di Alice Maggioni
“Da questa parte di New Orleans c’è sempre, a qualche porta di distanza, e dietro l’angolo, un pianoforte che dita brune scorrono con soavità. Questo Blue Piano è l’espressione della vita che si svolge qui”
New Orleans, 1947. La città cosmopolita del profondo sud degli Stati Uniti d’America. Immaginate un costante motivetto jazz proveniente da un sassofono, un quartiere popolare, uomini chiassosi in un polveroso bar e donne che chiacchierano sulle soglie di case piccole e ravvicinate. La nostra storia comincia qui, trasportata da un tram che ogni giorno percorre quelle strade affollate. Un giovane Tennessee Williams porta sulle scene di Broadway una vicenda dai lati torbidi, in cui la donna è protagonista, vittima e carnefice di se stessa. Un tram che si chiama desiderio fa discutere già dalle origini: le tematiche come l’omosessualità, la pedofilia, il disagio mentale vengono esplicitate come, forse, mai prima d’allora. La critica si spacca, chi parla di genialità chi addirittura di oltraggio al pudore. Un giovane drammaturgo, cresciuto in una famiglia tradizionalista con un padre che non accetterà mai il suo essere omosessuale ed effeminato, racconta di passioni e follia. Inizia la ricerca degli attori che interpreteranno l’ambigua Blanche e il rozzo Stanley ma nessuno dei candidati sembra soddisfare le esigenze dell’autore. Tre giorni dopo il termine dei provini, in ritardo a causa degli imprevisti del muoversi in autostop, si presenta un giovane da poco diplomato all’Actor’s Studio che conquista letteralmente Tennessee Williams,. Da allora Stanley Kowalsky avrà il volto del giovane Marlon Brando, immagine dell’ideale di uomo americano.
Perché tanta eco?
Il testo, di indubbia poesia, è un’irriverente immagine della società americana del dopoguerra. Stanley è un reduce di guerra, arrogante, maschilista e dai modi primitivi. Sua moglie Stella è follemente innamorata di lui, ne accetta i lati più negativi, anzi è proprio la sua irruenza che la attrae. La loro vita tranquilla viene sconvolta dall’arrivo di Blanche, la sorella maggiore di Stella. Seduttrice di natura, con un passato doloroso e fatto di scandali sessuali, amante dell’arte, della letteratura e del passato di nobiltà in cui è cresciuta. Lo scontro con Stanley è inevitabile: si stuzzicano, si annusano, si insultano fino ad arrivare alla resa dei conti finale. Due personaggi vivi e pulsanti, sulla scena e sulla carta, resi immortali anche con l’aiuto della pellicola cinematografica.
Un narratore, che si assume anche il ruolo di psicoterapeuta, orchestra tutta la rappresentazione, il suo copione sono le didascalie che per definizione di solito restano silenziose. Non siamo a New Orleans, ma nella confusa mente di Blanche, in cui luci e rumori si confondono in un delirio estenuante. Gli stessi effetti sonori, luci e ombre sono personaggi protagonisti, all’interno di una colonna sonora in cui è il rock a farla da padrone: i Led Zeppelin e i System Of A Down hanno ora soppiantato il nostalgico blues che proveniva dalle strade statunitensi.
Non è il racconto di una storia ma l’analisi della memoria della controversa protagonista femminile. Il suo è l’unico punto di vista, un doloroso ripercorrere la via che l’ha condotta in manicomio. Tuttavia c’è anche una rivalutazione delle due donne presenti in scena, forti, competitive, cacciatrici e prede in due modi diametralmente opposti. Il distacco rispetto al film è evidente, probabilmente cogliendo fino in fondo lo spirito che il drammaturgo americano voleva trasmettere in origine. È una storia di diversi, per origine (Stanley è polacco), per orientamento sessuale (il marito di Blanche era omosessuale e quest’ultima sembra soffrire di ninfomania), e per disagio psichico.
Per farsi travolgere dalla potenza performativa di uno spettacolo controverso, per assistere alla rappresentazione di un testo che ha anticipato l’emancipazione femminile e la rivoluzione sessuale degli anni’60. Per rendersi conto di dove sia diretta la performance contemporanea, coraggiosa e oltraggiosa e ben lontana dall’idea di teatro come luogo della tradizione. Per assaporare la bellezza della drammaticità nuda e cruda di uno degli autori più discussi del nostro secolo.
Un tram che si chiama desiderio, in scena al Piccolo Teatro fino a domenica 24 marzo.