di Francesca Salamino
Il rischio di parlare di sentimenti universali, come l’amore, è quello di abbattere il confine tra grandi verità uguali per tutti ed esperienza personale, imperfetta e affatto uguale per tutti. Allora la chiave diventa il modo in cui si parla di tutto questo. Questo modo deve essere chiaro, proponendosi come qualcosa di definito e di comprensibile, e subito dopo onesto, rispettando la forma che si è scelta per raccontare.
In questo sta la sensazione di fatica che si prova leggendo l’ultimo libro di Michela Marzano, in quell’impressione che dà di non avere realmente una verità da restituire e ciononostante di presentarla come tale, perdendosi talvolta per strada (è lei stessa ad ammetterlo, a un certo punto: «Oddio, mi sono distratta ancora una volta e tutto si è perso di nuovo… dunque, che stavo dicendo, ah sì, certo! (…)», pag. 103). E non è un perdersi che regala nuove scoperte, ma un perdersi continuamente intorno allo stesso punto.
Sull’amore non si può sapere nulla di certo se non che «(…) quando di amore ce n’è tanto, il resto non importa» (p. 204): ecco il punto. Un tema sicuramente fecondo di riflessioni e spendibile in moltissime maniere. E con ciò si risponde alla critica che l’autrice dice di aver ricevuto da qualche amico: «Ancora un libro sull’amore? Per cortesia scriviamo d’altro» (p. 60). Inoltre, considerato tale punto di vista, lo stile che si costruisce “per tentativi ed errori” potrebbe essere ideale: se nulla si può sapere sopra un argomento, è complicato anche trovare le parole adatte e naturalmente ne emerge un incedere spesso incerto.
Purtroppo, però, l’incertezza è tale solo in apparenza. Perché, mentre la parola dell’autrice si presenta come tale, tende a ripetere sempre le stesse formule e sfrutta meccanismi che poco hanno a che fare con il dubbio. Ne è un esempio l’utilizzo costante di sentenze brevi tra le quali i punti sono utilizzati come virgole. Un modo di scrivere che vuole essere vicino all’oralità, forse nel tentativo di riprodurre le pause tra un pensiero e l’altro e quindi tra una frase e l’altra («Il problema dell’amore è sempre lo stesso. Quando lo si idealizza, lo si tradisce. Quando si è dentro, ci si impantana.», p. 28) oppure che altrove vuole essere più pungente («Questa voglia non tanto di essere capita, quanto di riuscire a spiegarmi. Di trovare le parole giuste. Quelle che scappano via. Anche loro. Insieme alla quotidianità», p. 83).
Un altro esempio stilistico del ragionamento tutt’altro che claudicante che ne sta alla base è dato dalla presenza di una quantità incontrollata di aspetti da sviscerare. Tutti, però, sono regolarmente presentati come verità assolute (talvolta pur senza fondamento) e immediatamente dopo ricondotti al livello dell’opinione attraverso un “perché” enfatico e personalissimo: «La vita è anche questo: rendersi conto che ci sarà sempre qualcosa di assente che ci tormenterà. Perché nessuno può mai avere “tutto”» (p. 83); «Nella vita non esiste alcuna coerenza. (…) Ascoltare e ascoltarsi. Perché solo quando si ascolta il rumore che ci si porta dentro si può poi essere pronti ad accogliere la parola altrui» (p. 89); «La verità è sempre altrove. Nascosta dietro una serie di domande senza risposta. Perché le parole non bastano mai per raccontare tutte le cose che vorrei fare e che ho lasciato a terra» (p. 109).
Infine, appesantiscono la lettura alcune affermazioni che, calate in determinati contesti, potrebbero avere un senso più completo ma, gettate come un sasso nel fiume in piena di innumerevoli riflessioni, cadono nel fondo senza avere sortito il loro potenziale effetto: «Forse mancano gli abbracci, come dice Martha Nussbaum parlando dell’amore ideale. Quando si idealizza una persona, poi ci si dimentica di abbracciarla» (p. 83).
Il racconto si inceppa proprio quando questa voce (di fatto) assolutizzante investe in maniera indiscriminata i tanti episodi che appartengono a un ordine individuale, come il matrimonio, il rapporto della narratrice con il padre, il lavoro universitario, la mancanza dei figli, la vita parigina.
Si tratta di un’esperienza, (estremamente interessante, per di più, ma pur sempre) una tra le tante, raccontata da una donna come tante: non tutti hanno sofferto da bambini, non tutti si portano dentro un segreto, non tutti cercano di colmare un vuoto, non tutte le donne sognano il principe azzurro nei termini favolistici che la narratrice descrive. Eppure questa esperienza, che come tale è dichiarata, come tale invece non viene presentata: «L’altro non è mai esattamente come vorremmo che fosse. È sempre diverso dalle immagini e dai sogni che ci portiamo dentro. Diverso dalle fiabe cui ci siamo affezionati da bambini e che dovrebbero ripagarci di quello che non abbiamo avuto e che continuiamo a recriminare» (p. 26); «Ogni volta che si ama, si cerca nella persona amata tutto quello che si è perso» (p. 68); «Nemmeno la persona che amiamo ci può ripagare dei torti della vita. E forse l’errore più grande che possiamo fare è proprio attribuirgli il potere di riparare la nostra esistenza» (p. 122).
La mancanza di una forma vera e propria fa da testimone al blocco del meccanismo: citazioni colte da saggio filosofico (si va da Bauman, a Lacan, a Cartesio) si alternano alle più private elucubrazioni, a partire dal titolo stesso del libro. Una mancanza che causa scivolate in argomenti più ampi ma presto liquidati («E penso che chiunque dovrebbe avere il diritto di sposarsi se lo vuole, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale, indipendentemente dalla storia che ha vissuto e da quello che vivrà», p. 166). Una mancanza che era stata forse prevista dagli amici criticoni di cui sopra: «E poi, che vuol dire un libro sull’amore? Un romanzo? Un saggio?» (p. 60).
Leggere queste pagine è come avere la fortuna di conoscere da vicino un vissuto estremamente ricco, da un punto di vista non solo esperienziale ma anche letterario (i sogni di bambina e l’amore vero incontrato invece in un’età già adulta; la presenza di ostacoli di varia natura prima di arrivarvi; un lieto fine che ha ben poco della favola ma che è felice nella misura imperfetta che i migliori romanzi contemporanei sanno dare). Eppure, è come se questo vissuto fosse stato inghiottito dall’ansia di spiegare ciò che si è imparato vivendolo, ancora prima di raccontarlo e quindi regalarlo ai lettori e alla loro interpretazione.
M. Marzano, L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore, Torino, UTET, 2013, pp. 206, 14 €.