Dara

di Francesca Fiorletta

Il postino pensava che se fosse stato un uomo sicuro di sé e dei suoi mezzi, fiero, deciso, coraggioso, forte, se fosse cioè appartenuto alla venturata progenie degli illusi, non sarebbe stato un filosofo mancato. E invece non gli restava che pensare, e dai suoi pensieri desumere piccoli meccanismi di  vita, come quella mattina, quando si svegliò con la certezza che i sogni condizionano e indirizzano le giornate  dell’òmini, e che noi viviamo in base a ciò che sognàmu.

Esce per Nutrimenti il Breve trattato sulle coincidenze di Domenico Dara, calabrese classe 1971, finalista al Premio Italo Calvino 2013.

Ed è un romanzo notevole, soprattutto per il bell’intreccio stilistico e linguistico col quale l’autore traspone le innumerevoli peripezie del suo trasognato protagonista, il postino di Girifalco, entità quasi mitologica eppure estremamente reale, perfettamente radicata nel proprio territorio d’origine e legata a filo doppio alle vicende dei suoi compaesani, eppure misteriosamente al di sopra dei fatti, come chi ambisce a ricoprire il ruolo che si vorrebbe deputato di solito a un angelo custode, a un’essenza incorporea, tutta luce, senza peso.

È così che il nostro postino, seppure animato dai migliori sentimenti e dalle più alte intenzioni, riuscirà ad interferire anche fin troppo attivamente, e diremmo carnalmente, con le vite dei moltissimi personaggi che gli gravitano attorno, seguendo una spasmodica cadenza quotidiana e, oramai, non più soltanto a scopo professionale.

Il desiderio di restituire una pace unitaria e profonda agli avvenimenti del tempo e quindi del paese, è lo spirito che più di ogni altra suggestione si impone agli occhi di chi legge, pagina dopo pagina, attraversando quindi tutto il romanzo.

Un romanzo che è cadenzato con estrema e finissima intelligenza da capitoletti brevi, tratteggiati da titoli evocativi benché non esattamente didascalici.

(Eccone solo un esempio: Degli occhiali che appartengono agli dei, di Marcello Mastroianni paesano, della terza lettera col sigillo e della distrazione. Oppure, ancora: Della vita parallela che scorre sui balconi, del caffè all’anice con i savoiardi e del postino divenuto padre d’un figlio non suo)Sono titoli, quelli di Dara, che lasciano perfettamente intuire l’altrove a cui mira la sua penna, e ovviamente la sua testa. Titoli che potrebbero quasi costituire, da soli, un intero romanzo parallelo.

Quella sorta di pace panica a cui ho accennato poc’anzi ha, a mio avviso, un duplice e fondamentale aspetto: risulta sì funzionale allo sviluppo diacronico della storia, anzi pardon, delle storie, messe tanto fedelmente nero su bianco dall’autore, ma rispecchia altresì la visione globale dello spirito della letteratura del tempo, o per lo meno, dello spirito letterario del testo stesso.

Le beneamate coincidenze, accidenti invero così risolutive e importanti, su cui si impernia già il macroscopico titolo del romanzo, altro non sono che gli inaspettati ciottoli disseminati su un terreno di passaggio: possono favorire il cammino, o piuttosto renderlo accidentato.

L’onere, o per meglio dire l’onore che il postino di Girifalco decide di assumere su di sé è proprio quello di facilitare la strada delle persone che incontra, fuori e dentro la grande metafora della vita. Allo stesso modo, Domenico Dara ha costruito un romanzo al quale ha lavorato alacremente per nove anni: una fatica preziosa, che si evince dalla costruzione minuziosa di ogni singolo frammento di frase, dall’elaborazione sapiente e attenta dei ritmi narrativi e dei registri lessicali, volta a rendere più agevole possibile l’attraversamento della storia ai suoi lettori.

Attenzione, però, perché questo tentativo ben riuscito non costituisce affatto un appiattimento nella trama, nella lingua o nello stile, che anzi si dispongono sulla pagina in maniera molto ricca e articolata, facendo anche ricorso a un lessico regionalistico evidentemente già ben metabolizzato, che si impernia sull’idioma comune del nostro italiano più fluente e globalmente condiviso.

Lo sforzo, e cioè l’ingente lavorio intellettuale e la sensibilità espositiva di Domenico Dara, risiedono a mio parere proprio in questa naturale dialettica degli ossimori: il testo trae e rigenera il suo valore dall’accostamento rimeditato ma certo non poco viscerale fra il generale e il particolare, il personalissimo e il socializzato, il verosimile e il surreale, insieme.

La lezione, se così vogliamo chiamarla, l’insegnamento filosofico impartito in primis a se stesso dal nostro simpatico postino tuttofare, talento letterario indiscusso, grande compilatore di missive non specificatamente sue, si può riassumere in queste semplici, autentiche parole:

Il troppo guardare allontana le cose, ma il guardare a fondo è pur sempre un modo decente e inoffensivo di vivere.

Domenico Dara, Breve trattato sulle coincidenze, Nutrimenti, Roma 2014, 19 €, pp. 365