C’è una valle da poco, c’è un narratore che è nato in quella valle ma non ci vive più; però ci torna appena può, per accompagnare suo fratello Pietro, micologo, e osservarlo nel lavoro di ricerca dei tartufi. Nello scavo, con i funghi, riemergono i ricordi di ciò che hanno passato insieme, di loro padre e di un territorio dell’Appennino emiliano che, seppure sia definito nei dettagli da frequenti riferimenti toponomastici e da un linguaggio specifico per nominare funghi e piante, sembra risiedere in una posizione liminare con il fantastico. I suoi abitanti, che spesso camminano nella nebbia o si muovono nel folto del bosco, sono parenti di Arietty e degli altri personaggi incantati di Miyazaki.

C’è un capitolo dell’ultimo romanzo autobiografico di Sandro Campani, Alzarsi presto – Il libro dei funghi e di mio fratello (Einaudi 2023), che si intitola Lo stesso spazio e inizia così:

«Nel tornare alla jeep, lungo il sentiero, sentiamo delle voci di bambini; montati in macchina e avviati li vediamo, insieme ai genitori; più avanti ci sono altri escursionisti: lì passa un sentiero del CAI, sul tracciato di una via settecentesca che sta in cresta e poi scavalca l’Appennino, le Apuane e va al Tirreno. È piacevole, da dentro la jeep, infreddoliti e sporchi, vedere in quel sole la gente contenta, con le racchette e i vestiti fluorescenti, pochi metri sopra a dove abbiamo cavato i tartufi. Ci veniamo incontro, ci passiamo accanto, ma non siamo nello stesso spazio» (p.26).

Nello stesso luogo vivono due «mondi compresenti» (p. 46). Ma ciò che rende invisibili e quasi irreali gli abitanti di questa valle è, per paradosso, proprio l’appartenenza e la fedeltà ai luoghi. In Campani il legame romantico di rispecchiamento tra natura e uomo sembra invertito: è la natura della valle a modellare chi vi abita, non viceversa, così tanto che a volte sembra che i personaggi siano parte del bosco quanto il fiume, i salici, le querce. Nel bosco non si vedono perché sono parte del resto, si mimetizzano. Ogni loro gesto e azione porta le ragioni del bosco.

Il narratore lo sa, perché è un essere ibrido, frequenta i due mondi, scrive da un punto di osservazione privilegiato, anche se da magone: è uno che in quei posti è nato e ha vissuto fino ai trent’anni, quando poi ha deciso di lasciarli, come in tanti hanno fatto. Ora che torna, seppure sappia che non potrà più riappropriarsene, prova lo stesso ad avvicinarsi più che può a quelli che in passato sono stati i suoi luoghi: attraverso la scelta della lingua, un italiano regionale con diversi termini che hanno radice nel dialetto; e quella di seguire il fratello nei suoi giri per il bosco, che nulla hanno a che vedere con le passeggiate svagate di un turista. Ogni passaggio, ogni tartufo trovato è un atto di fedeltà e di rispetto. Lo stesso che Sandro Campani mette nella scrittura. I suoi tre romanzi pubblicati da Einaudi – oltre ad Alzarsi presto, I passi del bosco (2020) e Il giro del miele (2017) – sono tutti ambientati in questi luoghi e ciò che più colpisce è la fedeltà con cui l’autore cerca di aderirvi. Un filo rosso che li unisce ed è pregnante nella poetica di Campani è la tensione verso quella che potrebbe essere definita la malora, chiedendo il termine in prestito a Fenoglio, altro scrittore fedele ai “suoi posti”. C’è un passaggio in Alzarsi presto che lo rivela:

 «Arrivando da ore di bosco – guardando da sotto, protetti dall’ombra, la schiarita di un campo con la sua casa in mezzo – ci affacciamo sulla vita degli uomini da fuori; cominciamo a trovare i sacchi di plastica, le cassette da frutta sfondate, i copertoni (quanti copertoni!), le vasche da bagno ribaltate, anni di birre stappate bevute e buttate giù per la stessa ripa, e cominciamo a vedere che cosa vuol dire quel tempo in cui si viveva davvero nei posti, giorno per giorno (adesso, si spera, i più vanno all’isola ecologica; ma i più sono diventati meno: dove non stai, non produci rifiuti); e anche questo mondo in cui stiamo vivendo, girando dietro ai cinghiali nella siccità irreversibile, bestemmiando per il poco che troviamo, è un mondo di prima. Ma noi ne abbiamo la consapevolezza: stiamo camminando nel mondo di prima» (p.68).

Questa discarica a cielo aperto richiama il rifugio segreto della lince de Il giro del miele, animale mitologico che abita la valle e simbolizza l’istinto distruttivo degli uomini, da cui sono attraversati tutti i personaggi del romanzo così come quelli de I passi del bosco. Un istinto che è figlio di un luogo “difficile”, per il lavoro che produce, l’isolamento della provincia, il magone che fa salire la nebbia, e che viene descritto in quanto esiste, senza alcun giudizio morale.

Il rispetto è poi nell’attenzione alla costruzione dei personaggi: ognuno di essi ha infatti una propria voce e una propria gestualità inconfondibili. Se questo tratto era centrale ne I passi del bosco, in cui, seguendo una struttura in cui gioca un ruolo centrale la focalizzazione, gli stessi eventi sono raccontati dai diversi abitanti di un paese dell’Appennino modenese (anche se nei tre romanzi poco accade, come aveva scritto Michele Maiolani, per mostrare come «il centro della scrittura di Campani non stia tanto nel ‘cosa’, ma piuttosto nel ‘come’ le vicende sono narrate»), ritroviamo la medesima cura in Alzarsi presto. Oggetto di tale attenzione, insieme al fratello, sono i suoi cani: «Non esistono l’uomo e il suo cane: c’è un uomo e c’è un cane: il tuo carattere conta come il suo, conta l’età che avete, e dovete prendervi bene, perché il lavoro lo fate in due» (p.19). La Biba, la Chicca e la Dea hanno ritratti fatti dei loro movimenti. Il narratore le osserva e riporta il più fedelmente possibile il loro modo di interagire con il bosco e prendervi parte.

Solo due capitoli non sono ambientati nell’Appennino. Ma se uno, in Svezia, descrive i viaggi fatti dal fratello e il padre in cerca di funghi, spiazza per la violenza con cui la realtà del mondo “di fuori” fa incursione nella storia il secondo, che si intitola Morire o farsi male. Qui il narratore abbandona per poche pagine il fil rouge fungaiolo, per seguire il percorso che per tutto il libro gli è stato parallelo: il rapporto stretto con il fratello, il loro modo di crescere insieme, formarsi alla vita, mettendola a rischio, alcune volte, nelle loro avventure. È un capitolo costituito per la prima parte da passaggi brevi, in cui Campani racconta antichi episodi e tra essi la zappata che Sandro avrebbe dato per sbaglio, nella vigna, in testa a Pietro, che svela l’innesto de I passi del bosco in uno dei personaggi-narratori, Antonello.  Segue il racconto dell’esperienza del G8 di Genova, a cui è dedicato maggiore spazio. Se “la malora” è vista come un male “naturale”, la distruzione sperimentata nel 2001 ha un carattere molto diverso e non può essere descritta se non come qualcosa che cade addosso in modo disordinato e incomprensibile. Nel caos della carica della polizia i due fratelli si perdono e riescono infine a ritrovarsi perché ciò chiama il loro destino, come è scritto anche nel “glossario sentimentale” che chiude il libro, dove sono riportati i diversi termini specifici di denominazione dei funghi: «C’è un fungo che vedi per primo, e subito speri non sia solitario, ma faccia parte di una BOLLATA, la più numerosa possibile: cominci a cercare se ha dei fratelli. C’è una credenza che abbiamo sempre avuto: quando un porcino ha una parte del gambo che si stacca e si arriccia verso l’alto, quel porcino deve avere un fratello, e il ricciolo te ne indica la direzione. Se sono due riccioli, allora due fratelli. Chissà perché ci crediamo» (p.168).

Rispetto, fedeltà, un rapporto quasi mistico con la natura sono le linee che guidano la scrittura di Sandro Campani in questo viaggio di riappropriazione dei luoghi e della memoria, uniti tra loro da un legame di sangue. 

(grazie a Sandro Campani per le fotografie)


Sandro Campani, Alzarsi presto – Il libro dei funghi (e di mio fratello), Einaudi 2023, pp. 184, € 16,00