La Balena Bianca va in vacanza. Per un mese circa se ne andrà per altri mari. Ma non vuole lasciarvi sprovvisti per affrontare il caldo e la ressa della vita da spiaggia. Ecco quindi nove consigli di lettura messi insieme dalla redazione e da alcuni dei più assidui collaboratori. Ce n’è per tutti i gusti, dalle più recenti novità ai grandi classici. Trovate tra questi suggerimenti quello che fa per voi. Ne riparleremo a settembre.
Intanto, buona lettura!
Marco Bellardi, Jack London, THE CALL OF THE WILD (Collins 2011)
Per chi in agosto ricercasse l’evasione totale in un buon classico ecco un libro che non ha bisogno di presentazioni e che regala i piaceri della grande letteratura. Lasciatevi inondare dalla luce delle bianche plaghe d’Alaska e poi affondate nelle cupe notti ancestrali dove ulula al vento il vostro più recondito passato. Imparate con Buck la legge della zanna e del bastone e non provate a distrarvi dal vostro obiettivo, calcolate ogni mossa oppure siete spacciati. E poi ancora misurate la distanza che corre tra il rispetto e la devozione, l’affetto e l’amore, la libertà e la coazione, e scioglietevi finalmente quel piccolo nodo alla gola che forse avrete alle pagine più belle di tutto il racconto: “Buck had a trick of love expression that was akin to hurt. He would often seize Thornton’s hand in his mouth and close so fiercely that the flesh bore the impress of his teeth for some time afterwards. And as Buck understood the oaths to be love words, so the man understood this feigned bite for a caress”. Consigliato in lingua originale.
Andrea Cirolla, Edgardo Franzosini, SOTTO IL NOME DEL CARDINALE (Adelphi 2013)
Non so se sia un buon consiglio per le letture estive, sotto l’ombrellone. Ma che dico… Nei tempi bui della preparazione degli esami universitari di settembre, ricordo di aver letto in passato, sotto il sole di agosto, senza tema e senza lamentele, autentici inviti alla perplessità: dalla Critica della ragion pura alla Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia.
Ma la smetto di divagare, e poi sono divagazioni neanche lontanamente attinenti. Volevo solo dire che è un luogo comune quello di dover leggere in spiaggia solo libri allegri e colorati. Il libro che consiglio io, Sotto il nome del Cardinale (Adelphi 2013), con la sua prosa così elegante e raffinata può riempire la mente e il sentimento del lettore di un piacere ben più forte delle calure estive così come del dolore e il tormento che la sua storia racconta, ovvero la prigionia e le viltà subite da un editor e ghostwriter speciale (ma obtorto collo): nientemeno che del Cardinale Borromeo nella Milano di inizio XVII secolo. Il protagonista è Giuseppe Ripamonti, storico, altrimenti noto solo per l’influenza esercitata dalle sue opere sulla stesura dei Promessi Sposi. Lo scrittore è Edgardo Franzosini, che lavora, su Ripamonti, anch’egli da storico, ma col passo dell’affabulatore e l’effetto – carta canta – di un autentico thriller.
Davide Saini, Robert Louis Stevenson, L’ISOLA DEL TESORO (1883)
Un libro per l’estate? Vorrei dare un consiglio nuovo, una lettura frizzante (magari una di quelle da ombrellone, un giallo? Anzi no, un finto giallo magari) ma la verità è che non ne sono capace e forse un po’ banalmente sono in perfetto accordo con una dichiarazione di Antonio Tabucchi, e quindi non tenterò nemmeno di parafrasarlo: “Se devo scegliere un libro, il libro, scelgo senz’altro L’isola del tesoro, di Robert Louis Stevenson. Perché è pieno di vento, di immaginazione, di avventura, d’infanzia.”
Vento immaginazione avventura e infanzia, cosa volere di più? Una lettura scorrevole che fa immergere in questi quattro elementi. Una ricerca del tesoro che è molto di più, che è pura voglia di avventura in cui l’obiettivo è solo pretesto (nota bene Ludovico Terzi la frase “Prua verso il mare! Al diavolo il tesoro!”), in cui il viaggio si fa vita e si fa crescita. Non fatevi trarre in inganno quindi da idee tipo “è un libro per bambini” oppure “ma l’ho già letto da ragazzo”. Compratene una copia e iniziatelo, l’unico altro consiglio che posso darvi è di procurarvi altri libri perché potreste leggere queste 270 pagine in un baleno.
Un libro che trasporta dalla più calda delle serate cittadine in un altro mondo, a solcare mari sconosciuti e a vivere avventure pericolosissime (l’ultima affermazione è solo parzialmente vera, pur d’obbligo a chiusura della recensione).
Lorenzo Cardilli, Valerio Evangelisti, METALLO URLANTE (Einaudi 1998)
Metallo urlante, perfetto compendio della vena fantastica (e fantastorica) di Valerio Evangelisti, è un incubo di lungo periodo condensato in quattro piccoli quadri. Venom, Pantera, Sepultura e Metallica: un omaggio al metal estremo, ma anche al ritmo della narrazione, insieme elegante e hard-core. Quattro racconti apparentemente autonomi, i cui fili si intrecciano però in uno spietato disegno che dura da secoli. Dal futuro remoto in cui i sopravvissuti affrontano terribili giganti d’acciaio, alle segrete catalane in cui l’inquisitore Eymerich tortura la sue vittime in nome d’una fede crudele, fino a un polveroso New Mexico, devastato da implacabili cowboys fantasma. Il vero padrone del libro è il metallo: da sempre in rivolta contro la volontà di potenza dell’uomo, erode la sua storia dall’interno, ne incarna la nemesi, si mescola con il suo corpo. Il metallo attrae gli spiriti, è una protesi per gli dei adorati dai vinti. Evangelisti è un maestro nel saldare il particolare pulp allo scenario d’insieme, il singolo episodio all’inesorabile frana della storia. A cui nessuno si può opporre: né Pantera, a metà tra lo sciamano e il “Machete” di Rodriguez (ma molto più serioso), né gli sbandati dell’Aryan Brotherhood, all’assalto di Algiers, difesa da torri d’acciaio “senziente” e torme di alligatori invasati. Come sempre in Evangelisti, la miscela di materiale storico e deriva fantastica è davvero esplosiva. Anzi, più che esplodere, scioglie: come lo “squaglio”, esiziale veleno che dilata e contrae le membra fino a ridurre il cervello in poltiglia. Ma nel mondo di Metallo urlante, anche il supplizio più atroce può trasformarsi in uno strumento di vendetta, al servizio di un apocalisse crudele, partita molto prima dell’“ultimo giorno”.
Alessandro Montagner, Hermann Melville, BENITO CERENO (1855)
Ogni stagione ha le sue letture.
Benito Cereno è una storia di mare, scritta dal più grande cantore di balene bianche che abbia mai solcato i mari cupi d’inchiostro della letteratura. È una novella, quel formato asciutto che ci ha dato capolavori come Arancia meccanica e La fattoria degli animali, o in ambito statunitense Il giro di vite e Il vecchio e il mare. È anche un dispositivo narrativo di grande potenza, come e più dei migliori polizieschi. Ed è un testo di grande attualità, che affronta la questione etnica in una prospettiva già post-coloniale, un decennio prima della Guerra Civile statunitense e mezzo secolo prima che Kipling parlasse di “fardello dell’uomo bianco”.
Ma Benito Cereno (leggi “Sereno”) è soprattutto l’ennesimo capolavoro melvilliano: capace, come Moby Dick, di racchiudere la politica mondiale nell’universo concentrazionario di una nave al largo sull’oceano, è uno sguardo sulla natura umana non meno inquietante e profondo del testo che lo precedeva nella raccolta delle Piazza Tales: Bartleby lo scrivano.
Matilde Quarti, Roberto Bolaño, UN ROMANZETTO LUMPEN (Adelphi 2013)
Una cosa hanno in comune tutti i racconti lunghi – o romanzi brevi – di Bolaño: narrare in modo lieve, quasi sospeso, vicende feroci. Edito nel 2005 da Sellerio con un titolo leggermente diverso (Un romanzetto canaglia) e, forse, più efficace, Un romanzetto lumpen non è da meno. In una Roma afosa e intricata, italiana più per i continui riferimenti pop a riviste e programmi televisivi che per l’atmosfera densa e quasi sudamericana, Bianca e suo fratello, delinquentelli rimasti orfani di entrambi i genitori, si arrabattano alla meglio per sopravvivere. La storia di Bianca si intreccia in poche pagine con quelle di altri personaggi appena tratteggiati: il bolognese e il libico, faccendieri di cui sopporta la presenza in casa e nel suo letto, e Maciste, ex attore cieco di cui si finge amante. Sono personaggi tragici, quelli dell’autore cileno, e le loro giornate lunghe e squallide sfociano nella poesia. Un racconto struggente e veloce che è quasi impossibile abbandonare prima della fine. Ideale per una lunga tratta in treno o un pomeriggio stanco.
Giacomo Raccis, Kurt Vonnegut, MATTATOIO N. 5 o LA CROCIATA DEI BAMBINI (Feltrinelli 2005)
Raccontare il dramma del bombardamento di Dresda durante la Seconda Guerra Mondiali attraverso le lenti trifocali di Billy Pilgrim, optometrista inetto quant’altri mai, ma capace di viaggiare nel passato e nel futuro: è questo che prova a fare Kurt Vonnegut, testimone a sua volta di quel terribile massacro e alla ricerca di un modo per raccontarlo che stia alla larga dal patetismo degli appelli civili come dalla celebrazione guerrafondaia dell’eroismo militare. Mattatoio N. 5 o La crociata dei bambini è così un romanzo di fantascienza (Billy ha quel potere perché è stato rapito dagli alieni di Tralfamadore), dove lo sguardo extra-terrestre serve a instillare il dubbio che tutto quello che è successo sia successo perché l’uomo ha smesso di fare quello che abitualmente lo distingue dagli animali (e dalle altre forme di vita aliena). Come dice uno dei tralfamadoriani: «Ho visitato trentun pianeti abitati nell’universo e studiato i rapporti di altri cento. Solo sulla Terra si parla di libero arbitrio» (85).
Un romanzo del 1968 che continua a far ridere il lettore di oggi, perché, cinico e sarcastico come solo può essere chi ha vissuto ciò di cui parla, Vonnegut racconta la Storia più feroce attraverso storie assurde ed esilaranti. E ci insegna che della morte si può scherzare, la si può deformare e mettere in burla, a patto però che non la si prenda sottogamba. Perché in qualsiasi momento potrebbe bussare alla porta il nostro sicario, venuto a vendicare uno sgarbo lontano fatto a una persona ormai dimenticata. “Così va la vita”.
Michele Turazzi, Ernesto Sabato, L’ANGELO DELL’ABISSO (Edizioni Sur 2012)
Borges ti fa smarrire edificando labirinti di specchi, mentre Cortázar su quegli specchi costruisce mondi nuovi, assurdi e razionali insieme. Sabato no. Lui della realtà ne percepisce tutto il peso, e la sua è una Buenos Aires claustrofobica e potenzialmente infinita, in cui lo scrittore stesso si trova a percorrere strade che non portano da nessuna parte alla continua ricerca di un senso che sfugge. L’Angelo dell’abisso (Abbadón el exterminador il titolo originale, 1974) è il compimento dell’intera opera di Sabato. È qui che i personaggi dei suoi romanzi precedenti si danno appuntamento tra bar, bettole e sedute spiritiche interrogandosi sulla verità delle cose, consapevoli di vivere in un mondo che non si presta a definizioni univoche, ma allo stesso tempo consci dall’incredibile forza della letteratura – declinata qui in ogni sua forma –, il solo mezzo che forse rimane all’uomo per avvicinarsi all’essenza nascosta del tutto.
Francesca Salamino, Maxence Femine, NEVE (Bompiani 1999)
Ciò che vorrei che ognuno portasse nella valigia dell’estate 2013 è un frammento, una poesia, un racconto, un articolo letto quest’inverno, che in qualche modo ha dato una scossa al proprio modo di vedere le cose. Nel mio caso, proviene da Neve di Maxence Fermine, precisamente nella parte in cui dice: “Un mattino, il rumore della brocca dell’acqua che si spacca fa germogliare nella testa una goccia di poesia, risveglia l’animo e gli conferisce la sua bellezza. È il momento di dire l’indicibile. È il momento di viaggiare senza muoversi. È il momento di diventare poeti. Non abbellire niente. Non parlare. Guardare e scrivere. (…) Un mattino, ci si sveglia. È il momento di ritirarsi dal mondo, per meglio sbalordirsene. Un mattino, si prende il tempo per guardarsi vivere.”
Scrivetelo su un foglietto di carta o dietro un vecchio scontrino, e poi usatelo come segnalibro di uno dei libri che la Balena vi ha consigliato. Buona estate!