Le mie letture sono piuttosto disordinate, si lasciano guidare dal caso, dalla curiosità del momento, da occasioni che via via, per un motivo o per l’altro, mi si propongono. Quindi, quando mi hanno chiesto di leggere Violazione di Alessandra Sarchi per vedere se ne poteva uscire una recensione, non ho detto di no.
Apro il libro: l’incipit è di una potenza affascinate, poetico, misterioso, ti lega alle pagine che scorrono veloci grazie a una scrittura piana e incisiva al tempo stesso. La trama prende forma soltanto poi, con il susseguirsi dei capitoli, e mostra la presenza di tre nuclei narrativi che s’intrecciano per formare un’unica storia: alle vicende della famiglia di Primo Draghi, imprenditore senza scrupoli pronto a eliminare qualsiasi “cosa” ostacoli il soddisfacimento della propria volontà; si aggiungono quelle di Jon, giovane immigrato clandestino che ottiene il permesso di vivere con la madre nella tenuta di Draghi, a patto di lavorare per lui; e quelle di Linda e Alberto, residenti a Bologna, ma alla ricerca di una casa appena fuori città per far crescere i figli nel verde, ricerca che sembra avere fine proprio grazie alla tenuta di Primo.
Si tratta di tre storie quotidiane e che, il quotidiano, ci spinge a ritenere “normali”. Una sensazione di “normalità” a cui contribuiscono sia la narrazione, che si sofferma sui piccoli fatti della vita di ogni giorno, che la fisionomia dei personaggi, i quali non sono mai completamente buoni o cattivi, ma, come sospesi tra il bene e il male, trascinano il lettore in un’accettazione della realtà come infinito compromesso. È all’interno di questa realtà, dove i piccoli interessi personali sembrano legittimare la “violazione” (sia essa attuata contro l’ambiente o le persone), che l’infrazione delle leggi e delle regole comuni, dei diritti altrui o della propria stessa morale, finisce per diventare qualcosa d’inevitabile, qualcosa che trae legittimazione dalla propria stessa frequenza e dal senso di normalità con cui, tanto da parte dei privati, quanto da parte degli organi pubblici, vi si assiste e vi si prende parte. Si pensi alla decisione di Linda e Alberto di comprare la casa di Draghi anche dopo aver scoperto gli abusi edilizi da lui commessi, le corruzioni di guardie forestali e di funzionari pubblici fatte quotidianamente da Primo, o, ancora, l’episodio della frana.
Solo i personaggi più giovani (Jon, Filippo, il figlio di Linda e Alberto, e Teresa, nata da Primo e Genny) sembrano sottrarsi a questa logica, una logica che rifiutano e che cercano di combattere, ma di cui, in un modo o nell’altro, finiscono per essere vittime. Vittime loro, per primi, ma non solo loro, quando l’ultima, inaccettabile violazione pone fine all’apparente normalità delle cose, rompendo quel velo di quotidianità che aveva caratterizzato lo svolgersi della narrazione fino alle pagine finali del libro.
L’autrice conduce così il lettore lungo un percorso che sposta lentamente ma inesorabilmente il confine dell’accettabile. Quasi senza accorgersi, si finisce per giustificare le violazioni che si susseguono nel libro e, quando ciò che non può essere giustificato accade, chi legge si trova abbandonato nel vuoto, nell’irreale assenza di logica, o meglio, in ciò che precedentemente era logica e che poi appare nella sua nuda e crudele essenza fatta di opportunismo, d’interessi spicci e personali, di violenza.
La Sarchi riesce, in questo senso, a dar vita ad un meccanismo ben funzionante: dopo l’incipit, infatti, le pagine si susseguono mostrando un mondo estremamente ordinario, i personaggi e le situazioni sono fin troppo comuni per appartenere ad un romanzo e il lettore tende a “scivolare” su questa normalità. Proprio ciò che a prima vista potrebbe addirittura sembrare un difetto nella narrazione, e cioè l’eccessiva quotidianità delle vicende, il loro dilungarsi per pagine e pagine, si rivela in realtà essere, se non il punto di forza del testo, certo ciò che rende questo meccanismo così riuscito. Il pranzo a base di pasta al forno organizzato da Genny, la descrizione del risveglio della famiglia Donelli, il racconto degli episodi scolastici e lavorativi, mi sembrano, a questo proposito, ottimi esempi. L’autrice ha poi l’accortezza di alternare a momenti tanto poco “romanzeschi” alcuni capitoli di segno non diametralmente opposto, ma certo maggiormente coinvolgenti per il lettore. Anche la rapidità con cui si assiste, nelle pagine finali del libro, al compiersi dell’ultima “violazione”, potrebbe quasi apparire frettolosa. Eppure essa risulta necessaria per dare la sensazione, a chi legge, di non potersi rendere conto davvero di ciò che sta per accadere: la tensione cresce e si avverte l’arrivo di qualcosa di terribile, certo, ma fino a che “questo terribile” non si compie, sembra irreale. Il lettore si trova così in una situazione molto simile a quella di Linda, la quale vede, intuisce, immagina, ma non riesce a credere davvero, a prendere davvero coscienza di ciò che sta per avvenire. L’uomo tende a rifiutare tutto ciò che non rientra nella normalità (o, meglio, in ciò che è diventato normalità): ogni giorno, dalla televisione, dalla radio, dai giornali, ci arrivano notizie di violenze, omicidi e persino di stragi, ma restano notizie, numeri, qualcosa che rimane lontano e, in quanto lontano, confinato in una sfera a metà fra reale e irreale. Così anche se dovremmo sapere, non sappiamo, e ci stupiamo quando qualcosa da cui ci sentiamo immuni entra invece nel nostro mondo. E di più: dovremmo sapere che ogni violazione ne porta un’altra e che il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è diventa estremamente labile quando ci si abitua a superarlo di continuo. E allora cosa fa diventare una “violazione” accettabile e accettata e un’altra no? Questa sembra essere la provocazione-riflessione della Sarchi, una riflessione che il lettore non può non accogliere.
La speranza rimane aperta con l’indignazione dei personaggi più giovani, con la loro rabbia nei confronti di un mondo adulto tanto corrotto, con il grido di Teresa che, rivolta ai genitori, ripete: «Imbroglioni». Che questa indignazione e questa rabbia rimangano tali, che sopravvivano alle violenze e all’abitudine, violenza anch’essa, per quanto nascosta, sta a noi renderlo possibile. Perché, come dice l’autrice verso la fine del libro, «L’animale uomo andava (e va, aggiungiamo noi) riaddomesticato».