di Alessandro Montagner
Come se Jonny Greenwood avesse lasciato i Radiohead. Questo ho pensato alla notizia che Kjartan Sveinsson, tastierista, polistrumentista, arrangiatore e membro fondatore dei Sigur Rós, avrebbe lasciato il gruppo per perseguire la carriera solista — Kjartan come Greenwood è autore di colonne sonore. Che effetti avrebbe avuto sull’alchimia del gruppo la defezione del membro forse musicalmente più maturo? La risposta non ha tardato ad arrivare.
Il Palazzetto del Turismo di Jesolo (VE) dev’essere la più improbabile delle location per un concerto dei Sigur Rós, sede di uno degli eventi musicali più surreali a cui mi sia capitato di assistere. Tuttavia il tour d’inizio 2013 ha mostrato una formazione in grande spolvero; ad affiancare i ‘tre membri superstiti’ due strumentisti (Ólafur Björn Ólafsson e Kjartan Dagur Hólm), una sezione fiati femminile e le Amiina agli archi: in totale una dozzina di musicisti sul palco.
È possibile farsi un’idea di questa formazione grazie al Kveikur Live 360°: un concerto registrato a Dresda il 2 luglio utilizzando speciali telecamere a 360° che permettono di “spostarsi” interattivamente sul palco, tra i musicisti. Il tour che ha fatto tappa a Jesolo (qui la scaletta) è stato anche l’occasione di presentare in anteprima i brani del nuovo album, a meno di un anno di distanza dal precedente Valtari, che da più parti era parso deludente: un disco irrisolto, infelicemente sospeso in un limbo tra canzone e musica ambient — nonché molto complicato da portare in tour: solamente un brano dell’album era incluso nella scaletta del concerto. Il periodo di stanchezza compositiva sarebbe proseguito? Scuri, potenti, muscolari, i quattro brani inediti lasciavano intuire un autentico nuovo corso, un’oscillazione del pendolo nell’ispirazione del gruppo. Retrospettivamente, considerando che a suo tempo Valtari fu annunciato come “un lento decollo verso qualcosa”, è difficile non immaginare che quella direzione fosse Kveikur.
Scelta come primo singolo, accompagnata da un video dai toni post-apocalittici (un immaginario per la verità un po’ trito), l’iniziale Brennistein dimostra che ad affacciarsi dall’oscurità della copertina è una presenza affatto accomodante: le frequenze di quella che pare un’esplosione preannunciano una linea di basso emersa direttamente dalle fondamenta della terra, e melodie limpide e scure come una sorgente sotterranea. La successiva Hrafntinna, il brano migliore dell’album con il suo incedere solenne che si stempera in una struggente coda per soli fiati, conferma che alla dimensione fortemente percussiva se ne affianca una melodica maestosa e non meno prominente.
Se a lungo i Sigur Rós hanno tessuto la migliore colonna sonora per i paesaggi vulcanici della loro terra, ora sembrano reclamare la potenza tellurica che li ha creati. E ad evocare la metafora geologica sono i titoli dei brani stessi: ‘brennistein’ è lo zolfo, ‘hrafntinna’ l’ossidiana (curiosamente Obsidian è il titolo del nuovo, plumbeo album di Baths, pubblicato poche settimane prima di Kveikur).
Il secondo singolo Ísjaki mostra un altro aspetto dell’album, che si rivelerà preponderante: a marcare il nuovo corso non sono tanto i brani pesanti —alcuni non lo sono affatto— quanto quelli diretti: c’è una vocazione pop nella ripetitività della ritmica e nella ricercata semplicità delle strutture. Un’ideale prosecuzione della direzione intrapresa con Takk, che potrebbe deludere i nostalgici dell’afflato sperimentale (e a volte acerbo, per la verità) di Ágætis byrjun. Ma se all’epoca frasi melodiche di grande bellezza si affastellavano occasionalmente in una maldestra cacofonia massimalista, una delle qualità che il gruppo ha guadagnato nel tempo è la maestria nella stratificazione sonora, tesa qui a dare il massimo risalto a melodie mozzafiato.
Kveikur è stato descritto come il più cupo degli album dei Sigur Rós; ma brani solari come Stormur e Rafstraumur, ricchi di melodie e propulsione ritmica, sono pronti a riempire l’estate come a suo tempo Gobbledigook e Við spilum endalaust.
Il bilancio del disco è di aver raggiunto una nuova alchimia tra gli elementi costitutivi del suono dei Sigur Rós, un equilibrio inedito e tra i più riusciti.
Sigur Rós, Kveikur, XL, 2013.
Giudizio: 4/5.