Inauguriamo oggi una nuova rubrica: il Dizionario degli Italiani d’Oggi (per non parlar del cane). Ogni giovedì pubblicheremo un’istantanea tratta da un sorta di album fotografico di una nuova italianità. Nunzia Palmieri fa ricorso a un inedito vocabolario per raccontarci, dalla specola del piccolo paese di Melendugno, un’umanità eccentrica, apparentemente lontana dalle nostre vite. Attraverso la sua prosa, ora stralunata e ora pirotecnica, ci accorgeremo che si tratta di persone (animali e oggetti) non molto diverse da quelle che riempiono le nostre giornate.
Da un anno al Bar Centrale di Melendugno c’è lui a servire bevande ai clienti abituali, ai viaggiatori di commercio con tappe fisse, ai semplici avventori di passaggio capitati per caso durante un tour mal programmato nei luoghi turistici di maggior interesse della regione salentina. Tutti quanti, insomma, da quelle parti, sanno che sedendosi ai tavoli all’aperto disposti a ferro di cavallo nell’angolo sud-ovest di Piazza Carmine a Melendugno avranno a che fare con le piroette e gli scioglilingua incomprensibili di Vito Mario Monnella di Salvatore, la cui specialità sono le comitive in sosta turistica forzata: Vituccio le ingreggia come il più agile fra i cani da pastore, correndo incontro ai torpedoni ancora incerti sul da farsi (tappa a Melendugno o diagonale in direzione Lecce via Vernole-Strudà-Zona Marangi?), inchinandosi ai paraurti, tenendo sermoni introduttivi ai pneumatici in fase di rallentamento. E poi: un sorriso all’autista in frenata, una mano alla signora di mezza età impacciata dalla pinguedine e dalla sovrabbondanza di bagaglio a mano, una carezza al bambino fremente per le urgenze corporali, e il gioco è fatto. Cinque granite al caffè, quattro al limone, dodici rustici, ventotto bocche di dama, quarantacinque pasticciotti, tre caffèmacchiati, un caffècorrettograppa, un caffècorrettocognac, un caffèlungofreddoamaro, un caffèaltoconpocolattecaldo, un caffèdecaffeinatobassoalginsengmacchiatolattefreddo: questo per quanto riguarda le ordinazioni. Poi vengono i conti, e un saldo finale che in tali frangenti può raggiungere cifre mai sentite in tutto il Salento e oltre, e soprattutto mai documentabili in forma cartacea, essendo che la cassa del Bar Centrale, con i caldi che manda talvolta il cielo della Regione Puglia, si rifiuta di emettere qualsiasi cosa. Ma tutto questo non è nulla, se paragonato a quanto Vito Mario Monnella di Salvatore, detto il Sommisquo, riesce a fare nei pomeriggi torridi d’estate con Lucio Lucetta.
Dovete sapere che Lucio non ha l’abitudine di portare con sé del denaro, forse per via del fatto che suo padre gli fa ogni giorno centinaia di raccomandazioni: «Lucio mi raccomando i soldi. Lucio, tu sei distratto, non li tenere nel portafoglio che te lo rubano. Lucio, figlio mio, non li tenere in tasca che ti cadono. Lucio, io te lo posso dire che me ne intendo, non li tenere in mano che sono sporchi e trasmettono le malattie», e così via, tanto che Lucio Lucetta di Cosimo Lucetta lascia sempre i conti in sospeso, fidandosi incautamente di Vito Mario Monnella di Salvatore, amico d’infanzia e compagno di banco alla scuola d’avviamento professionale “Cristoforo Colombo” di Copertino. Così i conti si fanno a fine mese, fra il giorno 28, se trattasi del febbraio di un anno non bisestile, e il 31 di quei mesi misconosciuti che restan fuori dalla faccenda del novembre con april giugno e settembre. E sono sempre conti incomprensibili, risultanti da equazioni di secondo grado corredate da frazioni, da radici quadrate e da potenze in parentesi tonda e graffa. Lucio, che ha ereditato dal padre Cosimo l’attitudine alla rassegnazione paziente, stupisce e paga, paga e stupisce senza ribellarsi mai, e mentre firma a testa bassa un assegno al portatore maneggiandolo con i guanti per evitare la pericolosa diffusione delle nuove malattie tropicali, pensa a quando la Titìna lo prendeva per un polso e lo trascinava nella lampara di suo nonno, puntando il remo sullo scoglio per spingere avanti l’imbarcazione e darle il largo. A questo pensa Lucio mentre Vito Mario lo seppellisce nelle infinite tiritere sulle consumazioni inevase: pensa alla Titìna che gli dava lunghi baci e gli sussurrava parole dolcissime accarezzandogli la nuca, mentre la luna diffondeva i suoi riflessi sullo specchio del mare nero, pacificato dal silenzio della notte.
Nunzia Palmieri