Per la serie “Dobloni”, sporadici e incostanti per definizione, vorrei riportare una parte del bel libretto di Luciano Canfora “È l’Europa che ce lo chiede!” FALSO. Si tratta di un breve testo in cui lo storico e filologo si impegna in un tentativo di interpretazione dell’evoluzione socio-economico-politica dell’Italia. Le conclusioni di Canfora possono essere condivisibili o meno (a mio avviso più pungenti nell’ambito politico e storico rispetto a quello economico forse eccessivamente semplificato); ma si tratta di sicuro di un testo che attiva il pensiero e spinge a costruire quella visione d’insieme che tanto avremmo bisogno almeno di abbozzare. Un aiuto sulla strada dell’interpretazione della realtà.

Il brano riportato di seguito si sofferma su un particolare aspetto dell’evoluzione politica del nostro paese, il bipolarismo e su quelli che Canfora considera le sue conseguenze. Con analisi sistematica Canfora arriva a spiegarci come nascono alcune tendenze della nostra politica e a sfatare alcuni luoghi comuni («usati come randelli»).

 

Siamo spettatori di un paradosso. Il paradosso è che, al termine di un ventennio consacrato, con regolari vampate salmodianti, al culto del «bipolarismo», i medesimi idolatri siano ora passati, con analoga foga, al culto della «coesione». Il nuovo dogma è: fare «tutti insieme» le “cose che contano”, le fondamentali sulle quali è «ovvio» che «siamo tutti d’ accordo». Buono a sapersi. Evidentemente il bipolarismo serviva a non farle, le “cose che contano”.

La religione del bipolarismo può comunque vantare alcuni bei successi: non solo ha distrutto la cosiddetta “Prima Repubblica” ma ha ridotto la sinistra alla caricatura di se stessa, ad una macchietta speculare della destra, protesa a «contendere il centro alla destra» con le stesse “armi” lessicali e concettuali dell’antagonista. Inglobata nella pulsione bipolaristica, la sinistra è diventata infatti, via via, sempre meno sinistra.

Dovendo fare insieme le “cose che contano” – cioè far deglutire ai gruppi sociali più deboli una cura da cavallo a botte di tassazione indiretta – centrodestra e centrosinistra archiviano il bipolarismo. E lo archiviano per un periodo lunghissimo visto che la cura da cavallo è programmata per il prossimo ventennio se vuole risultare «efficace». (E non sarebbe male cercare di chiarire cosa s’ intenda per «efficacia»).

Il processo è stato abbastanza lineare:

1) si abroga il principio proporzionale e si innesca il maggioritario (più o meno totale) in omaggio alla religione idolatrica del bipolarismo;

2) bipolarismo significa necessariamente penalizzazione delle ali dette pomposamente “estreme” e convergenza al centro dei due «poli»;

3) il perseguimento di tale “conquista” ha come effetto la crescente rassomiglianza tra i due poli, i quali infatti rinunciano ben presto a chiamarsi destra e sinistra, e adottano una formula (centrodestra versus centrosinistra) che almeno per il 50 percento ribadisce la coincidenza, se non identità, dei due cosiddetti «poli»;

4) quando questo processo è finalmente compiuto, si constata che la “via d’uscita” dal grave momento nazionale e mondiale è la «coesione»;

5) a quel punto l’idolatrato bipolarismo non solo boccheggia ma viene senz’altro archiviato, e l’operazione appare agevole (o almeno fattibile) perché la marcia dei poli verso il centro ha dato finalmente i suoi frutti, e infatti – come ci viene ripetuto – sulle “cose fondamentali” si deve andar tutti d’ accordo!;

6) a questo punto i teorici del “superamento” della distinzione destra/sinistra in quanto concetti obsoleti possono esultare. E difatti esultano. È impressionante che, in Italia, inconsapevoli della gaffe lessicale, alcuni si dispongano addirittura a dar vita ad un «Partito della Nazione» (il partito fascista si chiamò per l’appunto «nazionale», e «nazionali» erano detti i seguaci di Franco, mentre «socialista-nazionale» era il partito del «Führer»);

7) l’effetto della progressiva assimilazione tra i due poli culminata nella «coesione» è il non-voto di coloro che non si riconoscono nella melassa. Ma questo non preoccupa l’ ormai «coesa» élite, passata giocosamente attraverso la dedizione ad entrambe le ideologie (bipolarismo prima e coesione poi). Anzi, si gioisce ulteriormente perché si può sperare, procedendo per questa strada, di raggiungere i record delle cosiddette «grandi democrazie» dove – come negli Usa – vota meno della metà degli aventi diritto. Anzi i più sfacciati dicono che il fenomeno del non-voto è un segno di maturità della democrazia.

Luciano Canfora, “È l’Europa che ce lo chiede!” FALSO, Laterza, Idòla, 9.00 €