L’isteria di classifiche, di cataloghi, di liste (e liste di liste) non fa prigionieri!
È così anche per la Balena Bianca: che non lo fa per prima volta, e neanche per l’ultima. Però, mentre tutti si affannano a sancire i più e i meno dell’anno che si sta per chiudere, la ciurma del capitano Achab (insieme a qualche prezioso collaboratore) preferisce dispensare alcuni consigli per affrontare in sicurezza le insidie all’orizzonte per l’anno che si apre.
Date un’occhiata; e se proprio non trovate qualcosa che vi ispira, prendete spunto per un regalo dell’ultimo minuto. Alla fine, quel che conta è che leggiate, o facciate leggere!
Giacomo Raccis, Fleur Jaeggy, SONO IL FRATELLO DI XX (Adelphi 2014)
Sono il fratello di XX è il primo dei venti racconti che compongono l’omonima raccolta di Fleur Jaeggy, uscita per Adelphi pochi mesi fa. Si potrebbe dire due racconti al giorno da Natale all’Epifania. Tuttavia, chi decidesse di affrontare questo libro prezioso, scoprirebbe subito che la lettura del volumetto non potrà durare più di un giorno, perché ogni racconto pone questioni, avanza degli interrogativi che sono come delle porte aperte che invitano a entrare nel racconto successivo: nella speranza di trovare risposte, la lettura proseguirà, attraversando rapida le brevi o brevissime stanze di questa raccolta, che affronta temi dolorosi, traumi e rimossi attraverso un prosa scabra e secca, addolcita da lampi di rada poesia. La scrittura di Jaeggy non è fatta per dare risposte, ma per aprire squarci. Una lettura impegnativa, ma non per questo improba. Una scoperta che vale la pena affrontare, per cominciare poi un percorso a ritroso sui passi di una delle voci più interessanti del panorama italofono.
Michele Turazzi, Davide Reviati, MORTI DI SONNO (Coconino Press – Fandango 2014)
C’è la provincia, c’è un gruppo di bambini che si vede passare davanti l’infanzia fino a trovarsela all’improvviso alle spalle, senza volerlo, senza aspettarselo. C’è il pallone da calcio, fido compagno di infiniti pomeriggi e filo conduttore di tutta la storia, ci sono le vie e le case del villaggio Anic, quartiere operaio voluto da Enrico Mattei nella campagna che separa Ravenna dal mare. E poi c’è lui: il fabbricone. L’immenso petrolchimico, divinità feroce e benevola al tempo stesso, che con la sua sagoma imponente, con il suo puzzo, con i suoi fumi e i suoi rifiuti, incombe sulla vita (e sulla morte) di tutti i personaggi di Morti di sonno. L’intenso graphic novel di Davide Reviati, che alla sua prima pubblicazione, nel 2009, aveva fatto incetta di premi in Italia e all’estero, torna in libreria in una nuova edizione (Coconino Press – Fandango) e l’occasione è di quelle ghiotte per il lettore. Al di là dello splendido bianco e nero di Reviati, del tratto nervoso e delle sue figure plastiche, che sembrano sempre sul punto di volare via dalla pagina, è la poesia che traspare da ogni storia, da ogni dialogo e da ogni vignetta a rendere Morti di sonno (che si sviluppa principalmente tra gli anni Settanta e il mondiale dell’82) un libro destinato a restare. Di quelli che illuminano il ricordo.
Matilde Quarti, Douglas Coupland, TUTTE LE FAMIGLIE SONO PSICOTICHE (Isbn 2012)
Natale significa anche e soprattutto parenti: cugini strambi, prozie eccentriche, amici di famiglia dai gusti improponibili. Riconoscete qualcuno in questa descrizione? Allora quello che voglio proporre quest’anno ai lettori della Balena bianca fa per voi. Tutte le famiglie sono psicotiche di Douglas Coupland (l’autore di Generazione X, per capirci) è un antidoto contro l’ansia da cenone e dopo averlo letto il taglio del cappone sembrerà una passeggiata. Coupland, che sfoggia uno stile ironico e mordace senza risultare mai eccessivo, racconta le vicissitudini di una famiglia sgangherata che si ritrova per assistere insieme al primo lancio nello spazio di Sarah, figlia primogenita e astronauta di successo. Fin qui tutto bene, direte voi, ma di figli ce ne sono altri due di cui uno, Wade, sieropositivo, ha passato la malattia alla madre, mentre l’altro, Bryan, porta con sé un carico di depressione e guai. In un crescendo di nevrosi, tradimenti, pericoli mortali e fidanzate no-global, Douglas Coupland lascia che il suo lettore sprofondi in un turbine di situazioni paradossali. Insomma, avrete finito il romanzo prima di accorgervi che la prozia si è disgraziatamente seduta sul carlino. Un’ultima cosa, ho già detto che l’astronauta è nata senza una mano?
Davide Saini, Joseph Roth, LA MARCIA DI RADETZKY (Adelphi 1996)
Scritto da Roth nel 1932, La marcia di Radetzky racconta delle avventure famigliari dei Von Trotta: dall’antica gloria che li rese nobili fino a un declino che affianca quello dell’impero austroungarico. Raccontare le piccole cose nelle grandi storie, o le grandi cose nelle piccole storie. Le tensioni umane e famigliari, le vicende storiche, la decadenza dei valori, la vecchiaia dell’imperatore Francesco Giuseppe, i vizi, le donne e l’incombente Grande Guerra destinata a cambiare tutto. La narrazione di Roth affascina e intrattiene in maniera irresistibile rimanendo nella migliore tradizione letteraria mitteleuropea. Ideale per lunghe giornate fredde, ha tutto ciò che si può chiedere a un romanzo: trama, ambientazione, storia sentimenti, umanità… Se dovesse piacere questo regalo, Roth qualche anno dopo scrisse La cripta dei cappuccini che continua le vicende dei Von Trotta e che potrebbe essere un’ottima idea per il prossimo anno (per gli amanti di Roth consiglio anche alcuni libretti editi da Passigli o per chi conoscesse il tedesco Ostenda 1936).
Damiano Sinfonico, Vincenzo Consolo, LA MIA ISOLA È LAS VEGAS (Mondadori 2012)
Non tutte le pagine di questo libro mi sono piaciute. Alcune le ho trovate ripetitive, altre superflue. Tuttavia molti di questi pezzi giornalistici e racconti escono dalla penna di un raffinato maestro. Vincenzo Consolo ha messo in musica la storia di un’isola: troverete nostalgia, bellezza, civiltà scomparse, paesaggi, barbariche vendette; vi calerete in un passato luminoso seguendo i percorsi dell’arancio, dalle “conche temperate del versante meridionale dell’Himalaia” fino al centro del Mediterraneo, dove i vivaisti di tutta Europa venivano a imparare la coltura degli agrumi. Consolo impasta tutti i colori, le vele dei Fenici che si materializzano davanti ai suoi occhi, o le vicende di un feudo ceduto agli inglesi. Storie che bucano i millenni e fanno udire il soffio lirico della Storia. Sonoro j’accuse contro la sciatteria di lingua e di pensiero dilagante, questo lucido testamento ci si para davanti come la vetrata di un duomo, un groviglio di sogni, il profilo incerto e sfuggente di un’isola forse solo ipotizzata.
Marco Bellardi, Giulio Mozzi, LA FELICITÀ TERRENA (Einaudi 1996)
I racconti che Mozzi pubblicò nel 1996, dopo il fortunato esordio di Questo è il giardino (Theoria 1993), sono storie di comunissime persone. Vi si leggono l’abnegazione tenera di Severo all’Istituto degli abbandonati e il girovagare di Mario al cimitero degli acattolici in Roma; ci sono Vanessa, dell’ufficio postale, ritardata e “posseduta”, lei dice, dal diavolo di Roberto, e Tilli che si buttò dalla finestra. Sono storie raccontate per scarti psicologici, modernamente presentate attraverso una lingua colloquiale e polita (con alcuni eccessi). Su tutte risalta il dolore di Maria Annunziata, nel racconto più riuscito del volume (Il bambino morto), dove la bravura di Mozzi stempera il drammatico atterrimento della giovane madre attraverso una scrittura che passa dal bozzetto sociale all’introspezione psicopatologica, fino a un fantastico che tale non è. Riedite da Laurana nel 2012 con altri testi inediti, sono le storie di chi cerca la felicità dove può.
Francesca Salamino, Vincent Van Gogh, LETTERE A THEO SULLA PITTURA (Guanda 1984)
«No, non è vero che in natura esiste sia l’appassire che lo sbocciare dell’amore, ma nulla muore completamente. È vero che c’è un flusso e un riflusso, ma il mare resta mare. E nell’amore, sia per una donna come per l’arte, ci sono momenti di esaurimento e di impotenza, ma non esiste disincanto completo. Io considero l’amore, come pure l’amicizia, non solo come un sentimento ma come vera azione, che come tale richiede di fare delle cose e di affaticarsi, con la conseguenza di essere esausti e impotenti».
Quando Van Gogh scriveva le sue famose lettere al fratello Theo, probabilmente non immaginava di dare vita a molto più che considerazioni estetiche sulla pittura e sull’arte. I suoi sono pensieri sensibili, racconti di un’esistenza sofferta ma vissuta con tenacia, riflessioni estremamente attuali, proposte alternative di guardare alla vita. E soprattutto, sono un modo tutto particolare per cominciare un nuovo anno: stancarsi e stancarsi fino a raggiungere un obiettivo e poi godersene, esausti ma felici, il risultato. Ne siamo capaci?
Fabio Disingrini, Wu Ming, L’ARMATA DEI SONNAMBULI (Einaudi Stile Libero, 2014)
Il 19 germinale dell’anno CCXXII, Wu Ming ha pubblicato L’Armata dei Sonnambuli e poi l’ha portato in giro per l’Italia, un Révolution TouR che sabato 20 dicembre ha segnato la sua centododicesima tappa alla libreria Don Durito di Milano. C’è chi scrive, chi legge, chi canta e chi CuRa RobespieRRe nei concerti del Wu Ming Contingent perché intanto esce anche l’album Bioscop: un punk reading rivoluzionario contro l’“avanguardia paradossale” e sulle ragioni del fallimento di Socrates, che «sta sveglio fino a tardi a parlare di politica dell’Italia periferia e della Milano da bere», alla Fiorentina. Non è tutto, il collettivo Giap twitta e Wu Ming scrive il primo manifesto in 140 caratteri: trenta punti sul PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che guida la resistenza popolare al Califfato integralista (“Sub-imperialista” e “capitalista”) dell’Isis. Ne scegliamo uno: «20. Per inciso, molti combattenti in prima linea sono donne. Cosa che fa sclerare una forza ultra-misogina come l’IS/ISIS», e avanziamo a ritroso per tornare a L’armata dei sonnambuli. Il romanzo del Terrore, l’epifania rossa di Madama Ghigliottina, un brivido sismico su uno scaramouche italiano, su un magnetista romantico, sulla pelle dura di Marie Nozière e di tutti i nasi del popolo di Parigi: l’epicentro è in Piazza Rivoluzione mentre la testa di Luigi Capeto rotola fra l’entusiasmo dei berretti frigi. Qualcuno ha cercato di salvare il re dal patibolo e ci proverà ancora: avrà dalla sua parte il fluido del mesmerismo (perché, si sa, sono sempre gli uomini a magnetizzare le donne e i nobili a magnetizzare i contadini), i nauseabondi muschiatini di Palazzo Egualità, la Gioventù Dorata, l’Armata dei Sonnambuli di Bicêtre. Non avrà fatto i conti con l’Amazzone e un onesto sbirro del foborgo di Sant’Antonio, con lo Spirito di Marat e soprattutto con l’Ammazzaincredibili, tutore della plebe rivoluzionaria. Altro che parte smerda: Scaramuccia è il primo eroe mascherato della storia.
Andrea Cirolla, Mario Benedetti, LA TREGUA (Nottetempo 2014)
A dispetto dei disfattisti, il 2014 ha portato e riportato nelle librerie una generosa manciata di libri buonissimi. Il meglio (tra gli italiani) è arrivato dalla poesia e dalla saggistica. Qualche titolo? Il fuoco e il racconto di Giorgio Agamben (Nottetempo); quel misterioso, originalissimo oggetto sospeso tra storia dell’arte e meditazione filosofica che è Figura di schiena di Luigi Grazioli (ebook Doppiozero); e un altro intelligentissimo ibrido, tanto rigoroso quanto libero, un po’ garbato pamphlet e un po’ romanzo famigliare, cioè Di calcio non si parla di Francesca Serafini (per Bompiani). La poesia pure si è arricchita di contributi molto diversi tra loro, ma allo stesso modo importanti: l’attesissimo La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, di Chandra Livia Candiani (Einaudi); la recente, nuova raccolta di Francesco Tomada, Portarsi avanti con gli addii (Raffaelli), e su tutti lo straordinario Villa | L’opera poetica, per l’altrettanto straordinario editore L’Orma, a cura di Cecilia Bello Minciacchi: un monumento, in tutti i sensi, al lavoro di una, anzi almeno due vite: quella dell’imprendibile poeta «clandestino» e quella della studiosa che l’ha a lungo inseguito e infine consegnato al pubblico (si spera il più folto possibile). Quanto alla narrativa, spicca la riedizione di un romanzo straniero: 54 anni di vita, praticamente nuovo. Un protagonista indimenticabile, e una storia fatta di niente e di tutto. Lui è Martín Santomé, un impiegato di commercio, piccolo reazionario suo malgrado, ma nel profondo privo di schemi, aperto ai mutamenti, tanto che a un passo dal pensionamento, quando tutto sembra confezionargli addosso gli ultimi abiti, compie una rivoluzione. Piano, in silenzio. Neanche il lettore se ne accorge, quasi. Ecco, senza dire troppo, la sua storia, scritta in forma di diario, “poetico” di una poesia che non ha bisogno di aggiungere nulla alla realtà, la dice soltanto, così come si mostra, perché si regge sul talento di chi sa coglierla nei momenti migliori, oppure solo da angolature mai frequentate, eppure universali. Ecco La tregua, di Mario Benedetti (1960 – 2014, edizioni Nottetempo).