Se n’è parlato dell’esordio di Fabio Deotto, e se ne è parlato bene. Quotidiani, riviste, siti letterari e via discorrendo non si sono lasciati sfuggire un romanzo che colpisce nel segno. In questa profusione di parole c’è una cosa che però resta utile ribadire: Condominio R39 (Einaudi Stile libero) non è un giallo, non è un horror, non è un noir e – in definitiva – non è un romanzo di genere. O meglio, è un romanzo in cui i generi giocano e si combinano insieme per dar vita a un testo che va al di là dei confini prestabiliti, li supera, per andare a toccare quello che fa di un romanzo un buon romanzo: l’indagine sull’uomo.
È infatti l’essere umano in quanto tale a interessare Deotto. E poco importa se l’autore ci mette di volta in volta in contatto con vecchi scienziati in sedia a rotelle, bambini schiacciati da madri single dalle attenzioni eccessive, giovani pseudosatanisti annoiati o attrici fallite con la testa gonfia di fantasmi e pasticche. Queste figure sono simboli di un qualcosa che dà al romanzo senso e forza: rappresentano un’umanità caduta – e forse perduta –, in preda a ossessioni incomunicabili. Ogni personaggio è infatti un mondo a sé, uno scompartimento a tenuta stagna che non ha alcuna possibilità di interagire con ciò che ne resta escluso.
Sotto le sembianze di un giallo dalle venature gotiche (come ammicca la quarta di copertina), si nasconde tutt’altro. Si nasconde un’indagine nei recessi più profondi di chi, per un motivo o per un altro, ha smesso di lottare. I personaggi che affollano Condominio R39 hanno infatti deliberatamente deciso di rinchiudersi in una prigione dalle mura invalicabili. L’hanno costruita anno dopo anno ammassando paure, fallimenti e timori personali, fino all’inevitabile tragedia. Ecco perché il titolo originario del romanzo – Chi si accontenta muore – andava forse più a fondo, raggiungeva un nucleo più vero del testo.
Eppure, Deotto si serve degli stilemi del giallo con astuzia. Inutile negarlo, c’è una domanda che inchioda il lettore alle pagine e non gli permette di chiudere il libro: cos’è successo in quella palazzina di appena quattro appartamenti della semiperiferia milanese? La sera di venerdì ventidue marzo, verso le ventidue e trenta, il condominio R39 brucia e dalle sue fiamme vengono estratte cinque persone in coma – di cui una bambina sfregiata – oltre a un ragazzo in evidente stato confusionale. E poi, perché uno degli inquilini non si trova? Le indagini sono in mano al commissario Pallino che, come tutti i poliziotti della letteratura, nasconde un passato torbido e misterioso. Con una trama di questo tipo il pericolo dello stereotipo è sempre in agguato. E invece Deotto spariglia le carte e, così facendo, non cade quasi mai nella trappola delle regole di genere – se c’è un personaggio più debole, meno originale, questo può essere individuato proprio nel commissario, ma trovare un esordio senza nemmeno un piccolo difetto non è realistico né onesto.
Per non parlare della suspense. È bravo l’autore a servirsene nel giusto modo, senza strafare: mai utilizzata come una finalità da perseguire a tutti i costi, la suspense pervade l’intera narrazione in maniera quasi naturale, dandoci la sensazione che una storia del genere non potesse essere raccontata in nessun altro modo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E invece non è così, perché la struttura è molto complessa e sminuzza la trama in brevi scene che seguono via via i differenti personaggi, mescolando in continuazione i piani temporali: da una parte il narratore segue le azioni dei vari inquilini il giorno della tragedia, dall’altra le indagini del commissario i giorni successivi. Ma non si ha mai la sensazione di una scelta forzata, ed è questo un grande pregio del libro.
C’è poco da dire, siamo di fronte a un meccanismo sapientemente oliato che sa sempre dove portare il lettore, anche quando la trama sembra aggrovigliarsi troppo. Condominio R39 è uno di quei libri che fanno passare le notti insonni perché, una volta iniziati, è impossibile staccare gli occhi dalle pagine. Più di qualcuno in questi giorni ha timidamente sussurrato il nome di Stephen King.
P.S. Se in questa recensione non si è parlato nemmeno tangenzialmente della trama un motivo c’è. Lo spoiler sempre in agguato non perdona il recensore prolisso.