotti e la filosofa Adriana Cavarero, si può trovare nei classici. «Ai testi greci e latini si chiede oggi di rispondere alle richieste e alle provocazioni poste dalla cultura contemporanea». Un incontro, questo, che si ricollega a svariati altri eventi sullo stesso tema, come il “Translation slam – speciale classici” e “Il moderno in lingua antica” di giovedì. Tutti, in maniere differenti, hanno operato nel tentativo di diffondere la consapevolezza dell’(ancora) estrema attualità dei testi classici e, quindi, della necessità di continuare a interrogarli, come fonti di un sapere che non si esaurisce ma, al contrario, continua a sua volta ad arricchirsi di nuove interpretazioni.

Al contrario, ci sono testi contemporanei che hanno fatto fatica ad affermarsi poiché a lungo considerati appartenenti a un genere letterario minore e che vedono, oggi, una rivalutazione. Stiamo parlando del giallo e dei molti incontri che questa edizione del festival gli ha dedicato. Sabato, in particolare, sono intervenuti gli scrittori Maurizio de Giovanni e Valerio Varesi, presentati da Luigi Caracciolo, sostituto commissario di polizia. Esiste una grande differenza tra il giallo di Sherlock Holmes e quello attuale: la profondità dell’indagine. «Se prima avevamo un detective colto e autosufficiente, oggi abbiamo investigatori con una diversa coscienza, che si calano pienamente nella realtà su cui devono indagare. Ecco perché, allora, il giallo riflette la realtà circostante anche meglio di altri generi letterari: osserva, interroga e scava nel profondo, superando il semplice gioco intellettuale tra autore e lettore alla ricerca del colpevole».

Proprio tra i problemi del nostro tempo, ce n’è uno che appare più urgente di tutti: la generazione dei venti-trentenni di oggi che, probabilmente “non esistono”. Un’aula magna piena di non-trentenni per l’incontro serale guidato da Francesca Scotti che ha visto confrontarsi sul tema Zerocalcare, al secolo Michele Zech, fumettista, e lo scrittore Paolo Cognetti. Storie di vite che riescono a mantenersi coi fumetti o coi libri, di ragazzi che non sanno bene dove saranno anche tra pochi anni, che non hanno grossi miti o maestri ma che restano coi piedi ben piantati a terra e che, soprattutto, si fanno portatori di quella generazione di precari che hanno trovato in loro delle voci solidali.

Ed è così che si arriva alla domenica, a partire dall’ultimo degli incontri mattutini con Le pagine della cultura, dove Piero Zardo di Internazionale ha interloquito giorno per giorno con scrittori e giornalisti sui principali temi, appunto culturali, a partire dalle pagine dei quotidiani di tutto il mondo. Questa volta è toccato a Taiye Selasi, scrittrice ghanese ma romana d’adozione che, con autoironia e joie de vivre ha espresso l’amore per i luoghi meno conosciuti delle città del mondo (come i musei romani Palazzo Doria Panfilj, Museo delle Anime del Purgatorio e Montemartini) perché «aspettano solo di essere scovati dalle persone»; per Venezia e per la carta: «quando penso che un mio lettore sta leggendo su e-book, d’istinto penso che non ha davvero il mio libro tra le mani».

Durante la giornata si sono alternate, poi, voci estremamente importanti del panorama culturale italiano. Come Paola Mastrocola, che ha proposto una riflessione su quanto oggi la poesia possa ancora incidere sulle nostre visioni del mondo come faceva un tempo, su quanto i grandi autori del passato, anche recente, e quelli attuali riescano ancora a «cambiarci la vita». Forse serve una disponibilità da parte di noi lettori, prima di tutto.

Ed ecco, allora, l’ultimo degli incontri con i classici, nell’evento “Come suona oggi la poesia antica?”, con Carmine Catenacci e Roberto Vecchioni, presentati da Elia Malagò, per capire cosa siamo riusciti a conservare nella nostra memoria e cosa abbiamo (irrimediabilmente?) perduto lungo la strada.

A seguire, gli interventi di Cristiano Cavina e Francesca Scotti, voci e scritture assolutamente giovani, e di Paolo Giordano che, insieme a Davide Longo e Piero Neri Scaglione, ha parlato del “Valore della scrittura”, a partire dall’eredità lasciataci da Beppe Fenoglio. È stata in seguito la volta di Antonio Moresco, con gli ormai consueti (da tre anni) racconti di viaggi che si potrebbero definire, come vuole il titolo dell’intervento, “cammini di civiltà”. Dopo i primi due compiuti in Italia, questo 2013 ha visto i camminanti di Freccia d’Europa spostarsi verso le istituzioni di questo continente ancora troppo poco unito, per «testimoniare di una cittadinanza attiva, in movimento, che sogna un’Europa trasformata in un laboratorio di civiltà, oltre le miopie dei singoli stati».

Interessante l’incontro tutto incentrato sul tema caldissimo della scuola di oggi e dell’insegnamento, nel quale sono intervenuti Eraldo Affinati e Carlo Ossola, italianista e autore di L’elogio del ripetente. Sono stati espressi alcuni principi fondamentali che la scuola di oggi sembra aver dimenticato, come l’importanza di suscitare l’interesse degli studenti e di aiutarli a sviluppare un senso critico; di proporre loro percorsi alternativi di studio che non siano solo le cosiddette lezioni frontali; soprattutto, di diversificazione del metodo di studio adeguato alle varie tipologie di studenti. Come può essere, allora, la scuola? «Un luogo di crescita e di conoscenza dialettica, che può nascere esclusivamente dalla capacità degli insegnanti di assumere lo sguardo altrui», quello dei propri studenti prima di tutto.

Emmanuel Carrère ed Elena Stancanelli hanno concluso questa edizione 2013 di Festivaletteratura. L’autore francese si definisce un ritrattista, nel percorso intrapreso verso la riscrittura delle vite degli altri come una sorta di Vasari contemporaneo.  Forse nessun altro autore poteva concludere in maniera più significativa questa intensa edizione del festival: «La letteratura non serve a vivere altre vite, in altre realtà, in altri tempi: anzi, la letteratura serve a calarsi ancora di più nella realtà vera e a comprenderla meglio». E alla domanda: “Ma come si riconosce e dove sta davvero la letteratura?”, semplicemente ha risposto: «Je m’en fous».

Ciao Festivaletteratura, ci rivediamo tra un anno.