di Damiano Sinfonico
La struttura leggera di Rete padrona rispecchia l’ideale giornalistico di Federico Rampini: limpidezza, disinvoltura, seduzione. Attirato il lettore con argomenti che lo riguardano da vicino e gli schiudono nuove prospettive sul mondo in cui vive, miscelando la competenza (letture specialistiche, incontri con persone rilevanti) e lacerti di esperienza personale, trattando ogni oggetto con una scrittura concreta e diretta, sul filo di un linguaggio giornalistico sempre scorrevole e ben oliato, organizzando il materiale vasto in capitoletti sciolti e concisi, rubricati sotto titoli accattivanti, il giornalista in ha confezionato un nuovo libro molto smart. La qualità è garantita, la tiratura si prevede alta. Rampini nel suo mestiere è uno dei migliori e il suo Rete padrona ne conferma le doti di giornalista.
Per i motivi appena elencati trovo stimolante analizzare il suo libro da un punto di vista “letterario”, cioè studiando come la forma veicoli una visione e un’ideologia. I mezzi che l’accademia e la critica mi hanno messo a disposizione sono sempre stati orientati verso l’analisi di opere letterarie, di cui condivido i presupposti (l’esperienza estetica è predominante, la conoscenza passa attraverso forme codificate ritenute migliori delle altre, il profitto culturale non è mai messo in discussione mentre quello economico è irrilevante); ora, rivolgere l’attenzione a un testo informativo per comprenderne il funzionamento, e nello stesso tempo proporlo anche come un modello di stile, può elasticizzare la sensibilità critica, abbattere alcuni steccati disciplinari e sfrondare alcuni pregiudizi (molto potenti e in voga nei dipartimenti di letteratura: un libro che vende è sospetto, i giornalisti scrivono male, le tecnologie squalificano le scienze umane).
Le cronache digitali di Rampini rappresentano un felice aggregato di esposizione travolgente e ricchezza informativa, filtrate da un io poco ingombrante, che riconduce il discorso a una sfera emotiva o pragmatica, innescando nel lettore un processo di rispecchiamento. Ne è un esempio l’incipit del libro, che si affaccia su uno squarcio panoramico e una nota personale: la descrizione del ritorno a San Francisco, con i suoi simboli visibili dall’aereo, si unisce a una lieve nostalgia e al timore che il ricordo perda la sua bellezza. Una rassicurante dinamica famigliare fa intermittenza con i radi riferimenti alla moglie e alla figlia (di cui sono narrate alcune esperienze significative), e alla vita quotidiana, come i riti del risveglio scanditi oramai dalla connessione a siti di giornali e email. La sfera professionale è riportata con equilibrio: da una parte il suo lavoro si svolge in un ambiente modesto, le poche stanze che formano gli uffici della sede distaccata di “Repubblica” a New York, dall’altra gode di opportunità uniche, come viaggiare nei voli charter al seguito di Obama o intervistare Bill Gates. Persona comune e insieme privilegiata, l’autore condensa in sé due profili che conquistano la simpatia e la fiducia del lettore.
La complicità con il lettore è rafforzata anche dai facili riferimenti cinematografici e letterari: 2001 Odissea nello spazio, Blade Runner, Tempi moderni sono rimandi obbligati, cui si aggiungono i più sofisticati Sciarada, Il colpo della metropolitana, La classe operaia va in paradiso; alcuni classici della letteratura sono sbriciolati in formule già note: “Perdete ogni speranza voi che entrate in un supermercato” (p. 38); “Julian Assange era partito lancia in resta come un Don Chisciotte, in guerra contro i mulini a vento del segreto di Stato” (p. 228). In un caso la citazione viene corretta, forse per una svista mnemonica, a favore di una medietas più facilmente fruibile (“Nel sognare le sue ‘sorti magnifiche e progressive’, Google forse non dovrà preoccuparsi…”, p. 103). Immancabili i riferimenti fantascientifici e distopici a Orwell, Verne, Dick, Le Carré, mentre l’incubo di un brutto risveglio non può non evocare “il povero Gregor Samsa nella Metamorfosi di Franz Kafka” (p. 30). Risultato: il reportage brilla di luce riflessa, raccogliendo il prestigio della letteratura e del cinema, trasformandone i prodotti culturali in prodotti di consumo, accessibili a chiunque, utili a compiacere un pubblico ampio, interessato alle nuove tecnologie ma gratificato dalla presenza di residui umanistici. È questo un limite del libro? No, perché Rampini fa il suo mestiere, connettendo conoscenze diverse e allargando quanto più possibile la fetta potenziale di destinatari; sarebbe una distorsione, derivante dalla chiusura nello specialismo, chiedere a un altro professionista di non invadere il proprio campo di competenza, o di conoscerlo e utilizzarlo in modo rigoroso.
La funzione mediatrice del giornalismo è testimoniata anche da un’altra pratica lodevole: per approfondire alcune problematiche o avvalorare alcune tesi, Rampini fa spesso ampio ricorso a recenti studi universitari, di cui viene esibita l’autorevolezza nel corpo del testo segnalando la carriera dell’autore convocato. Il vantaggio è a doppio senso: il lavoro dei ricercatori viene valorizzato e divulgato, il giornalista acquisisce credibilità presso il pubblico. Le incursioni accademiche si alternano ai frequenti prelievi da editoriali, pubblicati su testate prestigiose, trasmettendo l’immagine di un dibattito pubblico che investe tutti i rami della società.
Anche gli incontri umani modellano il taglio del libro: Rampini scova, descrive, cita, intervista numerosi innovatori che hanno contribuito al progresso digitale del nostro tempo. Uomini (perlopiù) e donne con percorsi originali, definiti da cv seducenti che legano l’immagine del successo alla creatività, alla flessibilità, alla capacità manageriale e anche alla promozione di sé. Carriere che si districano brillantemente fra università prestigiose, grandi marchi, quotidiani blasonati, ma anche invenzioni, start up, brevetti, rischi imprenditoriali. Su di loro si riverbera il fascino di una nuova aristocrazia, fondata su conoscenze innovative e accumulo di ricchezze, spietata quando al servizio del profitto, progressista e generosa quando al servizio della comunità.
Rete padrona parla di cyber-guerre e nuove abitudini, sovraccarico di informazioni e perdita della memoria, carriere prodigiose e crescita delle diseguaglianze, ideali libertari e ferocia aziendale, balcanizzazione della Rete e nuove censure, percorre in lungo e in largo i condizionamenti imposti dalle nuove tecnologie alle nostre vite private come alle relazioni fra Stati, indaga i risvolti oscuri di questa irreversibile dipendenza digitale. Rampini ha confezionato un nuovo libro dalla forma e dallo stile vivaci, scintillanti, concreti, esemplare per capacità divulgativa, adatto ad ogni tipo di lettore ma non per questo di bassa qualità, coniugando competenza, studio, ricerche, interviste a un rassicurante desiderio di conoscenza circa le forme che regolano il nostro mondo. A lettura finita, forse si sarà invogliati anche a mettersi alla prova con un esercizio ormai sempre più impegnativo: godersi Cento secondi di solitudine.
Federico Rampini, Rete padrona. Amazon, Apple, Google & co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 278, 18€