di Giacomo Raccis
Si presenta in maniera forte e irriverente ai propri lettori la Neo Edizioni. Nata da appena quattro anni, questa piccola casa editrice abruzzese (di Castel di Sangro per la precisione) si affaccia al mare magnum dell’italico mercato editoriale con una piccola ma eccentrica proposta: “Cerchiamo opere viscerali, amorali, irriverenti, dissacranti”. È questa l’intestazione che campeggia nella pagina dedicata alla linea editoriale: un motto che chiama a raccolta tutta una schiera di scrittori, aspiranti o affermati, decisi a rompere le barriere tra i generi e tra gli stili, desiderosi di portare la lingua verso le più ardite sperimentazioni, per promuovere una scrittura fatta di creatività, ma sempre attenta allo stile. La provocazione come strumento più adatto a rappresentare il «marasma universale» che domina oggi le nostre vite: sembra essere questo il punto di partenza della sfida di Angelo Biasella e Francesco Coscioni, menti e anime da cui è nata la casa editrice.
Una struttura ancora snella, ma già ricca di spunti: 13 titoli in catalogo (con autori non solo italiani, cosa non da poco per una piccola casa editrice), distribuiti in 5 collane (Dry, Iena, Potlach, Intimate, i Nei), a testimoniare di un’offerta che si vuole fin da subito articolata e diversificata. Grafica accattivante, con una speciale cura per le copertine (dove il tratto del disegno anticipa i toni spesso espressionistici della scrittura). Anche da questo punto di vista Neo. Edizioni mostra una strategia coerente e consapevole: associare una proposta di lettura precisa e audace a una confezione libraria elegante e riconoscibile. Ne parliamo con Angelo Biasella, socio-fondatore, scout e editor della casa editrice.
Da come si può intuire passando in rassegna le diverse sezioni del vostro sito (davvero tante e, già queste, originali!), l’impresa di Neo. nasce da una profonda insoddisfazione nei confronti di un mercato editoriale che appare sempre più votato a una sterile conservazione dello status quo (quindi di una lenta e anestetizzata decadenza): stufi di affidare le vostre speranze e le vostre esigenze a un sistema sempre più interessato al solo aspetto economico-commerciale, avete deciso di “mettervi in proprio”. Da questo impulso di auto-rappresentazione alla costruzione di un’impresa vera e propria, che sappia ritagliarsi un proprio riconoscibile spazio nel grande spettro editoriale italiano, il passo non è così semplice. Ci sono di mezzo passaggi come il reperimento di fondi, la costruzione di una rete di contatti, il reclutamento della scuderia di autori, la “realizzazione” dei testi; e poi il lavoro quotidiano, che al tempo dei social network si moltiplica in mille rivoli, tutti ugualmente importanti. Voi come avete fatto?
Lo step iniziale è l’unico momento veramente folle. Per decidere di fondare una casa editrice – in questo periodo e in Italia – c’è bisogno di un corto circuito cerebrale. Qualcosa di simile a un neurone impazzito, lanciato a grande velocità, che approccia una parabolica sulla sinapsi ma, data la spinta eccessiva, perde grip e viene catapultato in alto, nella stratosfera e poi oltre, nello spazio siderale. Deve partirti un embolo e tu, invece di farti curare, lo devi assecondare. È una cosa abbastanza ricorrente, in fin dei conti. Il fatto, però, che sia successo contemporaneamente a me e a Francesco è un accadimento piuttosto singolare. Una volta rinsaviti, c’è solo da dar seguito a quella decisione presa in modo assolutamente sconsiderato.
Tutto il resto (i contatti, gli autori, i libri) viene dopo e necessita di tempo, lavoro e almeno un minimo di esperienza.
Comunque, non siamo completamente insoddisfatti dell’offerta editoriale italiana e sarebbe pretenzioso affermare di essere gli unici a pubblicare libri davvero innovativi. In verità, ammiriamo il lavoro di altri editori. Per dirne alcuni, ci piace come si muoveva la SugarCo, ci piacciono le vecchie pubblicazioni di Tullio Pironti, ci piace ancora qualcosa di Einaudi, qualcosa di Bompiani e molto di Adelphi. Ci piacciono anche Minimum Fax e Marcos y Marcos. Immaginiamo la Neo. come un contenitore in cui riversare tutte le opere in cui crediamo. E quelle stesse opere potrebbero, in teoria, essere pubblicate dalle succitate case editrici col rischio, però, di perdersi nei loro cataloghi, sicuramente più corposi del nostro. Ecco, noi ci vediamo semplicemente come un distillato degli editori che stimiamo.
Quello editoriale è un lavoro difficile, pieno di responsabilità e di scelte nette: un sì o un no, riguardo a un libro da pubblicare, possono cambiare l’immagine o le sorti di una casa editrice. Un attento lavoro di conquista di certi spazi del campo letterario mandato in fumo da un testo letteralmente “fuori luogo”, non all’altezza. Nel caso della vostra linea editoriale, poi, la scelta sembra farsi ancor più difficile. Per rimanere al simbolo del vostro marchio: come distinguere tra un neo posticcio, di quelli che andavano di moda negli anni trenta come segni di una presunta distinzione, e un neo naturale, spontanea espressione di un’originalità innata? In altre parole, come fare a capire quando la provocazione non è una posa? Quando si riconosce che dietro la forzatura del limite c’è davvero un interesse conoscitivo?
Bella domanda, ma non ho una buona risposta. È un discorso talmente delicato e arbitrario che non tollera asserzioni definitive. So che è inelegante ma, per togliermi dall’impasse, rispondo rivolgendoti un’altra domanda: Lars Von Trier è un genio o un maniacodepressivo con scompensi della sfera sessuale? Io propendo per la prima ipotesi – e, a dire il vero, non mi dispiace la seconda – ma so perfettamente che è un giudizio soggettivo, come assoggettate ai nostri giudizi sono tutte le scelte editoriali che facciamo. Ci affidiamo alla nostra sensibilità nella speranza che le nostre percezioni siano anche quelle dei lettori a cui ci rivolgiamo. Ogni libro pubblicato è un rischio. Un rischio che, evidentemente, ci sentiamo di correre. E la decisione, il più delle volte, è dovuta ad una scintilla empatica col manoscritto in questione piuttosto che a freddi calcoli gestionali. Il break even point, tanto per intenderci, è un argomento intenzionalmente marginale in tutte le nostre valutazioni. Insomma, a nostro parere, tutti i Nei del nostro catalogo sono nei naturali.
Oggi la produzione libraria, in Italia, vede dominare una scrittura di genere dai tratti ripetitivi e facilmente riconoscibili o una risma di “romanzi di costume” che accolgono e confortano chi legge. Voi avete scelto la provocazione per smuovere le acque, per suscitare reazioni. Obiettivo della missione: risvegliare il lettore medio, tirarlo fuori dal piattume anestetico in cui si trova immerso. Ma può bastare lo shock, il colpo che disorienta? Come si può pensare (dal punto di vista di chi fa i libri) di associare questo shock a un’opera più articolata che susciti un’abitudine alla lettura “criticamente responsabile”?
No, il concetto di “responsabilità” – in ogni sua possibile accezione – è qualcosa che non ci appartiene e verso cui non amiamo tendere. I nostri libri non mirano a formare un lettore-tipo né a “svegliare le coscienze” (che ci sembra una cosa molto importante ma anche abbastanza abusata). Il verbo “spiazzare”, ecco, quello è una cosa che ci piace e che ci connota. Tutti i nostri titoli sono “spiazzanti”. Pensiamo che laddove c’è uno scarto – qualcosa di inaspettato o di inusuale – ci sia sempre e comunque un processo conoscitivo. I nostri lettori cercano la sorpresa anziché la conferma. In sostanza, la Neo Edizioni non è un’alcova rassicurante. È piuttosto un veliero sgangherato in balia del mare in tempesta. Chi si imbarca lo fa in cerca di avventura e i facili approdi se li lascia scientemente alle spalle.
Parliamo di una delle vostre ultime novità: Quattro soli a motore di Nicola Pezzoli (in libreria da metà ottobre). Si tratta, come recita anche la quarta di copertina, di un «romanzo corale», ma che ha al proprio centro la figura eccentrica e dominante di un bambino, Corradino, che ricostruisce con prosa fluviale e irriverente il ricco microcosmo del suo paese (Cuviago, Lombardia occidentale) e le molteplici avventure dell’estate del 1978. L’atmosfera ricorda un po’ Io non ho paura di Ammanniti (correva l’anno 2001); l’autore ha dichiarato di aver scritto questo romanzo perché gli sembrava che mancasse nella recente produzione italiana un «bel romanzo di formazione»: dove pensi che si collochi, questo libro, nel quadro delle tendenze e delle mode del panorama italiano di oggi?
Pubblichiamo poesia, raccolte di racconti e anche testi teatrali. Questo per dire che alle tendenze del mercato siamo del tutto impermeabili. Se un’opera ci convince, decidiamo di pubblicarla e poi ragioniamo su quali siano i canali adatti e indispensabili a che il progetto editoriale non si riveli un disastro di proporzioni bibliche. In quest’ottica, Quattro soli a motore di Nicola Pezzoli è un romanzo totalmente inclassificabile. Abbiamo provato ad etichettarlo come romanzo di formazione a tinte noir ma il nostro è stato un palliativo atto soprattutto a facilitare il compito dei librai, dei distributori e di tutti gli addetti ai lavori. In verità, Quattro soli a motore contiene, al suo interno, elementi distintivi del noir, del surreale, della satira, della fantascienza, dell’horror, del tragicomico. E tutto, magicamente, risulta organico e condivisibile agli occhi di un lettore senza preconcetti. Il fatto che stia andando bene è confortante, non tanto per le nostre casse quanto per l’immagine dei lettori a cui molti colleghi ci avevano detto di abituarci. Ci stiamo ricredendo, invece, sulla presunta inadeguatezza dei lettori italiani e sulla loro denunciata incapacità critica. Stiamo cambiando idea ed essere smentiti è comunque una sorpresa. Una cosa spiazzante e sempre auspicabile.
P.s.: Se passate da Roma, dal 6 al 9 dicembre, li trovate a Più libri più liberi (Stand Q16). Potrete conoscere di persona Angelo Biasella e Francesco Coscioni e scoprire l’ultimissima proposta di Neo. Edizioni: L’uomo che viaggiava con la peste, di Vincent Devannes, da oggi nelle librerie.