«Bisogna pur sentirlo, quando uno vuole andarsene, quando uno ti dice addio».

Le storie d’amore molto spesso finiscono unilateralmente. Si ha un guizzo, una noia al naso, si prende un’altra strada. La geometria del famoso compasso del poeta inglese John Donne si spezza, eccessivamente allargata: una gamba si allontana dall’altra troppo, è una spaccata, e il corpo che era unico non regge più.

La dinamica, lo strappo è singolare. Perché ne I confidenti di Charlotte Gneuss – autrice tedesca classe ’92, premiata con lo Jürgen Ponto-Preis e l’aspekte-Literaturpreis, due dei maggiori riconoscimenti letterari tedeschi per autori esordienti – si parla sì di storie che finiscono, ma la divisione dovrebbe al contrario essere la scomoda situazione di partenza.

Non è così, perché l’anno è il 1976, il luogo è la Germania dell’Est (abbreviata DDR in lingua tedesca), la Stasi (Staatssicherheit, i servizi segreti della ex Repubblica Democratica Tedesca) recluta collaboratori di ogni fascia d’età. Il clima di collettivismo sociale di ispirazione sovietica si sta tramutando in una guerra tra poveri, dove il delatore gioca contro il delatore e qualcuno – proprio come in un amore irrancidito – preferisce imboccare la via di fuga, “tradire” lo Stato e rifarsi una vita di là dal confine. Snap.

Crogiolo storico in cui i discorsi da cuori palpitanti sono metafora ma anche realtà dei fatti: basti pensare a Il cielo diviso di Christa Wolf, tra gli esempi più celebri di una letteratura che volle interrogarsi sulla situazione di un paese in cui l’individuo non era contemplato proprio attraverso le storie dei sentimenti legati all’intimità individuale. Amore oltre il confine e against all odds, che romanticata occidentale. Stava forse a una generazione più giovane e inglobata nel blocco atlantista, proprio quella di Gneuss, tornare a confrontarsi con la produzione (e i mezzi di produzione) del tempo, aggiornare la lezione e con essa il messaggio da lanciare nel futuro.

La scelta de I confidenti, a cavallo tra atmosfere alla David Lynch e ammiccamenti a una suspence da thriller, è quella di elidere l’amore dall’equazione, e in partenza: perché il romanzo narra la storia di Karin, adolescente della DDR che è abbandonata dal suo primo amore Paul, transfugo nel blocco Ovest. E mentre tutto crolla – sia i primi germi del fallimento dell’esperimento della Germania Est che i pilastri che reggevano la famiglia della protagonista –, Karin si trova a essere contesa tra due proposte storiche e personali, corteggiata dalla Stasi da un lato, condotta dalle ragioni del cuore dall’altro.

Alla fine, regge la lezione di William Butler Yeats: She bid me take love easy, / as the leaves grow on the tree; / But I, being young and foolish, / with her would not agree (Down By the Salley Gardens, “Mi ha pregato di prendere l’amore come viene / proprio come le foglie crescono sugli alberi; / Ma io, giovane e stolto, / non le diedi ascolto”), che arriva come in variatio a pagina 96 del romanzo di Gneuss: «Perciò dovresti prendere l’amore per quello che è: una cosa che va e viene, come le onde del Baltico. […] Devi solo essere aperta, Karin, aperta». Che si tratti di un fuoco adolescenziale o della proposta di un sistema politico. Mai lasciarsi indifferenti, questa è la lezione più importante, mai.

De I confidenti, di passato e di comunità abbiamo parlato con l’autrice in occasione del Salone del Libro di Torino 2024. Ringraziamo Iperborea, che ha portato il testo di Gneuss in Italia, per l’opportunità.

Io sono nata nel ’95, tu nel ’92, e la nostra generazione non ha vissuto il crollo della DDR. Come mai la scelta di focalizzarti su quel periodo storico, e con un’immedesimazione storica molto forte?
È vero, apparteniamo alla stessa generazione, però siamo anche molto diverse, mi spiego: i miei genitori vengono dalla DDR, io sono cresciuta con le storie di questo mondo che non c’era più. Quindi ho voluto usare questo romanzo come un’opportunità per raccontare quel periodo e per ripetere, anche se indirettamente, quelle storie. Volevo ricostruire questi ricordi, dare loro concretezza. Sono molto felice che la dimensione emerga nel romanzo, era il mio scopo. Per fare tutto questo ho applicato un tono letterario che mi interessava molto, ovvero parlare del non detto, trasmettere le cose che non si dicono e lasciare allo stesso tempo dei buchi, delle pause, così da dare ai lettori la possibilità di immaginarsi questo mondo, di costruirlo. La letteratura può fare questo, può parlare di tempi che sono stati, che non sono ancora stati, che non abbiamo vissuto. Può fare tante cose, e io ho scelto di farlo con l’anno 1976.

Ecco, lasciare lo spazio per il non detto: mi sembra che sia, oltre che un’evidenza stilistica, una metafora calzante per quello che è il presente della Germania unita, la DDR stessa è un buco, è un’isola che non c’è. C’è un aspetto della Storia del proprio paese che i tedeschi per primi non hanno ancora affrontato?
Certo, si può dire che non solo nel passato, ma anche nel presente di ogni paese e di ogni vita ci siano cose che vengono taciute, spesso hanno a che fare con situazioni di fortissima vergogna o di forte senso di colpa, spesso anzi capitano entrambi insieme e portano a non volerne parlare. Io ho avuto molte difficoltà, per esempio, per trovare un testimone che fosse effettivamente stato un collaboratore della Stasi, che potesse raccontarmi di quell’esperienza. Ho raccolto invece testimonianze delle vittime di questo sistema, è naturale, sono i carnefici a non parlare volentieri. C’è il tema per esempio dei collaboratori minorenni: in Germania non se ne parla spesso, è un tema che viene taciuto, tanti non ne hanno idea. Pensa che, durante una lettura del libro, una persona ha alzato la mano e ha smentito il mio racconto, dicendo che nella Stasi non c’erano collaboratori che non fossero adulti. Mi sono sentita a disagio, attaccata, ma subito si è alzata un’altra mano e la persona ha invece confermato la mia versione portando un aneddoto personale. 

Dobbiamo poi sempre tenere conto dell’enormità della transizione che ha portato la DDR ad allinearsi al sistema capitalistico della Germania dell’Ovest, difficilissima da vivere ed elaborare. Credo che cambiamenti così epocali dovrebbero essere affrontati poco a poco, invece per loro è stato tutto d’un colpo, e la strategia di sopravvivenza è stata quella di andare avanti per sopravvivere, di non rimanere a concentrarsi troppo sul passato. Elaborare il passato porta pace, una qualità di pace che ancora la Germania non ha.

Il romanzo si apre su una scomparsa, e pare che sia il corpo di Laura Palmer, lo scatto che dà l’opportunità agli altri personaggi di capire davvero la situazione che stanno vivendo, di osservarsi allo specchio. Che poi sono dinamiche del genere gaillo, thriller. C’era la volontà esplicita di andare in questa direzione?
Il romanzo inizia con un prologo, appunto il racconto di un incidente, ma è la parte di romanzo arrivata alla fine. Sono una grande fan dei gialli e simili, ne ho letti moltissimi durante l’infanzia, adoro la suspence che mettono in scena e trovo che sia importante sia che il lettore apprezzi il linguaggio letterario, sia che trovi una storia da seguire, pane narrativo per i suoi denti. Il prologo, comunque, si basa su una storia vera, è una cosa che mi aveva raccontato mia madre, si trattava di un caso di omicidio avvenuto in un paese vicino, mi aveva toccato profondamente. Senza fare spoiler, è un momento catartico nell’economia del libro, qualcosa che fa scattare uno dei personaggi.

Senza fare spoiler, diciamo che il personaggio a cui fai riferimento è la protagonista Karin, che viene soprannominata dal fidanzato Paul “Virgola”. Le virgole sono mute ma danno il ritmo, non si sentono ma sono fondamentali.
Le virgole sono elementi che stanno tra due proposizioni collegate, sono un legame, e infatti Karin sta nel mezzo, tra Paul che vorrebbe portarla via dalla DDR e la collaborazione con la Stasi. La virgola quindi può anche essere tra due persone o tra due mondi, proprio quello che succederà a Karin durante le vicende del romanzo. In più, Karin si trova anche nel mezzo di una trasformazione profonda per la DDR, il ’76 è l’anno in cui si piantano le basi per il crollo del Muro di Berlino nel 1989.

In mezzo tra la ragion di stato e le ragioni del cuore, tema peraltro piuttosto caro alla letteratura tedesca del Sette-Ottocento. Nella DDR aveva a che fare con il collettivismo, oggi siamo al polo forse opposto nello spettro, la società post-capitalista. Che cosa ne pensi del presente slegato in cui viviamo, come lo esperiscono i giovani, le Karin di oggi?
Sicuramente quello che è diverso tra i giovani di allora e di oggi è la richiesta che la società fa loro. Un tempo i giovani studiavano per fare i lavori che servivano al tempo, oggi a un giovane si chiede “che cosa vuoi diventare da grande?” E non lo sanno, perché hanno troppe possibilità. L’auto-realizzazione fa paura, la scelta mette troppa pressione. Anche senza dover legare il discorso a una nazione singola, contribuire attivamente alla società non è più una necessità da prima linea. Questo avviene anche nei movimenti di sinistra, che non parlano più di classe o società ma di politica dell’individuo e dell’identità. Secondo me manca, questa dimensione della collettività. Penso che sarebbe molto utile rimettere in primo piano il senso “più grande” dell’azione del singolo, dell’offrire qualcosa, dell’essere, tra virgolette, devoti alla società. È una cosa che abbiamo perso, e credo che farebbe molto bene non solo ai singoli, ma a tutti. Anche perché penso che la sicurezza collettiva si contrapponga sempre alla libertà individuale, e lo si vede bene oggi, dove l’individuo ricopre il peso maggiore.

Pensi che I confidenti sia più un romanzo di formazione o una storia di tradimento? Non che uno non possa comprendere l’altro.
Credo che lo dovranno decidere i critici e gli esperti. Io so solo che ho scritto un romanzo.

Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì, da un po’, ma sono molto lenta, ci metto davvero tanto a scrivere. Ogni paragrafo ha bisogno del suo tempo. Posso dire che questa volta sarà ambientato nel futuro, un futuro da cui una protagonista anziana guarda al nostro presente. Ma non voglio parlarne troppo, mi annoierei e non vorrei più scriverlo.


Charlotte GneussI confidenti, traduzione di Silvia Albesano, Milano, Iperborea 2024, 17€, 219 pp.