di Davide Zanini

Esauriti gli articoli di Davide Saini dedicati al cantautorato italiano, mi è stato affidato l’onore e l’onere di aggiungere nuovi tasselli alla Personale piccola playlist della Balena Bianca.

In queste nuove “puntate” della rubrica tratterò di canzoni scelte non in base a uno specifico genere musicale o un determinato ambito “geografico-nazionale”, ma a una particolare – definiamola così – forma discografica: quella dei concept album.

Questi particolari dischi “a tema” non sono certo i più in voga in un’epoca di ascolti veloci e frammentari, in cui il formato album ha ceduto il passo a una fruizione canzone-per-canzone, con l’acquisto/download di singole tracce divenuto ormai norma consolidata e pratica maggioritaria.

Questa particolare “categoria” di opere (termine, in molti casi, tutt’altro che fuori luogo) discografiche può suscitare l’interesse di chi cerca, nella musica, non solo una facile forma di intrattenimento, ma anche una significativa componente lirico-letteraria, spunti di riflessione e, in generale, una qualche forma di ricerca/approfondimento “culturale”.

In continuità con l’impostazione della rubrica, e per non rendere i singoli articoli troppo lunghi e ridondanti, le analisi continueranno a vertere principalmente su singoli brani (scelti all’interno dei rispettivi album per i più svariati motivi), cercando comunque di dare sempre conto – in maniera rapida ma, si spera, esaustiva – del concept generale dei vari dischi, anche per meglio contestualizzare le disamine (o meglio: i tentativi di disamina!) delle singoli canzoni.

Pink Floyd: Comfortably Numb (da The Wall)

© Gregori Daz

 

The Wall, doppio lp dei Pink Floyd del 1979, è senza dubbio uno dei concept album più importanti e celebri della storia del rock (anzi, definirlo IL concept album per eccellenza non pare certo una forzatura); è inoltre, fatto sicuramente meno rilevante, uno dei miei dischi preferiti: diviene quindi quasi inevitabile per me partire proprio da qui.

Fondamentale caratteristica di questo album, che è quasi esclusivamente frutto del genio creativo del solo Roger Waters (bassista, cantante e “mente” principale della band inglese), è quella di presentare un concept non soltanto riuscito, avvincente e ben costruito, ma anche particolarmente complesso, “denso” e profondo; riassumerne i tratti salienti in poche parole non è quindi certo impresa facile…

La vicenda “narrata” in The Wall è quella di Pink (che di cognome ovviamente fa Floyd…), tormentata rockstar che Waters costruisce “a sua immagine”, con molti spunti e affinità anche marcatamente autobiografici.

L’infanzia di Pink è segnata dall’assenza della figura paterna (il padre è morto in guerra), dall’affetto opprimente di una madre troppo apprensiva e dalle istanze autoritarie e spersonalizzanti di un sistema scolastico-educativo alienante e ostile. Queste tre prime fonti di dolore, delusione e sofferenza rappresentano per Pink altrettanti mattoni di un metaforico muro, che il protagonista decide di innalzare a sua (illusoria) difesa: se la vita ci offre soltanto problemi e difficoltà, tanto vale isolarci e chiuderci in noi stessi, pensa Pink.

Divenuto adulto, il protagonista intraprende la carriera musicale, ma un altro duro colpo è in agguato: alla prima occasione sua moglie lo tradisce. È questa la goccia che fa traboccare il vaso, o meglio: il mattone che fa chiudere il muro, definitivamente, irrevocabilmente.

Pink, ormai in completa crisi e prossimo alla follia, non può però semplicemente rinchiudersi nell’apatia del suo sterile isolamento: è pur sempre una rockstar e deve tornare sul palco, perché “lo spettacolo deve continuare”, sempre e comunque. Privo di controllo e non più padrone di sé, Pink scivola in una sorta di delirio totalitario, in cui lui, la rockstar, diviene figura carismatica e dittatoriale che può disporre a proprio piacimento del pubblico-massa, che non solo non gli si oppone, ma lo asseconda apertamente e incondizionatamente.

Quando questa fase “nazistoide” raggiunge vette parossistiche, Pink riesce a recuperare un momento di lucidità, in cui mette in discussione i suoi comportamenti e le sue scelte. Il verdetto del “processo” che ne deriva, comporta l’abbattimento del muro eretto dal protagonista intorno a sé: è dunque necessario uscire da un isolamento sterile e alienante, per tornare a esporsi al mondo e al prossimo.

 

Vorrei ora soffermarmi su un brano in particolare: Comfortably Numb (sesta traccia del secondo disco).

In questo punto dell’album Pink ha ormai completato la costruzione del suo “muro”, dietro il quale si è trincerato in uno stato di apatia e alienazione. Pink però, la rockstar Pink, non può limitarsi a stare rinchiuso nel suo disperato bozzolo: il palco lo attende, il pubblico lo reclama e la “macchina” dello show business non è certo disposta a interessarsi ai suoi problemi o a concedergli una tregua. Viene quindi inviato al cospetto del protagonista un medico, per somministrargli l’iniezione di una sostanza che possa «rimetterlo in piedi» e «mandarlo avanti per tutto lo spettacolo».

In Comfortably Numb si alternano le battute – non si può però parlare, come vedremo, di vero e proprio “dialogo” – di questo medico e di Pink. Al primo (la voce è quella di Roger Waters) sono affidate la prima e la terza strofa: il medico si rivela essere una figura priva di scrupoli, che palesemente agisce per soddisfare il solo interesse di chi l’ha mandato lì (ossia qualche avido esponente del music business). In lui non vi è nessuna reale preoccupazione per le sofferenze del “paziente” Pink (lo si evince dal tono sbrigativo di versi quali «Prima di tutto ho bisogno di alcune informazioni/Solo i fatti essenziali» o «Forza, è ora di andare»); sofferenze che promette di diminuire («Posso alleviare il tuo dolore») o, addirittura, far scomparire per sempre («Non ci saranno più aaaaaah») .

Nella seconda e nella quarta strofa (cantate da David Gilmour) è invece Pink a parlare. Preda della confusione e dei primi effetti del “farmaco” («Il dolore è sparito»), il protagonista non si rivolge tanto al medico – da qui l’impossibilità di parlare di “dialogo” tra i due – che nemmeno riesce a sentire («Le tue labbra si muovono, ma non riesco a sentire cosa stai dicendo»), quanto a se stesso: in lui convivono, da un lato, l’evocazione di immagini sfumate e indefinite («Il fumo lontano di una nave all’orizzonte») , visioni indistinte di un’infanzia forse soltanto immaginata («Da bambino ho avuto la febbre/Mi sentivo le mani come due palloni»; «Da bambino/Colsi una fugace visione/Con la coda dell’occhio»); dall’altro, la consapevolezza di una crisi sempre crescente («Questo non sono io») e della fine di ogni illusione («Il bambino è cresciuto/Il sogno è finito»). Il farmaco-droga del medico servirà quindi a renderlo «piacevolmente insensibile» al dolore, dando però allo stesso tempo avvio a quel “trip totalitario” di cui già si è parlato.

Può, in tutta onestà, Comfortably Numb essere considerata – da un punto di vista lirico – la “summa” o il “manifesto” contenutistico di The Wall? Certamente no.

Questo però, ed è un’altra caratteristica fondamentale dell’album, vale di fatto per tutte le tracce del disco: ognuna di esse infatti sviluppa un particolare tema (e i temi di The Wall sono davvero numerosi), approfondendone particolari aspetti e specifiche sfumature (due parziali eccezioni sono forse date soltanto dalla brevissima Another Brick in the Wall Part 3 e dalla teatrale The Trial brani dal carattere “riassuntivo” collocati al termine della prima e della seconda parte dell’album).

In questo senso, ho scelto Comfortably Numb anche per ragioni squisitamente musicali (non dimentichiamoci che stiamo pur sempre parlando di una canzone): con le sue atmosfere ovattate e trasognate, il pezzo in questione è tra i più belli e famosi dei Pink Floyd, ed è sempre in grado di regalare – grazie alle sue splendide melodie – forti emozioni all’ascoltatore, anche a chi (dettaglio non irrilevante) del concept di The Wall magari ignora pressoché tutto.

Musicalmente poi Comfortably Numb ha anche un’altra importantissima particolarità: in un lavoro scritto quasi totalmente dal solo Waters e in un contesto in cui i rapporti tra quest’ultimo e gli altri membri della band erano parecchio tesi (per usare un eufemismo!), questo brano è tra i pochi a essere frutto, in fase di composizione, della collaborazione tra Waters e il chitarrista (e cantante) David Gilmour; collaborazione che è in grado di riflettersi magicamente nell’equilibrio e nell’intesa ben riconoscibili tra le note della canzone.

Per fugare eventuali dubbi, ascoltate il celeberrimo assolo (uno dei più belli di sempre, a parere di chi scrive) finale di Gilmour…

Hello,

Is there anybody in there
Just nod if you can hear me
Is there anyone at home
Come on now
I hear you’re feeling down
Well I can ease your pain
Get you on your feet again
Relax
I’ll need some information first
Just the basic facts
Can you show me where it hurts

There is no pain, you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can’t hear what you’re saying
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I’ve got that feeling once again
I can’t explain you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb

Ok
Just a little pin prick
There’ll be no more aaaaaah
But you may feel a little sick
Can you stand up?
I do believe it’s working, good
That’ll keep you going through the show
Come on it’s time to go
There is no pain you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can’t hear what you’re saying
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become
Comfortably numb