di Anna Girardi
Con Oro del Reno ha avuto inizio lunedì 17 giugno, al Teatro alla Scala di Milano, la “maratona wagneriana”, ovvero la rappresentazione di tutto il ciclo della Tetralogia in una settimana. Il programma prevede lunedì 17 Oro del Reno, martedì 18 Valchiria, giovedì 20 Siegfried e sabato 22 Crepuscolo degli dei; il tutto replicato la settimana successiva.
Oro del Reno è il prologo alle tre giornate; vi avvengono tutti gli antefatti. L’opera ha inizio con un suono indefinito dei contrabbassi, quasi un rumore che scaturisce dal nulla, per poi tramutarsi piano piano in mi bemolle maggiore, tonica dell’accordo che durerà per 136 battute. Ecco che dal nulla, dal silenzio nasce il mondo ed esso nasce con la musica. Ci troviamo nel regno magico delle Ondine del Reno (interpretate da Aga Mikolaj, Maria Gortsevskaya e Anna Lapkovskaja, bellissime nei loro costumi luccicanti) alle quali viene sottratto l’oro dal nano Alberich (Johannes Martin Kränzle) che forgerà un anello magico. Chiunque lo possieda, dopo aver rinnegato l’amore, diventerà padrone del mondo. Esso sarà l’origine e la causa di tutti mali e le sventure che capiteranno nel corso delle giornate successive. Quando, infatti, verrà sottratto al nano Alberich, questi lancerà una maledizione: l’anello recherà dolore e morte a tutti coloro che ne verranno in possesso.
Dopo diverse vicissitudini – quali l’incontro tra Wotan (re degli dei interpretato da Michael Volle) e i giganti Fasolt e Fafner (Iain Paterson e Alexander Tsymbalyuk), il riscatto di Freia (Anna Samuil) ottenuto grazie allo scambio di quest’ultima con l’anello maledetto, sottratto nel frattempo da Wotan ad Alberich e consegnato fra le mani dei due giganti – ecco la prima vittima della maledizione: il gigante Fasolt viene ucciso dal fratello Fafner in seguito ad una lite nata per il possesso dell’anello. Dall’alto del palcoscenico scenderà un filo rosso, a simboleggiare la prima morte causata dall’anello, idea registicamente molto suggestiva che verrà ripresa nelle opere successive. Gli dei, non curandosi di ciò che è appena successo, si incamminano verso il regno del Walhalla, loro nuova dimora eretta grazie alla forza di Fasolt e Fafner, e la vicenda si conclude con le ultime parole di Loge (dio del fuoco interpretato da Stephan Rügamer, meritevole di lode) che decide di non seguirli.
Guy Cassiers e il suo team hanno deciso di realizzare il mondo fatato dell’opera grazie ad un’interazione magica di luce e video, in cui la tecnologia si mette al servizio del racconto straordinario di Wagner, e ogni cosa – scena, luci, video e costumi – è armonicamente integrata con le altre, per dare vita a un immaginario vastissimo. Ai cantanti, oltre alle capacità vocali, è richiesta anche una gran presenza scenica e capacità di recitare; tutti, grazie anche alle numerose prove, adempiono al compito perfettamente. Forse, l’unica nota negativa è la presenza a volte un po’ invadente dei mimi sulla scena che ballano nei momenti in cui non è previsto il canto e si trasformano, all’occorrenza, nel popolo dei Nibelunghi o in “oggetti” scenici.
A contribuire alla riuscita della serata è stata l’orchestra che ormai da anni lavora, insieme a Daniel Baremboim, sul repertorio wagneriano. L’intesa col Maestro e coi cantanti è ormai rodata ed è evidente la ricerca del giusto timbro e del suono perseguita in questi anni. Forse la stanchezza, causata dal tour de force cui gli artisti son stati soggetti in quest’ultimo periodo, è stata causa di qualche imprecisione e qualche stonatura che però nel complesso non hanno inciso sul giudizio finale, più che positivo.
L’esordio del tanto atteso ciclo, dunque, non ha deluso: l’opera, o meglio, il dramma (due ore e mezza senza intervallo) è scivolato via senza intoppi ed ha convinto il numeroso pubblico, principalmente formato da giapponesi, francesi e tanti tedeschi.