A fine agosto la metropolitana di Parigi è tappezzata di manifesti che annunciano la rentrée, il ritorno a scuola, la fine delle vacanze, con grandi offerte di cancelleria e zainetti. Le riviste femminili si riempiono di consigli su come conservare l’abbronzatura e non subire lo shock da rientro al lavoro. E anche il mondo letterario è in fermento. Da ferragosto a inizio ottobre viene pubblicata la stragrande maggioranza dei libri che escono in Francia durante l’anno. Questo fenomeno è detto rentrée littéraire ed è tipicamente francese.
L’uscita in contemporanea di quasi 700 novità fa emergere ben pochi titoli che suscitano l’attenzione dei media e della critica. Tuttavia tale attenzione c’è ed è forte: la rentrée littéraire è un vero e proprio fenomeno mediatico, di cui si parla nel telegiornale delle 20, nella stampa grand public e nei programmi radiofonici. Anche i lettori occasionali sono così coinvolti e interessati e non a caso in Francia più del 75% della popolazione legge almeno un libro all’anno. È poi tra i libri della rentrée che si selezionano i candidati ai principali premi letterari francesi: il “Goncourt”, il “Fémina”, il “Renaudot”, il “Médicis”. Spesso, come in Italia, questi premi sono pilotati dalle case editrici e forse è divenuto più indicativo sulla qualità di un romanzo un premio come il “Goncourt des lycéens”, per il quale la giuria è costituita da ragazzi delle scuole di tutta la Francia. Tuttavia, i premi restano uno dei grandi motori dell’acquisto, anche più che in Italia: un libro dalla scrittura non sempre molto accessibile come Trois femmes puissantes di Marie NDiaye è arrivato a vendere quasi mezzo milione di copie dopo la vittoria del Goncourt nel 2009 (e dopo la polemica che è seguita per le critiche dell’autrice ai ministri di Sarkozy sul tema dell’identità nazionale). Il romanzo dell’autrice che aveva venduto di più prima del premio era arrivato a stento a ventimila copie.
Il fenomeno della rentrée può essere dunque criticato per la sua mediaticità, per il fatto che molti titoli degni di nota rischiano di passare inosservati, ma permette di portare l’attenzione del grande pubblico sulla letteratura, cosa che in Italia si riesce a fare con molta fatica. L’aura istituzionale che circonda la rentrée fa sì che anche la critica militante di alto livello possa trovare risonanza, mentre nel nostro paese è solo il marketing a dominare nei momenti delle grandi vendite, principalmente sotto Natale.
Tra i romanzi appena usciti ce ne sono alcuni che meritano particolare attenzione, tralasciando autori come Amélie Nothomb che ormai da vent’anni è presente a ogni rentrée con un nuovo titolo.
Peste & Choléra di Patrick Deville, edito dalle Éditions du Seuil, è stato selezionato per quasi tutti i principali premi. Come nei suoi ultimi tre romanzi Deville si ispira alla vita di un personaggio realmente esistito, in questo caso Alexandre Yersin, lo scopritore del bacillo della peste. L’autore ha cominciato a scrivere all’interno della corrente minimalista inaugurata negli anni Ottanta alle Éditions de Minuit, di cui gli esponenti di punta sono Jean Echenoz e Jean-Philippe Toussaints, al contempo eredi e contestatori del Nouveau Roman. Nell’ultimo decennio Deville ha invece trovato una via più legata alla sua esperienza personale di instancabile viaggiatore e di appassionato di letteratura latino-americana: la via del romanzo storico e d’avventura, in linea con la tendenza contemporanea del ritorno alle grandi narrazioni, in Francia, ma non solo.
Un altro autore cavalca un’altra tendenza, quella del neo-engagement: i temi di pubblico interesse sono trattati partendo da punti di vista individuali. Si tratta di Thierry Beinstingel, classe 1958, impiegato per molti anni alle poste, che ha iniziato a scrivere nel 2000 e pubblica da Fayard un libro sull’alienazione nel mondo del lavoro. Protagonista una giovane donna che per far carriera deve far licenziare il sessantenne fondatore dell’azienda per cui lavora. Il narratore non prende una posizione tra i due protagonisti, ai quali si rivolge con la seconda persona, “tu” per la ragazza, “vous” per l’uomo, senza mai nominarli, ma mostrandone i pensieri e le reazioni al sistema nel quale sono inseriti. Il mondo del lavoro è un’isola deserta abbandonata dall’umanità, sembra suggerirci l’autore con il titolo del romanzo. Ils désertent si pronuncia infatti esattamente, magie della lingua francese, come “île déserte”.
Ci sono poi due giovani quasi esordienti che si sono fatti notare in questa rentrée. Dopo il Goncourt attribuito lo scorso anno a Alexis Jenni, professore di mezza età in un liceo di Lione, la figura del neofita che si fa largo tra le pubblicazioni della rentrée non sembra certo mancare. C’è così Aurélien Bellanger, un dottorato di filosofia lasciato a metà, professione libraio, che pubblica nella prestigiosa collezione Blanche di Gallimard un romanzo dal titolo La Théorie de l’information che narra della rivoluzione informatica in atto dagli anni Ottanta a oggi attraverso la storia personale di uno dei suoi protagonisti, ben riconoscibile dietro il nome fittizio. La novità del tema, lo “stile wikipedia” e il riuso del modello dell’arrampicatore sociale del classico Balzac, rivisitato alla luce di Houellebecq (Bellenger ha pubblicato nel 2010 un saggio dal titolo Houellebecq, écrivain romantique) fanno parlare di grande novità della letteratura ultra-contemporanea. Ma l’Accademia Goncourt non ha selezionato il romanzo per il premio, preferendo un altro giovane autore, lo svizzero Joël Dicker, che pubblica per L’Âge d’homme/ De Fallois un lungo romanzo noir ispirato agli autori americani tanto amati: La Vérité sur l’affaire Harry Quebert.
Dicker non è il solo tra gli autori della rentrée e tra i candidati ai vari premi a non essere originario della Francia. Le distinzioni tra letterature francofone e letteratura francese permangono forti nella critica letteraria, ma di fatto gli autori francofoni sono quasi sempre pubblicati da case editrici del cosiddetto Esagono e fanno parte a pieno titolo del canone letterario francese contemporaneo. In questa rentrée si segnalano il guineano Tierno Monenembo (Le terroriste noir, Seuil), la vietnamita Linda Lê (Lame de fond, Bourgois), il greco Vassilis Alexakis (L’enfant grec, Stock), il marocchino Abdellah Taïa (Infidèles, Seuil) e molti altri.
Tra le opere teatrali si segnala Tout mon amour di Laurent Mauvignier, uscito il 20 settembre da Minuit. La sua pièce sarà rappresentata, grazie alla collaborazione con il gruppo teatrale “Les Possédés”, a Tolosa al Théâtre Garonne dal 23 al 27 ottobre e a Parigi al Théâtre de la Colline dal 21 novembre al 21 dicembre. Mauvignier, affermatosi come romanziere con l’opera di esordio Loin d’eux del 1999, è alla sua prima opera teatrale. Sarà interessante vedere come l’autore, scultore di formazione, declinerà nell’arte drammatica i temi che ricorrono ossessivamente nei suoi romanzi, come il non detto e l’indicibile, temi per definizione dalla difficile resa teatrale.
Infine, come spesso accade, i grandi casi letterari non riguardano soltanto la letteratura, come dimostra la vicenda di Richard Millet, di cui si è parlato anche sui quotidiani italiani. L’autore, stimato romanziere, saggista e editor, ha pubblicato per l’editore Pierre-Guillaume de Roux un saggio intitolato Langue fantôme, suivi de Éloge littéraire d’Anders Breivik. Il pamphlet di 18 pagine, in cui l’autore giustifica la strage di Utoya come reazione alla minaccia dell’immigrazione extra-comunitaria e alla multiculturalità che ne deriva, è stato duramente condannato dall’opinione pubblica francese. Richard Millet, da tempo vicino a posizioni di estrema destra, si è visto costretto ad abbandonare il suo posto nel comitato di lettura Gallimard, anche in seguito alle critiche di colleghi come Annie Ernaux o Jean-Marie Gustave Le Clézio. In tempi di letteratura non engagée, questa vicenda dimostra invece come fare letteratura sia sempre fare politica, soprattutto quando la letteratura è al centro dell’attenzione dei media come accade alle rentrée.