Il guizzo di carne e muscoli tesi non fa in tempo a toccare terra che la velocità ne sbava i contorni. L’immobilità fotografica lo congela nella velocità eterna. L’uomo che vediamo sul primo numero di «Might» non è Dave Eggers, ma sappiamo che lui era lì, nudo e con il pene dolorante per la corsa. La copertina era contornata da avvisi come NO STARS! NO FASHION! NO MODELS! JUST BRAINS! La genesi della rivista è pervasa da quell’aura di finzione postmoderna e autobiografia tragicomica che è L’opera struggente di un formidabile genio. Proprio nell’opera d’esordio Eggers racconta la nascita della rivista includendo il primo editoriale di «Might»: un urlo anti-radical chic per una generazione completamente smarrita: «È possibile che in un’intera generazione ci sia qualcosa di più di “fancazzisti” vestiti di flanella, ignoranti e privi di ispirazioni?»
Tra interviste a star in declino e reportage «Might» chiuderà tre anni dopo la sua nascita, anche se il suo spirito originario riverbererà in «McSweeney’s». Non essere mainstream era il messaggio di Dave Eggers ai collaboratori e infatti la nuova rivista ha sempre cercato il giusto connubio tra un prodotto di design e un contenuto che spazia tra fiction, poesia e non-fiction.
Distinguersi potrebbe essere il denominatore comune e scontato di ogni rivista indipendente, soprattutto nel mondo angloamericano dove una nuova età dell’oro è accolta con un’attenzione non indifferente da parte del pubblico. La ricerca dell’unicità si tramuta in una tendenza comune in alcune riviste contemporanee che provano a capire e a raccontare la realtà da parte di una generazione di nuovi intellettuali non trincerati nei limiti del dibattito accademico. Ne troviamo traccia persino nella più anziana «Paris Review» che nel primo numero conteneva una lettera di William Styron che affermava: «The Paris Review spera di enfatizzare il lavoro creativo (fiction e poesia) senza escludere la critica, ma con il semplice obiettivo di rimuovere la critica dal posto dominante che detiene nella maggior parte delle riviste letterarie e collocarla nel posto a cui appartiene, cioè, da qualche parte vicino alla parte posteriore del libro».
«Granta non ha un manifesto politico, ma crede nel potere e nell’urgenza della storia». Anche il magazine di origini inglesi presenta ai lettori una missione culturale a prescindere dal genere letterario: non offre critica ma un’attenta selezione che non escluda nessuna espressione creativa della parola. Tra le riviste più vicine a noi «Tin House», nata nel 1999 oltreoceano, ha tra gli scopi del suo fondatore, Win McCormack, quello di creare «un magazine letterario per tanti appassionati lettori che non sono accademici o professionisti dell’editoria». «N+1» con base a New York dal 2004 – e famosa per essersi scontrata immediatamente con «McSweeney’s» giudicandolo «un’avanguardia regressiva» – oggi viaggia sui 10mila abbonamenti, e nasce da un tempo in cui «la scena intellettuale era spaventosamente frammentata e prosciugata di vitalità: magazine politici che non si curano di letteratura e magazine letterari che non si occupano di politica». E ci sono realtà più specifiche come quella di «Oxford American» che crea una stretta relazione tra potere narrativo della fotografia e racconti, tutto per celebrare la realtà e la scrittura del Sud americano.
Questa fame di attualità prestata alla letteratura – e viceversa – fa nascere gli esperimenti più interessanti nel momento in cui il percorso letterario e stilistico della rivista si affaccia a temi dominanti in campi extraletterari. Un esempio è Freeman’s, la rivista di John Freeman pubblicata da Edizioni Black Coffee (traduzione di Sara Reggiani, Leonardo Taiuti e Umberto Mauini). Si tratta del quarto numero, pubblicato per la prima volta in italiano, che ha come tema gli scrittori dal futuro: l’obiettivo è quello di scovare le voci più interessanti della letteratura contemporanea attraverso una ricerca trasversale che includa autori di lingua diversa dall’inglese. Un’esigenza che nasce dalla constatazione che sono percentualmente poche le opere tradotte negli Stati Uniti e dalla volontà di confrontarsi con componimenti eterogenei, in grado di raccontare l’attualità. Il progetto di Freeman’s, inoltre, proseguirà anche qui in Italia perché Black Coffee s’impegna a pubblicare la rivista una volta all’anno in concomitanza con l’uscita statunitense.
Per il ragazzino che ero, in un certo senso, tutto era tradotto. Un oggetto, una persona, un’esperienza, nei libri veniva ridotto a parola. E pur restringendosi, quel mondo oltre il mio giardino, ogni giorno si espandeva.
Così la prefazione alla raccolta potrebbe essere la più scontata visione della letteratura come viaggio solitario, anche se qui registra un’evoluzione: l’esperienza del singolo, se davvero valida, tende all’universalità e il limite della soggettività diventa il germoglio empatico di ogni lettore. «Leggere è un atto politico» scriverà ancora Freeman, perché leggere implica una scelta e l’entrata in un mondo altrui che fanno della condivisione atemporale e disinteressata il valore più grande. Perché non scegliere di proiettare all’esterno tale libertà? Perché non far corrispondere la scelta delle parole e dello stile con la loro missione culturale? Così in Freeman’s Scrittori dal futuro la grande varietà dei testi scelti investe non soltanto le forme narrative – fiction, non fiction e poesia – ma anche l’eterogeneità stilistica. L’assenza di un tema libera la rivista dal vincolo di un filo rosso da seguire e consente di dar corpo a un coro di voci sfalsate ma originali. Ne sono una dimostrazione i Sette corti che aprono la raccolta: un sismografo stilistico in cui ogni frammento è firmato da un autore diverso. La brevità sfocia nel realismo, un realismo che gioca nel giro di una pagina tra la vita e la morte, come in questi tre frammenti.
Un’auto sportiva senza freni né padrone. Se così fosse stato? Be’, forse saremmo ancora diretti là, i miei amici e io, verso il golfo muto e asfittico. L’oscurità a cui due di noi, seguendo un percorso diverso, sono già approdati. (David Searcy)
E dormiva appoggiata allo zaino. Dio, se eravamo felici. Non avevamo ancora scritto i nostri libri e nessuno a cui tenessimo era ancora morto. (Fiona McFarlane)
Il mio problema aveva quasi cinquant’anni. Il mio problema mi ha insegnato a guidare col cambio manuale, a comprare due confezioni di tinta per capelli perché avevamo gli stessi capelli folti. Il mio problema mi ha insegnato i nomi delle parti del corpo e che dovevo essere io a decidere chi poteva toccarle o meno. Il mio problema è che non ho mai avuto la possibilità di dire addio, o che lo dicevo in continuazione addio, addio, addio, addio, addio, addio tanto che il significato è venuto a mancare, come fanno sempre i significati. (Claire Vaye Watkins)
Proseguendo, il futuro narrativo inteso da Freeman è rappresentato da due elementi: la forma letteraria e la storia raccontata. Il reportage e l’autofiction sono esempi di un connubio indissolubile tra realtà e finzione, laddove però la tensione drammatica non ha velleità giornalistiche ma un profondo significato emozionale. Ne sono esempi il “corto” di Dinaw Mengestu – scrittore americano di origini etiopi – che racconta un raid militare in Uganda con la voce di chi l’ha vissuto; mentre nel reportage del messicano Diego Enrique Osorno (Venite a mangiare il cocktail di gamberi più grande del mondo nella terra dei massacri) un paesino della sua terra cerca di cancellare il mercato della droga con una festa per decretare il cocktail di gamberi più grande del mondo.
Impossibile trascendere i confini e la nazionalità senza notare l’importanza del corpo sia come fattore ossessivo nella definizione della personalità e nei rapporti sociali sia come elemento estraneo quando lo si sposta dal paese di origine alla volta di uno straniero. Al primo caso si possono ricondurre una serie di giovani scrittori che guardano al corpo come l’origine di sfumature distopiche e opprimenti: meritano attenzione Dove sei, tesoro il racconto della scrittrice argentina Mariana Enriquez – edita in Italia da Marsilio con Le cose che abbiamo perso nel fuoco e da Caravan edizioni con Quando parlavamo con i morti e Qualcuno cammina sulla tua tomba –, che narra l’ossessione di una donna per il battito cardiaco degli uomini e Materiale di prima scelta della giapponese Sayara Murata, che racconta di un creativo riutilizzo della pelle umana in un futuro non ben definito. C’è anche la presenza assordante di un corpo assente, sottoposto al controllo altrui, come il racconto degli abusi subiti durante l’infanzia dell’americano Garnette Cadogan (Niente da nascondere), o dell’amaro equivoco di Un uomo sfortunato dell’argentina Samantha Schweblin che racconta la vicenda di una famiglia che gestisce come può la sparizione della figlia con un uomo misterioso.
Quanto alla seconda opzione, la prospettiva dell’emigrato è elegantemente rappresentata da Valeria Luiselli – già edita in Italia da La Nuova Frontiera – che firma Io e un altro: il racconto della riluttanza nel definire la sua razza su un modulo da compilare all’ospedale porta la narratrice a passare in rassegna gli episodi del suo arrivo in America. C’è spazio anche per il realismo che spesso incontra diverse sfumature di giustizia come nelle tragiche sorti di una famiglia la cui speranza si lega alla vita di un cane domestico nella storia del cinese Xu Zechen; o Tania James, autrice di origini indiane, che narra la tragica ingiustizia della vittima di un’incidente in bicicletta.
Non è possibile riconoscere a Freeman il merito di aver rappresentato tutte le possibili sfumature tematiche e letterarie, va invece individuato il tentativo di riportare la lettura e la letteratura a un livello non solo accessibile ma anche il più possibile decentrato da ogni corrente o critica imposta dall’alto. La rivista di racconti tenta di coniugare e recuperare il giusto tempo della lettura, soprattutto con la velocità con cui le notizie scorrono davanti agli occhi degli internauti. È altrettanto significativo il fatto che qui in Italia la rivista sia stata pubblicata sotto forma di prodotto libro: se da un lato anche da noi si sta guardando con attenzione al fenomeno delle riviste indipendenti, dall’altro la trasformazione in un prodotto editoriale, robustamente rilegato, risponde a un altro tipo di rinascita: quella delle raccolte di racconti.
Freeman’s. Scrittori dal futuro, a cura di J. Freeman, Edizioni Black Coffee, Firenze 2018, 224pp. 12€