Se devo spiegarvi com’è avvenuto che Maria Lodovica Di Pietrantonio in Cobellis, detta Malù, durante il suo ultimo soggiorno nel Salento si sia innamorata di Lucio Lucetta di Cosimo Lucetta, detto il Saudato, non so davvero da che parte cominciare, né avrei saputo come si sono svolti i fatti se ieri sera non avessi incontrato il Barlotto, tenente di vascello in pensione, nonché nonno di Lucio, ospite abituale alle sedute di frilùvio organizzate nella dimora marina dei De Cumis, alle quali era stato invitato per la prima volta anche il nipote. Come potete immaginare, un invito così azzardato non poteva che scaturire da una pensata della Titìna, che a quei raduni di mezzi morti cade dalla noia e cerca diversivi, a costo di inventarne delle grosse: nei racconti della Titìna, Lucio Lucetta era avvolto dall’aura di poteri arcani, un po’ medium, un po’ misantropo di genio, le cui doti erano rimaste da sempre nascoste per via della sua timidezza e della sua naturale vocazione alla solitudine. Ma la Titìna sapeva, aveva saputo da persone ben informate, che Lucio era in grado di leggere il futuro nella conformazione dell’iride e poteva intravedere i destini nel tracciato delle pieghe d’espressione, senza dare nell’occhio, spiando furtivamente le facce dei commensali e percorrendo le vie segrete che le rughe disegnano sulla mappa dei loro volti: quando sedeva ai tavolini del Bar Centrale di Melendugno, sorseggiando un beverone a base di Negramaro e guardando fisso nel vuoto, come se quel vuoto fosse l’estroflessione del nulla stuporoso che gli si apriva nella mente ogni volta che le labbra venivano a contatto con il bicchiere, in realtà Lucio incrociava i dati delle sue osservazioni, spalancando davanti a sé le porte segrete del futuro che restano serrate ai più. Ed ecco comparire davanti alle sue pupille dilatate le traiettorie dei pianeti che disegnano i destini sulla superficie concava del cielo, ecco dispiegarsi la combinazione dei tarocchi che rivela svolte paraboliche impensate nella vita placida dei convocati al banchetto. Ascoltando quei racconti la Malù aveva mostrato un iniziale scetticismo, ma la Titìna non si era data per vinta e le aveva parlato di certi stati insoliti manifestati dal Lucetta ai tavolini del Bar Centrale, che avrebbero potuto riprodursi con buon margine di probabilità dopo una seduta di frilùvio, quando i commensali cadono abitualmente nel sonno e le anime sensitive si fanno avvolgere dalle spire della Pigrècia, una forma di spossatezza da eccesso di fritti a cui fanno seguito deliri scomposti di varia lunghezza e complessità, glossolalìa, percezione di voci arcane e fenomeni di veggenza. Così anche lo spirito positivo della Cobellis aveva cominciato a vacillare, per infrangersi definitivamente sulle sponde della curiosità scientifica, che la signora possedeva in dosi cospicue, come testimoniato dalla varietà e vastità della sua produzione scientifico-universitaria. La Titìna di coraggio ne aveva da vendere, bisogna dire, e non le faceva certo difetto il gusto del colpo d’azzardo, anche questo di ascendenza domestica, avendo il nonno Tata Cosi gestito in gioventù, prima che insorgesse la passione per le gare di vino forte, una bisca non propriamente autorizzata nel retrobottega della sua mescita con cucina, già allora rinomata in tutto il territorio del Salento e oltre per la speciale preparazione della carne di cavallo a spezzatino in pignatta di Cutrofiano. Ebbene, la Titìna ci aveva provato, contando sugli effetti collaterali della Pigrècia combinati con quelli delle sostanze psicotrope di cui abitualmente il Lucetta faceva uso. E così all’intrepidezza si era alleata la fortuna, senza la quale, come ben sapete, ogni ardire è vano, e il Lucetta, al suo primo ingresso in casa De Cumis, nell’intervallo fra le cozze fritte e il caffè corretto, si era prodotto in un’orazione massima in lingue sconosciute: intendo, badate bene, sconosciute ai più, poiché nei balbettamenti in cui la Cobellis intravedeva remote genealogie di oscure divinità pagane dai nomi impronunciabili, Lucio ripercorreva in realtà il catalogo della sezione “Parti del motore” contenuta nel libretto di manutenzione fornito dalla casa produttrice ad ogni buon acquirente di una Ducati Scrambler 350. Il Lucetta era stato appunto uno dei sopraddetti acquirenti, e aveva imparato il libretto di manutenzione a memoria, da Albero a camme fino a Wankel, con le voci declinate secondo l’ordine alfabetico in tutte le lingue richieste dai mercati di sbocco del settore motoristico, prima che la Fedra De Cumis, meno incline della Titìna alle fantasie cosmiche, lo convincesse a fermare quegli sproloqui spingendolo fuori dal cancelletto in fondo al giardino, fra un inchino e un sussurro, e ripristinando così l’ordine domestico e sociale in una di quelle lunghe sere d’estate al profumo di rosmarino nella quale sembrava che il tempo non dovesse passare mai.