[A pochi giorni dalla sua scomparsa, pubblichiamo un breve ricordo dello scrittore, regista e partigiano]
Cornalba è un paese di valle in provincia di Bergamo, che il 25 novembre 1944 fu attaccato di sorpresa da due automezzi carichi di fascisti; una decina di partigiani venne uccisa, alcuni, presi prigionieri, dopo essere stati torturati. Qualche anno fa alla commemorazione fu chiamato da Roma Giulio Questi. Al presidente dell’Anpi locale, antico sodale della rivista politico-letteraria «La Cittadella» pubblicata tra il 1946 e il 1948 con contributi illustri e internazionali, tale nome di richiamo parve un’ottima idea. Questi, salito sul palco, si guardò attorno nel silenzio dell’attesa e dopo una pausa interminabile disse che se li ricordava bene arrivare da là, probabilmente indicando il punto; quindi fece una pausa ancora più lunga, ispirata, e tra lo sconcerto generale scese dal palco.
Anche se diceva di non amar recitare, Giulio Questi, regista di pochi film assai apprezzati tra i cinefili (da Se sei vivo spara 1967 a Arcana 1972), aveva recitato in piccoli ruoli per esempio con Fellini o Germi e aveva evidentemente un suo lato attoriale. Ed anche al pari dell’Ettore fenogliano di La paga del sabato e dell’ultimo Zanzotto di poesie anticommemorative, una spontanea allergia alla rigidità delle rievocazioni. Così la sua Resistenza in Uomini e comandanti è antiretorica e antintellettuale, corporale e famelica, avventurosa e sciolta nel duro incanto della natura. Tale manciata di racconti einaudiani, scritti parte nell’immediato dopoguerra per il «Politecnico» e parte negli anni novanta per la rivista dell’Isrec di Bergamo, rappresenta il cuore di una breve Questi renaissance, quasi fuori tempo massimo. All’esatta cifra tonda dei novant’anni è stato invitato a Mantova, la sua città ne ha riproiettato i film come il festival di Torino, e soprattutto attorno al cinema ruota il suo testamento artistico – Se non ricordo. Frammenti autobiografici – raccolto da Domenico Monetti e Luca Pallanch. Ma anche lungo la memoria di una vita ricca di eventi, incontri, fallimenti e fughe, raccontati però pacatamente come normali, magari sull’onda dell’whisky che immaginiamo uscire da una fiaschetta d’argento, piatta e sudata nel torrido west.
L’ennesimo scarto di un’esistenza carsica sembra aver sottratto ora Questi ad una troppo lunga, forse noiosa riscoperta. E il personaggio non deve fare aggio sull’artista, per noi soprattutto sullo scrittore, perché è indiscutibile che i racconti abbiano una forza stilistica, emotiva e di verità (quindi anche etica), come proveniente da un altro tempo, capace di bucare le quinte talvolta plastificate della rappresentazione letteraria nazionale e nel contempo di far giustizia di ogni mummificazione o becero revisionismo sulla Resistenza. Li si legga quindi, in attesa di qualche nuova sorpresa saltata fuori dal cassetto del vecchio partigiano.