Possiamo davvero affermare di essere stati giovani se non abbiamo condiviso appartamenti fatiscenti con sconosciuti, se non ci siamo illusi di essere davvero nel luogo giusto, se non abbiamo inseguito un amore contro qualsiasi logica?
E chi non ha mai avuto un mandala o un poster polveroso appeso dietro al letto, che non poteva e non riusciva a staccare?

Il memoir della giornalista spagnola Anna Pazos, classe 1991, prova a darci una risposta scrivendo un vero e proprio viaggio nella gioventù, nei suoi errori, nelle sue contraddizioni, nella loro espressione più autentica. La narrazione della scrittrice risulta sempre frenetica ma profonda, balza da un luogo all’altro trasportandoci in un mulinello di emozioni che sfuggono alla presa. Immaginate di imbarcarvi su una crociera islands hopping senza mai avere tempo per riprendere fiato tra una tappa e l’altra, tra un amante e l’altro, di traslocare in diversi alloggi, avventurarvi via terra, via mare, e prendere il largo, pronti ad affrontare quello che la giornata offre. In Tagliare il nervo, lo scintillio, l’euforia delle cose fatte per la prima volta diviene endemico e finisce per annebbiare il ricordo delle infelicità, delle delusioni e delle inquietudini che caratterizzano il percorso di Ana come quello di qualunque ventenne alla ricerca spasmodica del proprio posto nel mondo.

«A venticinque anni dovrei essere già qualcuno, penso. E in cosa consiste, essere qualcuno? Se lo fossi, lo saprei. Non avrei questa sensazione diffusa di allarme e di fallimento, né il sospetto che stia perdendo anni cruciali della mia vita in una ricerca puerile».

Anna Pazos, giovane ma affermata documentarista e corrispondente, ha collaborato con i maggiori quotidiani internazionali, da El País a Le Monde diplomatique, da Haaretz al The Jerusalem Post, e la sua autentica esperienza di giramondo e di ricercatrice conferisce al memoir un’aurea irresistibile per chi è appassionato di relazioni internazionali e, come me, spesso è stata vittima della stessa fascinazione per i luoghi più interessanti sì, ma anche più oscuri, pericolosi o squallidi del nostro pianeta. Dall’atmosfera cameratesca di Salonicco – città «di una bruttezza irredimibile» ma anche «arcadia perduta»-, a Gerusalemme con i suoi conflitti interreligiosi che fanno sentire la protagonista una shiksa, un’estranea, l’autrice ci porta in Spagna e, infine, in mare aperto mentre intraprende una traversata oltre oceanica in compagnia di un equipaggio a dir poco raffazzonato. Quando la scrittrice vince una borsa di studio a New York, la città si svela in tutti i suoi estremi, frenesia e solitudine, uno spazio dove ci si sente sempre in ritardo rispetto agli altri e a sé stessi, circondati da «anime sfinite e sovrastimolate».

«Ecco concluso il mio tentativo di radicarmi a un paese tramite la stirpe, uno dei molti tentativi falliti di radicamento che si sono succeduti durante la mia giovinezza»

Tagliare il nervo non è solamente un romanzo «pieno di posti» dove i viaggi occupano uno spazio preponderante, ma è anche fatto di personaggi divertenti e di amori, spesso strampalati come lo sono quando siamo ancora alle prime armi con la vita. Anche le relazioni sentimentali, più spesso simili a rapporti fruibili, di passaggio, d’occasione, possono essere racchiuse nei due concetti chiave del romanzo: disincanto e tormento. I maschi di Pazos si susseguono uno dopo l’altro, fondamentali, eppure anche loro funzionali alla ricerca del proprio io, un ennesimo campo di prova delle proprie capacità di sedurre, conquistare, appartenere e godere della vita animata dal presupposto che «siano gli altri a prendere decisioni irrazionali, e che invece noi ci comportiamo con integrità, lucidità e rispetto di noi stessi».

Con sguardo lucido e disincantato, Pazos fa luce sull’essenza degli amori tossici, non corrisposti, esagerati, extraconiugali, poligami, o semplicemente destinati a fallire– «le cose finiscono» dirà Guillermo, il fidanzato del momento- di cui ciascuno di noi può aver avuto esperienza almeno una volta nella vita. Ciascuno complice e succube della propria illusione perché «c’è qualcosa di eccitante, perfino di coraggioso, nell’osare cedere completamente» perché la sofferenza ci fa sentire più vivi e «puoi innamorarti del tormento del rifiuto, servirtene come rimedio contro la noia, sentirlo tuo e considerarlo la prova della straordinaria qualità dell’amore».

Con una voce intensa e originale, consapevole e spesso ironica, Pazos trae forza da un immaginario vero e intimamente reale che mai viene diluito in luoghi comuni e concetti preconfezionati. È curioso che Tagliare il nervo e il film Parthenope di Paolo Sorrentino siano usciti quasi contemporaneamente in Italia e suscitino entrambi, pur attraverso spazi e personaggi diversissimi, la stessa voglia di vita, più vita e ancora più vita, per evocare un’espressione ripresa da Intermezzo, l’ultimo romanzo dell’irlandese Sally Rooney. Quello che però Tagliare il nervo fa benissimo, con il semplice uso della parola, superando di gran lunga questa pellicola di Sorrentino, è creare sequenze scenografiche esteticamente ricercate la cui bellezza o crudeltà aderisce completamente al senso profondo e complessivo dell’opera.


Anna Pazos, Tagliare il nervo, trad. A. Sbardella, nottetempo, Milano 2024, 252 pp. 16,90€