Il cinema secondo Nolan è un enorme marchingegno da engineer, proprio come quelli descritti nel suo film più lucido e misurato, The Prestige, dove due maghi intenti in una lotta all’ultimo inganno, ci ricordano come un trucco sia composto da tre imprescindibili momenti: la promessa, la svolta, il prestigio. Tutte le pellicole del regista britannico sembrano costruite su questa fondamentale lezione, interpretabile come un processo di sospensione dell’incredulità. I temi e gli edifici narrativi elaborati da Nolan, del resto, non sono mai innocui, bensì sfidanti per il pubblico e necessitano di un vero e proprio patto tra autore e spettatore, al fine di superare insieme il confine del mero blockbuster da intrattenimento, ed approdare a una nuova forma di cinema, quella dell’essai da botteghino, con tutti i pro e i contro di un’operazione del genere.
I film di Nolan sono tra i pochi ormai ad essere accolti come autentici eventi, con identica curiosità da spettatori occasionali e veri e propri cinefili, restituendo un’atmosfera che non si respirava dai tempi di Jurassic Park. L’avvento di Interstellar rispetta questa tradizione: ancora prima della sua uscita nelle sale, si sprecavano i confronti con pellicole leggendarie quali 2001 Odissea nello spazio o Solaris. Il nuovo lavoro di Nolan si preannunciava come una rilettura del genere fantascientifico da parte del regista che aveva reinventato il personaggio di Batman e ridefinito i confini del rappresentabile sul grande schermo con i molteplici piani di realtà di Inception.
Il regista britannico infatti sembra intraprendere un progetto cinematografico solo se messo nelle condizioni di portare al limite le possibilità del mezzo, a tal punto da avere la sensazione, di fronte a un suo lavoro, di assistere all’esposizione di un trattato o un manifesto programmatico, qualcosa di articolato e che procede per sillogismi interni, per provare tesi che vanno ben oltre la trama.
Per la sua ultima fatica si è avvalso persino di collaborazioni scientifiche altisonanti quanto controverse come quella di Kip Thorne, fisico teorico autore di un saggio intitolato Black Holes and Time Warps: Einstein’s Outrageous Legacy e che lo ha aiutato nel rappresentare il più fedelmente possibile ciò che è pura teoria, prodotto di equazioni: un buco nero. Il cinema torna quindi con Nolan ad essere macchina fantastica generatrice di chimere, lanterna magica che proietta sulle pareti della stanza i nostri desideri, recuperando un piglio pionieristico e una certa naiveté appartenute a un altro engineer del cinema mondiale: George Méliès. Illusionista, creatore di macchine, ma soprattutto primo ad utilizzare effetti speciali, il regista francese è considerato da molti l’inventore del cinema fantastico. Con mezzi economici quanto geniali che ricordavano il campo della prestidigitazione, Méliès conduceva lo spettatore in mondi lontani, esotici, fino alla rappresentazione del primo allunaggio, nel memorabile film Voyage dans la lune, contenente la celebre scena della navicella che si incastra nell’occhio di una luna antropomorfa.
Sebbene lontana nel tempo e diversa nel linguaggio, la vicenda artistica di Méliès offre diversi spunti per comprendere l’ultima fatica di Nolan. Ma andiamo per ordine.
Interstellar racconta di un futuro non molto lontano dove la terra sta morendo e non offre più il sostentamento di cui l’umanità ha bisogno. Un ingegnere reinventatosi agricoltore, si ritrova a partecipare a una spedizione spaziale la cui missione è l’attraversamento di un wormhole, una sorta di scorciatoia spazio-temporale, per esplorare nuovi pianeti e trovarne uno adatto alla vita. Ad interpretare il protagonista è un Mattew McConaughey in forma smagliante, forse solo un po’ troppo carico nella gestualità e nella mimica, che descrive con grande sensibilità il rapporto padre-figlia, vero nucleo di questo film che potrebbe essere visto come un dramma travestito da fantascienza, per quanto questo tema rappresenti il motore autentico dell’intera vicenda.
Nolan, così, allestisce la sua promessa, il primo atto del suo numero magico, con grande sapienza: conduce lo spettatore in un prevedibile scenario sci-fi, con elementi apocalittici e missione salva-umanità inclusa. Tutto è predisposto per il secondo atto, quello della svolta, il momento in cui far mancare la terra sotto i piedi, spingendo al massimo sull’acceleratore della suggestione e della finzione (nel senso anglosassone di fiction) e trasportare lo spettatore, già predisposto all’inganno, al cospetto del mistero assoluto, il buco nero, di fronte al quale l’esistenza umana si riduce a mero accidente.
I macchinari dell’ingegnere Nolan sono ben oliati, tutto procede come da copione, ma si avverte qualcosa di insolito, un ingranaggio che si inceppa, una catena che si arresta e l’intero complesso produce un fastidioso rumore di ferraglia in procinto di piegarsi e sfaldarsi, per la troppa pressione di una sceneggiatura poco salda. La trama, infatti, rivela degli evidenti quanto inaspettati salti logici, che rischiano di far crollare l’imponente cattedrale tecno-filosofica di Nolan, sorretta strenuamente da un’eccellente colonna sonora del solito Hans Zimmer, intento questa volta a restituire un’atmosfera più intima e liturgica rispetto alle precedenti collaborazioni con il regista britannico.
Si giunge quindi al prestigio, ovvero in questo caso, alla risoluzione del mistero oltre il buco nero, con una certa fatica, sedotti certamente da un ritmo incalzante, una fotografia algida in grado di restituire la percezione di distanze incommensurabili, una musica che sottolinea puntualmente la scena, ma con la sensazione di aver visto, in un batter di ciglio, il trucco del prestigiatore.
Nolan resta di certo uno dei più interessanti cineasti mondiali in circolazione, la sua visione della settima arte come industria in grado di incrementare il numero di biglietti venduti senza rinunciare alla ricerca di nuovi modi di raccontare, non può che trovare un largo consenso tra i veri appassionati; il suo limite, come per certi versi fu quello di Méliès, consiste in un’eccessiva fiducia nel meccanismo, nell’effetto, a cui si affida spesso il senso stesso dell’opera.
Interstellar (Stati Uniti 2014, fantascienza 169’) di Christopher Nolan con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, John Lithgow