Il premio letterario più prestigioso al mondo ha ricompensato ieri l’opera dello scrittore francese Patrick Modiano, solo sei anni dopo la vittoria di Jean-Marie Gustave Le Clézio, autore di punta, come Modiano, della storica casa editrice Gallimard. L’Accademia Reale Svedese sembra avere una predilezione per la letteratura francese, premiata per ben quindici volte: da Gide a Camus, da Claude Simon a Sartre, con tanto di celebre rifiuto. Questa la motivazione del premio: «Per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e svelato la vita reale durante l’Occupazione».

Leggendo queste parole, non si può non pensare al più celebre testo dell’autore, Dora Bruder (Gallimard, 1997, tradotto in Italia da Guanda): Modiano, dopo aver letto un trafiletto su un quotidiano dell’epoca dell’Occupazione, cerca di ricostruire la vita di una ragazzina scomparsa nel gelido inverno del 1942, ma le sue tracce si perdono ben presto. Il suo nome ricompare nella lista dei deportati su un convoglio partito da Drancy l’anno stesso, come attesta il Memoriale della deportazione degli ebrei francesi, pubblicato da Serge Klarsfeld nel 1978. La scrittura deve dunque sopperire ai vuoti dell’inchiesta, impostata su un modello poliziesco subito svuotato di senso, come spesso accade nei romanzi di Modiano. Ad animare questa ricerca testuale vi è una volontà etica di restituzione: la letteratura si afferma come cassa di risonanza delle poche tracce rimaste di individui qualunque, travolti dalla storia.
La pubblicazione di Dora Bruder ha avuto un’enorme eco, non solo in Francia, e ha in qualche modo inaugurato una vena letteraria recente, che si è fatta spazio all’interno del massiccio fenomeno del ritorno della memoria della Shoah e del dovere della memoria. Molti autori si sono dedicati a ricostruire, con un interesse per il piccolo simile a quello della microstoria, le vite di singoli individui, di famiglie, di piccole comunità disperse dalla Seconda Guerra Mondiale. È in questa chiave che si possono leggere Gli scomparsi di Daniel Mendelsohn (Neri Pozza, 2007) o Un’eredità di avorio e di ambra del ceramista Edmund De Waal (Bollati Boringhieri, 2011). In questo senso, il premio Nobel è stato conferito a una letteratura della memoria, una letteratura che è in grado di fare del vuoto della storia una fonte di ispirazione e anche una forma di poetica.

Il testo di Modiano è infatti spesso frammentario, pieno di vuoti e di rotture: vi si insinuano spesso liste di nomi, documenti, notazioni topografiche. L’apparente semplicità e il tanto decantato minimalismo dello stile, che ne hanno garantito l’originalità in un panorama letterario francese dominato fino agli anni Ottanta dalle ricerche formali, celano in realtà una certa reticenza espressiva. Non vi è tanto chiarezza enunciativa, quanto una continua allusione, una somma di non detti, che rende evidente il vuoto originario che ha mosso la scrittura.download
Non si tratta soltanto di un vuoto storico, quello della Shoah, che Modiano, nato nel 1945, vive come un trauma ereditario, ma anche di un vuoto esistenziale. I suoi testi si nutrono in primo luogo di un’infanzia profondamente infelice, tra la presenza inquietante del padre, ebreo collaborazionista durante gli anni dell’Occupazione nazista in Francia e le assenze della madre, attrice fiamminga. Con Dora Bruder, vera svolta estetica all’interno dell’opera,  la Shoah è messa in scena in maniera esplicita per la prima volta: Patrick si riappacifica così con la figura paterna, cercando di trovare nella paura della deportazione le motivazioni che potevano averlo mosso a cercare una via di fuga nella zona grigia del mercato nero, del contrabbando e del doppiogiochismo politico. Tuttavia  il cammino verso la comprensione è stato lungo e tortuoso e un percorso cronologico nell’opera dello scrittore permette meglio di capire come sia avvenuta in lui questa presa di coscienza.

La Place de l’Étoile (Gallimard 1968, non tradotto in italiano), primo testo di Modiano, pubblicato grazie all’aiuto del maestro e amico Raymond Queneau, è carico di tensioni giovanili, in polemica con la visione di una Francia interamente votata alla Resistenza al nazismo portata avanti dal gollismo dominante. Attraverso uno stile delirante, fatto di pastiches e di parodie, ben diverso dal minimalismo che ha caratterizzato successivamente l’intera opera, Modiano percorre le diverse metamorfosi di un problematico personaggio ebreo, capace di viaggiare nel tempo, tra la Vienna di Freud e la Parigi di Proust, di Céline o di Sartre. Si manifestano così le zone d’ombra del periodo di Vichy, insabbiate dalla memoria collettiva francese, i conflitti legati a un’identità ebraica definita solo in negativo, annullatasi nella retorica nazionalista. In una sorta di testo-palinsesto, dove riscritture letterarie e discorso politico si intrecciano e si sovrappongono, Modiano ha urlato il suo disagio di figlio e di giovane ebreo francese, alla ricerca di un’identità impossibile da trovare.

Livret de famille (Gallimard 1977, non tradotto in italiano) è un testo costituito di frammenti apparentemente slegati: è infatti assente la definizione “roman”, romanzo, sulla copertina dell’edizione originale. Tuttavia non si tratta di una raccolta di racconti, ma di un puzzle identitario, fatto di tessere  che ricompongono un percorso individuale e personale. È forse il contributo più alto di Modiano alla forma dell’autofiction, definita in quello stesso anno da un altro autore di origini ebraiche, Serge Doubrovsky, (Fils, Galilée 1977) e magistralmente anticipata da Perec con W ou le Souvenir d’enfance (Denoël 1975, W o il ricordo d’infanzia, Einaudi 2005). Il libro si apre e si chiude sulla nascita della prima figlia di Modiano, Zina, un essere ancora “senza memoria” e quindi pieno di felicità, come si legge nella conclusione. La memoria è infatti un fardello per il protagonista, che negli altri episodi del testo cerca di ricostruire alcuni aspetti del proprio passato e di quello del padre, che lo turbano profondamente. L’inchiesta è ancora una volta il pretesto per una ricerca identitaria individuale e personale.

È il caso anche di Rue des boutiques obscures (Gallimard, 1978, vincitore del premio Goncourt, pubblicato in Italia da Rusconi nel 1979 e attualmente non più in commercio), in cui un protagonista affetto da amnesia cerca di ricostruire il proprio passato immerso tra i “bottins”, gli elenchi telefonici, onnipresenti nell’opera di Modiano, presenti in una vecchia agenzia investigativa. Il lettore è trascinato nell’atmosfera onirica di una Parigi incantata, descritta dall’autore con ossessione topografica in tutti i suoi testi, con una predilezione spiccata per determinati quartieri, come quello di Passy. Il protagonista riesce a ricordare di aver vissuto durante l’Occupazione e di aver tentato di scappare in Svizzera perché, privo di documenti di identità, rischiava l’arresto. Tuttavia la sua fuga si è esaurita nelle nevi delle Alpi, vera e propria metafora narrativa dei vuoti e dei buchi di una memoria incapace di dare forma a un’identità, ma che sente il dovere di trovare qualche appiglio per evitare l’annullamento dell’io.228811-gf

Ricostruire una vita, dare forma a un’identità sono forse imprese impossibili: è questa l’idea che emerge dalla scrittura frammentaria di Modiano, dal suo procedere tra sprazzi di ricordi, strappati a stento all’oblio, all’usura del tempo. Impossibile dunque anche scrivere un’autobiografia, ma in fondo doveroso, per un autore che ha ammesso in diverse interviste di aver sempre messo in gioco nei propri testi una parte di sé. Con Un pedigree (Gallimard 2005, Einaudi 2006), Modiano ci consegna la storia della sua infanzia, del bambino e del ragazzo che hanno preceduto lo scrittore e che lo hanno reso tale. Il titolo rinvia alla figura del cane, che percorre tutti i testi come un leitmotiv, simbolo domestico, di appartenenza, in contrasto con i turbamenti identitari dei diversi protagonisti. Modiano stesso non è certo un cane di razza dotato di pedigree, ma piuttosto un bastardo, un randagio che non cessa di cercare se stesso.

È questa ricerca identitaria ossessiva che caratterizza l’intera opera dello scrittore francese, con forme di ripetizione e di rimandi interni ai diversi romanzi che sono state anche oggetto di critica: lo scrittore Eric Chevillard ha recentemente parlato, a seguito della pubblicazione del nuovo romanzo Pour que tu ne te perdes pas dans ton quartier (Gallimard 2014) di “solita solfa”. Quello che è certo è che si tratta di un’opera unitaria, animata da moventi individuali e storici allo stesso tempo, caratterizzata da uno stile originale e personale, che merita di essere letta a partire dai suoi primi sviluppi: si spera che il premio Nobel incoraggi la traduzione dei testi degli esordi, in particolare del camaleontico La Place de l’Étoile, nel quale la sobria cantilena del fraseggio era ancora assente e vi era solo un urlo strozzato, violento, provocatorio.

(Per chi fosse interessato ad approfondire la letteratura e la figura di Patrick Modiano, si segnala Le Réseau Modiano, blog non ufficiale gestito da un appassionato, ma davvero ben fatto.)