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Javier Marías e il dono della letteratura

Marias @javiermariasblog

 di Andrea Pastore

Oh come poca cosa  quel che fu

da quello che non fu divide!

Meno

che la scia della nave acqua da acqua.

Camillo Sbarbaro

Si potrebbe discutere di come la ricerca di titoli adeguati per le operazioni di accorpamento possa in alcuni casi spingere gli editori a compiere delle approssimazioni. Talvolta la sfida consiste nel dare un nome a una materia di per sé sfuggente, in altre occasioni la scelta finisce per suggerire lo spettro di una strategia commerciale. Al di là di un’infinita considerazione delle possibilità, la decisione di riunire con la denominazione Trilogia sentimentale (Einaudi, 2010) tre dei più noti romanzi dello scrittore spagnolo Javier Marías (Tutte le anime; Un cuore così bianco; Domani nella battaglia pensa a me) potrebbe apparire forse azzardata. Non perché la passione amorosa non sia presente nelle opere in questione, quanto piuttosto perché costituisce solamente uno dei molti aspetti di una narrazione così vasta e complessa da rendere difficile i tentavi di circoscrizione.

Marías è un autore grandioso, capace di ampiezze eccezionali, di profondità riservate a pochi. Nell’arco di questi tre libri il discorso sentimentale compare a più riprese, eppure si configura come un nucleo da cui si dipanano numerosi fili nella tela del possibile. Basti pensare, ad esempio, a Un cuore così bianco, alla sua istituzione matrimoniale colta ben oltre il sentimento, o meglio rapportata a ciò che un legame così totalizzante può trovarsi ad affrontare nel corso della sua durata, inclusa l’oscurità di un passato che nasconde un delitto (gravoso, seppur non commesso dai due coniugi). Ma la ricca gamma di motivi coinvolti nella Trilogia si afferma sin dalle variazioni degli incipit, che nella loro splendida efficacia si riferiscono alla morte in tre maniere diverse: in Tutte le anime riportandola alla cognizione del cambiamento; in Un cuore così bianco collegandola alla volontarietà, all’involontarietà («Non ho voluto sapere, ma ho saputo») e alle innumerevoli implicazioni che la conoscenza di un fatto comporta; in Domani nella battaglia pensa a me a introdurre in un contesto di verosimiglianza le forme e le apparenze (e i loro effetti nella nostra immaginazione) della morte stessa.

Trascinando il lettore nell’immensa filiera, Marías si addentra nel proprio ragionamento, illumina l’intricata penombra che avvolge la realtà e ne considera i territori più scivolosi, ossia quelli dell’incertezza. La colpa, il tradimento, la responsabilità, la menzogna e il silenzio, i destini sono rivelati nelle dimensioni più intime, sono connessi alla natura contraddittoria dell’essere umano. La stessa inquietudine di Tutte le animedefinito dall’autore «storia di un turbamento» e costruito su una base autobiografica – ci è presentata nelle increspature di personalità differenti, nelle regole di un college oxfordiano fatto di maschere e codici di comportamento.

In questo universo sfuggente acquista valore anche ciò che non succede, ciò che avrebbe potuto essere e non è stato (su tale argomento ricordo bellissime parole di Claudio Magris in un saggio dal titolo Javier Marías, il tempo e il segreto) e che può essere indagato grazie alla forza del racconto. Le opportunità non colte, i tentativi falliti, le conseguenze solo immaginate ci riguardano tanto quanto le strade effettivamente percorse e giocano un ruolo decisivo nella determinazione del futuro. Il tempo si ridefinisce a seconda delle occasioni, diviene momento dell’incanto o dello spavento, del mistero o della rivelazione; contiene gli eventi e al contempo li nega, li relega in una fissità immutabile o li sottopone a un inarrestabile processo di modifica. È un tempo messo in relazione con il ricordo, ma anche con l’inganno di cui diviene complice e alleato, l’inganno che mai possiamo evitare e che addirittura regala nuova cognizione di sé. Un inganno subito, sofferto, oppure deciso, come quello che Victor, il protagonista di Domani nella battaglia pensa a me, sceglie di mettere in atto quando si trova ad affrontare l’inaspettata morte della donna di cui sta per divenire l’amante.

Vi è poi una corrispondenza perfetta tra i meccanismi conoscitivi e lo stile adottato: il racconto degli avvenimenti minimi, le digressioni infinite e ricorrenti trovano equilibrio e ragione in una scrittura colta, raffinata, distesa. Gli stessi enunciati ricorrono più volte nei testi, richiamandosi in un gioco di sottili variazioni che incatenano tra loro gli episodi come incauti intrecci dell’esistenza. L’andamento quasi svagato raccoglie i detriti del pensiero e li svolge, procede per salti, accomuna vicende lontane e non si arresta mai alla semplice superficie. La parola diviene allora elemento magico, dona verità alla verità stessa, la crea nominandola, rendendola conosciuta, spezzando il carattere elusivo dei segreti.

Di tutti i miracoli che letteratura sa realizzare, questo forse risulta ancora il più divino – e spaventoso -: il dono di saper (ri)portare in vita ciò che non c’è e addirittura in ciò che non c’è mai stato, spingendoci profondamente a riflettere sul peso delle nostre azioni, sulle conseguenze di quel che non accade. Il mistero del vivere si compie senza poter essere afferrato, lasciandoci sempre nell’incertezza di un eterno dubbio:

«[…] è successo e allo stesso tempo non è successo, come tutto, perché fare o non fare, perché dire si o no, perché sfinirsi con un forse o un chissà, perché dire, perché tacere, perché negarsi, perché non sapere niente se niente di ciò che succede succede davvero, poiché niente succede senza interruzione, niente persiste né persevera né si ricorda in eterno, ciò che scartiamo o ignoriamo identico a ciò che accettiamo o afferriamo, impieghiamo tutta la nostra intelligenza e i nostri sensi e le nostre ansie al fine di discernere ciò che sarà uniformato, o che lo è già, e per questo siamo pieni di rimpianti e di occasioni perdute, di conferme e di riaffermazioni e di occasioni sfruttate, quando l’unica certezza è che nulla si afferma e tutto si perde. O forse non c’è mai stato niente» (Un cuore così bianco).