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di Andrea Cirolla

Tunué, casa editrice di Latina specializzata in graphic novel e saggistica pop, si è aperta recentemente alla narrativa. Ha affidato a Vanni Santoni la cura di una collana dedicata, che si chiama «romanzi». Il primo libro della collana, Dettato, è anche il primo del suo autore, Sergio Peter. E che libro è, Dettato di Sergio Peter? Sospendiamo l’interrogativo per tornare alla collana: Santoni dichiara che per quanto riguarda la sua identità è stato «fissato un principio, quello dello “sconfinamento”, che può essere di genere ma anche di taglio, tono o lingua», e per il quale è stata trovata una formula: «quattro quinti di realtà, uno di sconfinamento». Il libro di Peter non tradisce il programma: unisce alla narrativa di finzione la memorialistica, la formula del reportage, la poesia sia in versi (episodici) che in prosa. La poesia: si potrebbe anche recepire l’opera di Peter nei termini di un poème en prose, basando in questo caso il giudizio sul suo procedere per immagini anziché sulla forza di un intreccio, e sulla musicalità della sua sintassi.

Non c’è intreccio, non in senso tradizionale, e non c’è una trama. Il protagonista del libro è un bambino, raccontato dalla prospettiva del sé adulto o talvolta narrante egli stesso in presa diretta, attualizzando il ricordo. C’è un viaggio nel tempo e c’è un viaggio nello spazio: tempo e spazio si chiamano infanzia e si chiamano casa. La forza che determina il viaggio e la scrittura che ne offre il resoconto è il desiderio di ricostruire, di realizzare una genealogia di sé e della propria famiglia. La morte del padre è l’esperienza vissuta e perduta in un passato troppo lontano, per questo pungola il protagonista (che molte corrispondenze legano all’autore, innanzitutto la classe: 1986) a stimolare e poi a salvare una memoria personale e collettiva. «Il papà visse abbastanza per darmi alla luce e regalarmi un sonaglino rosso e giallo a forma di orsetto, poi però il 4 marzo 1988 cadde dall’impalcatura a Lugano e morì». Il protagonista non si limita alla cerchia famigliare, intraprende un viaggio più vasto, nel luogo e nei luoghi dove crebbe, entro il raggio della Val Menaggio, nella provincia di Como.

Il risvolto di copertina propone il Calvino delle Città invisibili e il Celati di Narratori delle pianure come gli autori di riferimento. Calza sicuramente il rimando a quel Celati: non per la lingua, quanto per l’attitudine al recupero attraverso il dettato, come del resto suggerisce il titolo, dove i “cantastorie” – cioè le memorie storiche nei vecchi paesi e nelle frazioni e nelle contrade – raccontano, e il narratore registra. 10407286_756462047719028_3426691478652493159_nAltri due autori potrebbero essere il Pavese de La luna e i falò (lo suggerisce il ritorno, non esplicitato ma evidente, del protagonista alla casa, dopo averla lasciata per andare lontano; e quel suo affondare nei luoghi rurali insieme con tutti i loro nomi) e il Parise del Ragazzo morto e le comete, per la prospettiva mobile e quasi registica, per quell’atmosfera dove tutto pare possibile, finanche l’impensabile, e anche per la costruzione «a collage» (uso la definizione adottata da Parise stesso per il suo primo romanzo). Qui sta anche il limite di questo libro, che viene presentato come un romanzo, ma al di là dello sperimentalismo lascia una sensazione di sfilacciatura delle parti oltre le intenzioni, al netto dell’eventuale volontà dell’autore di depistare (e disorientare affinché trovi il suo sentiero dentro il libro?) il lettore.

L’incoerenza dei tempi e dei piani del racconto non sono un male in sé, lo dimostrava proprio Parise; l’elemento che insinua il dubbio leggendo Dettato è infatti un altro, è la variabilità dello stile. Il libro contiene molti, forse troppi stili, che non hanno inciampi cioè non sono vittime dell’insicurezza, ma diluiscono la robustezza del libro, al quale avrebbe giovato una fermezza, una continuità, una scelta definitiva. La lingua di Peter cede naturalmente alle spinte espressioniste, poi si fa chiara, talvolta splendidamente lirica («si toccarono per un anno / e non possono ricordarsi», rivolto al padre; «sussurrasti invece con l’acqua che, se avevo sete, era perché vivevo», a un ruscello), ed è spuria, non solo in quanto attinge (molto) al dialetto, ma ad esempio nel momento in cui cede al parlato, al parlato dei bambini, al parlato dei vecchi, e al parlato del personaggio chiamato di volta in volta a portare il suo tassello nel disegno finale.

L’intermezzo prima dell’ultimo capitolo presenta un gruppo di lettere «di gente comune», uomini e donne della valle, spezzate in versi, molto belle, trascritte nel loro italiano zoppicante, da semianalfabeti o forse si tratta di un’imitazione di quella lingua, ma in ogni caso è una lingua che si accorda allo stesso sentimento cui si accordano anche le spinte espressioniste che dicevo sopra. Nel primo caso (il capitolo «Lettere»), si cerca di avvolgere e riportare sul foglio la realtà senza gli strumenti della grammatica e della sintassi, ma basandosi unicamente sul modello della lingua parlata, creando una lingua scritta selvaggia, capace di aprire inediti squarci di visione sull’esperienza; nel secondo, si procede ricercando una verginità dell’espressione, cercando di ignorare la tara della tradizione letteraria e di schivare gli automatismi della lingua corrente.

Molti insomma sono gli influssi, gli spunti, e molti sono i modelli letterari che si potrebbero riconoscere nel tentativo di orientare la lettura di Dettato. «Non è opera che nasca dal nulla, ovviamente» (come scriveva Zanzotto per – ancora lui – Parise). Ma rimane da ammettere che, al di là dei riferimenti, quella di Peter si dimostra una voce originale, rispetto alla gran parte delle scritture attuali (in Italia) almeno; una voce insolita e vitale, che vi invitiamo a leggere.