Si sa, per i nostri distributori è difficile resistere alla tentazione di appioppare a un film appena sbarcato in Italia un titolo, se non idiota, quantomeno scialbo o banale. Esattamente quanto accade con Storie pazzesche dell’argentino Damián Szifrón (in cui forse Almodóvar, qui produttore, ha rivisto il sé sboccato degli esordi), di cui sarebbe stato sufficiente tradurre in modo pedissequo il titolo originale, Relatos salvajes, per dare un’idea più efficace di cosa si sarebbe trovato davanti lo spettatore. Racconti selvaggi, dunque; protagonista, il più selvaggio degli animali: l’uomo.
Sei brevi storie, dunque – compreso il fulminante prologo che anticipa i titoli di testa – narrativamente scollegate fra loro. Un solo tema ricorrente: la violenza (in tutte le sue declinazioni) come la più liberatoria e genuina maniera di rapportarsi tra esseri umani. Il che, sembra bizzarramente suggerirci il film, non è affatto cosa per forza deprecabile. Lo conferma in un’intervista nel corso del festival di Toronto lo stesso Szifrón, che ha iniziato a concepire il film sull’onda della frustrazione di non riuscire a completare altri progetti che aveva in cantiere: tutti gli episodi parlano “di catarsi, vendetta e distruzione, e dell’innegabile piacere di perdere il controllo”. La mente potrebbe a questo punto correre a Un giorno di ordinaria follia, un film probabilmente un po’ sopravvalutato ma che a suo modo ha fatto epoca. Tuttavia, se anche il film di Schumacher sembra avere con quello di Szifrón più di un punto in comune, gli intenti restano ben differenti: Storie pazzesche non nutre il minimo interesse a scavare nella psicologia dei suoi personaggi o a indagare le loro motivazioni, ma si accontenta di rappresentare un mondo in cui è lecito spezzare la gabbia che le leggi, la morale e il vivere comune ci hanno costruito attorno. Il risultato è grezzo ed esilarante.
Inizia il film, e dopo il primo episodio che fa da prologo scorrono i titoli di testa su immagini di animali selvaggi in libertà: la metafora è chiara. Ma ecco arrivare il piatto forte del film: l’umanità sghemba, miserabile e ridicola, quella che vediamo attorno a noi quotidianamente al pub, al casello dell’autostrada o in coda davanti a un locale notturno, finalmente liberata da vincoli sociali e morali. L’uomo abbandona le inibizioni del giorno e assurge al suo stadio più ferino e primitivo, in tutta la sua gloria disgraziata. E così abbiamo tra gli altri il belluino certame tra due automobilisti, uno in Audi e uno su un rottame scassato, tanto divisi dalla condizione economica quanto affratellati da equanime desiderio di sopraffazione e demente rivalsa; un ingegnere addetto alle demolizioni incapace di affrontare i propri fallimenti personali in lotta contro la società, contro il sistema, contro tutto e tutti; un facoltoso padre di famiglia che pur di salvare il diciottenne rampollo colpevole di aver investito e lasciato morire una donna incinta è disposto a tutto (tutto, finché non si tocca il portafoglio, ovviamente).
Si ride. Si ride molto. Di gusto, di pancia, gli istinti più bassi vellicati e soddisfatti. All’inizio la risata è quasi imbarazzata, come se ci dovessimo vergognare di quello che stiamo vedendo e per cui stiamo ridendo. Ma poi, ecco che nella sala inizia a scorrere potente la complicità tra gli spettatori, e tutti ci troviamo ora a sghignazzare apertamente di fronte all’abiezione rappresentata senza accenno di biasimo, le catene delle convenzioni saltate sia al di là che al di qua dello schermo. La verità è che questo Storie pazzesche non ha un messaggio o una morale. È semplicemente una fotografia, oscura e di grana grossa, del nostro io più bestiale e autentico.
Il film termina con un epilogo di sorprendente tenerezza, la stessa che potremmo provare di fronte a una belva feroce dalla pelliccia insanguinata che porta ai propri piccoli la preda uccisa; sazi e soddisfatti, usciamo dalla sala per immergerci di nuovo nel confortante mondo della socialità e dell’ipocrisia.
Storie pazzesche di Damián Szifrón (Spagna, Argentina 2014, Commedia, Thriller 115’) con Darío Grandinetti, Erica Rivas, Julieta Zylberberg, Nancy Dupláa, Oscar Martinez, María Onetto, Rita Cortese, Osmar Nuñez