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Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Gabriele Ferraresi

La moltiplicazione di imprese editoriali piccole e piccolissime; la discutibile politica degli “esordienti” – arrivata quasi a codificare un sottogenere letterario; la relativa facilità di accesso al sistema editoriale; l’esplosione di festival, rassegne e saloni come principale mezzo per rendere attraente e vendibile il mondo dei libri; i social network e la blogosfera letteraria; la trasformazione della figura dell’intellettuale; la discussione su nuove e vecchie categorie teoriche come tentativo di rilanciare una riflessione critica sulla scrittura…

Tanti sono i problemi e altrettante le potenzialità che si aprono a chi scrive al tempo del web 3.0 e del “tutto culturale”. Chi meglio dei “nuovi entrati” nel sistema letterario italiano può rispondere a dieci domande sulla scrittura e le sue forme nell’Italia degli anni Dieci?

1. L’enorme quantità di libri che oggi invadono le nostre librerie mette a dura prova le capacità di “resistenza” delle opere di valore che si affacciano sul mercato. Secondo te, dovrebbe essere compito del “sistema” trovare un nuovo rigore nel filtrare più attentamente le candidature di giovani autori, o spetta piuttosto a chi scrive una maggiore responsabilità, una sorta di autocensura da mantenere fino a che la propria scrittura non abbia raggiunto un giusto livello di maturazione?

No, nessun rigore in più, e no, evitiamo ogni tipo di responsabilizzazione. Il sistema non si regolerà mai da solo: non ci riescono le banche, figuriamoci l’editoria italiana, ma è meglio così, lasciamola collassare. Lo farà a breve, lo fa già ora mentre leggete, anche perché chi la dovrebbe regolare o potrebbe avere qualche interesse a farlo non lo fa: solitamente è troppo terrorizzato dall’approvazione del prossimo bilancio. In ogni caso non penso neanche che sia giusto pensare a una qualche regolazione: alzare le soglie d’ingresso? Ma perché mai? Alzarle per rendere difficile l’accesso a cosa? A un’idea romantica che non ha più – se mai l’ha avuto – nessun collegamento con la realtà? Mi sembra assurdo, meglio abbattere tutto. La letteratura tornerà a essere un hobby, forse di lusso, come il cinema, ci vorranno i mecenati, camperemo – anzi: camperanno, io già ora non vivo direttamente di scrittura tradizionale – di tour e reading? Vivremo come clerici vagantes? Chissà, ma soprattutto: che importa, chissenefrega! Per quel che riguarda la responsabilizzazione degli autori – non quelli attuali, quelli futuri – io personalmente spingo per una totale deresponsabilizzazione. Ma poi non c’è neanche bisogno che io spinga, va così e basta: mi sembra complicato pensare che gli esseri umani di oggi, magari quelli che oggi hanno dieci anni, quando ne avranno venti o trenta possano mettersi lì e dire “No aspetto un po’ ancora”. Lo spazio di pubblicazione è già ovunque.

2. Gli spazi della scrittura sono oggi moltiplicati a dismisura, in rete e non solo: credi che lo scrittore faccia bene a cercare di occuparli in maniera più massiccia possibile, o paga di più una strategia di discrezione, di scrittura mirata? In sostanza, esiste una “necessità” della scrittura in questo sistema che ha decuplicato le occasioni di parola?

Sì: ma l’unica “necessità” di quel genere di scrittura di cui mi chiedi è il personal marketing, o personal branding come dicono quelli bravi. Non è un giudizio di merito: solo una constatazione. Per il resto della domanda direi che varia molto dal peso dell’autore: se sei Thomas Pynchon, puoi permetterti l’eremitaggio, nella stragrande maggioranza degli altri casi, no. Meglio occupare lo spazio, starci sempre, parlare, esserci, farsi sentire vicini al pubblico. Fa bene a tutti. Anche se poi magari ai lettori non gliene frega niente e l’unico contento è il tuo ufficio stampa.

3. Qual è la tua posizione di fronte alla dimensione virtuale del sistema culturale? Trovi che l’esplosione di pareri e idee sia fruttuoso? Pensi che la critica possa trovare in questa situazione le premesse per tornare a orientare scelte e gusti?

Non è che mi faccia impazzire: ma mi adeguo alle circostanze. Andando in ordine, per la prima domanda direi che è inevitabile, e da anni. Per quel che riguarda l’esplosione di pareri e idee, è una delle cose che mi fanno impazzire del web, che chiunque abbia la stessa dignità d’intervento. Il problema di internet è la democrazia. Ce n’è troppa, non siamo proprio abituati: dico così forse perché dentro sono un po’ elitista, vai a sapere, ma mi sembra proprio che sia pieno di subumani cui dovrebbero tranciare l’adsl, rimandandoli contestualmente alle elementari. Epperò, malgrado questo vulnus il web è talmente meraviglioso che si riesce comunque a filtrare un contenuto degno. La critica credo che abbia perso ogni possibilità di orientare scelte e gusti del grande pubblico, conta più Fazio. La critica forse riesce ancora a incidere su una nicchia, ma è la nicchia delle duemila copie vendute. Residuale. Certo che se sommi tanti residui qualcosa vien fuori, ma val la pena? Non so, non conosco bene il tema e il mondo della critica italiana, quindi non mi addentro oltre.

4. Credi sia ancora possibile pensare a un vincolo che leghi la scrittura all’impegno civile?

Solo alla scrittura, no, alla scrittura più n altre cose sì. È una domanda complicata, perché ho sempre diffidato dai profeti dell’impegno civile. Ma se provo a pensare a come la scrittura ha cambiato questo Paese negli ultimi anni, mah, che mi viene in mente? Nulla. Mi vengono però in mente il boom del giallo e della nera – 2007, 2008 – e la sua coda lunga con la rivalutazione del crimine – i romanzi criminali su ogni supporto possibile – e tutti quelli che han campato su Berlusconi – editorialmente contro parlando – finché c’è stato, ma dovessi dire qualcosa che ha inciso non mi viene proprio in mente un bel nulla. Forse c’è da aggiungere alla scrittura quelle n cose che dicevo all’inizio. Ma ripeto, non sono un esperto di queste faccende.

5. Scrivere è il tuo lavoro? Se sì, in che forme? Se no, come riesci a coniugare il tuo lavoro con la scrittura?

Scrivere è il mio lavoro – nel senso che vengo adeguatamente retribuito per farlo – in parte. Lavoro come head of content in una web agency che mette insieme prodotti editoriali e non: è un lavoro principalmente creativo e di coordinamento di altre figure professionali – sviluppatore, art director, etc. – ma la scrittura c’è. Di base però sono un fotogiornalista, per cui oltre a quello che ti dicevo quando capita scrivo e fotografo in giro per Cronaca Vera, il giornale più bello del pianeta Terra, e faccio qualche cosina insieme a Tommaso Labranca su OssoBook. Mai pensato neanche per un istante di campare scrivendo narrativa, ma ci ho offerto qualche cena, quello sì.

6. Quando scrivi, un racconto o un romanzo, che genere di lettore ti immagini? E come cerchi di raggiungerlo?

Non mi immagino nessun lettore, mai – almeno quando scrivo un racconto, o un testo narrativo. È un campo in cui bisogna – almeno nella prima parte del lavoro – ignorare completamente il pensiero dell’altro, pensare a chi leggerà, a cosa penserà, sennò non ci si muove più, sennò ci si autocensura, ci si incasina e per me non va bene. L’importante è stare da soli in quel momento, e ignorare l’altro: tanto gli altri interverranno poi.

7. Tra scrittori e critici c’è una forte vicinanza, spesso dovuta a motivi d’amicizia, spesso ad affinità intellettuali; c’è un critico capace oggi di leggere meglio degli altri le evoluzioni e le implicazioni della produzione letteraria italiana?

Non conosco benissimo la scena della critica italiana, ma dovessi dirti persone con cui ho avuto a che fare e che mi sono piaciute, il primo che ti direi è Mario De Santis. Anche Alessandro Forlani l’avevo sentito, mi era parso preparato, accurato, uno che tiene a quel che fa. Poi su Facebook sono amico di Sonia Caporossi, di Critica Impura, mi sembra preparatissima, ma è un livello di critica così denso che difficilmente riesco a confrontarmici, ma lì è perché sono io un cazzone. Altra brava che ho conosciuto, Gloria Ghioni di Critica Letteraria. Brava, ma anche lì, è tutto molto denso, molto impegnato, io sono un po’ scemino e quindi mi annoio, ma loro sono sicuramente brave.

8. Se guardi all’attuale situazione letteraria italiana, ti sembra che si possa parlare di poetiche, di modelli preminenti, o invece prevale un sistema puntiforme dove ognuno costruisce il suo percorso in maniera indipendente rispetto agli altri colleghi, anche se amici o affini?

Sicuramente sistema puntiforme. Poi tutti vorremmo essere Ellroy o Walter Siti, ma (s)fortunatamente essi esistono già, per cui che si fa? Si cerca di copiare un pochetto, una cosa lì, una là, a un certo punto i modi di copiare saranno a tal punto incrostati uno sull’altro che ci sarà uno stile nuovo che andrà a cristallizzarsi. Credo sia sempre andata così.

9. Credi che la tradizione letteraria italiana, e in particolare quella romanzesca, soffra ancora del provincialismo che tanto spesso le è stato imputato? Quando scrivi hai come riferimento autori appartenuti al nostro passato e scrittori che hanno vissuto in altri luoghi?

Sì, sicuramente sì. Poi c’è provincia e provincia, pensa a Piero Chiara per esempio: che gran provincia quella di Chiara, avercene. Ma in generale lì è un mix di mercato e autori che si influenzano a vicenda, oltre che di condizioni socioculturali basse che crediamo di avere alle spalle: ma in cui siamo immersi. Al contrario sarebbe bene ricordare che in generale siamo la periferia della sfiga del mondo: la periferia, neanche il centro. Viviamo di luce riflessa di altri millenni, le ultime buone idee in questo Paese le ha avute forse Leonardo Da Vinci, altro che Sorrentino e La Grande Bellezza.

10. Se potessi essere un personaggio letterario, chi ti piacerebbe essere?

Tisserand nell’Estensione del Dominio della Lotta di Houellebecq.


Gabriele Ferraresi
 è nato a Milano nel 1982. Ha collaborato come inviato a Cronaca Vera dal 2006 a oggi e ha lavorato per due anni nella redazione di Maxim. Per la casa editrice Aliberti ha pubblicato Il testimone. Ha lavorato come managing editor a Blogo.it; oggi fa l’head of content per web agency Net ten. Tiene il tumblr Via Reinach 8, 20159 Milano. Il suo ultimo romanzo è L’uomo che riuscì a fottere un’intera nazione (Il Saggiatore, 2012).

Precedenti puntate di Dieci per Dieci:

13/06/2013 – Giorgio Fontana

20/06/2013 – Gabriele Dadati

27/06/2013 – Alessandro Raveggi

04/07/2013 – Giusi Marchetta