Questa recensione è uscita su “Poesia”, n. 299, dicembre 2014)
Si parta da una battuta dello Jakob von Gunten di Robert Walser: “Sento quant’è scarso il mio interesse per ciò che si chiama mondo, e come invece mi appare grande e affascinante quello che, nel più profondo silenzio, chiamo mondo io”. In questa zigzagante e personale relazione con l’esterno prende forma l’opera di ogni grande poeta, ma proprio Montale ci ha insegnato che la realtà si curva secondo la nostra fantasia, che tra poesia e vita ci sono pressioni reciproche, costanti, potenti, che il mondo non ha niente di oggettivo e che la logica del dubbio è quella più feconda. La sua creazione letteraria ha intercettato il vissuto di numerose donne che in rapporti mai del tutto chiari e sempre sfuggenti gli si sono accostate: dei loro nomi, dei loro volti, delle loro biografie, la critica ha con zelo rintracciato testimonianze e conferme, abbacinandosi talvolta nelle false piste, esultando quando il bandolo della matassa spuntava con evidenza. Tutto un romanzo di glosse, ritrovamenti, vicende semifiabesche, fotografie, carteggi e altro materiale, che sgocciola le sue preziose informazioni con parca generosità, si snoda attorno a una delle opere più monumentali e celebrate del nostro secolo: la poesia di Montale merita un simile trattamento, e nessuna bianconera ispiratrice racchiusa in un nome magico – per quanto inneschi una ricerca erudita – distoglie l’attenzione dai suoi versi. Al contrario, simili indagini non fanno che salvare la carica potente, l’intelaiatura, la gittata di un’opera che regge “all’urto dei monsoni” e “sovrasta i ciechi tempi come i flutti / arca leggera”. L’individuazione delle destinatarie dei testi ci permette di comprendere i contatti, gli inabissamenti, i ritorni, la trasfigurazione che queste donne di carta ricoprono in un estesissimo arco temporale. La fioritura di cicli che si aprono e si chiudono, ruotando attorno di volta in volta a una figura diversa, è il lievito di un’esperienza che cresce in un fitto andirivieni nei territori mutevoli della memoria e della fantasia. Di Annetta, per esempio, che compare dagli Ossi fino all’ultima, estrema poesia dell’Opera in versi, è possibile ripercorrere la più accidentata fra le proiezioni montaliane, emblema di uno scollamento radicale fra il personaggio realmente esistito e la sua ricreazione. Proprio per questa consapevolezza Giusi Baldissone costruisce un libretto snello e sobrio, scandito in capitoletti dedicati con ordine alle diverse muse montaliane, muniti di ritratto (quando disponibile), di una poesia e le informazioni principali. Ma nell’introduzione l’autrice si sofferma meno sull’aspetto biografico e più sui meccanismi della creazione poetica: cioè come queste donne siano entrate nella poesia di Montale, fondendosi (sempre secondo l’autrice, attenta alla psicanalisi) in tre figure riconducibili al modello dell’angelo, della complice e della donna mostruosa. Niente di nuovo viene svelato, sostiene Baldissone, anche se il suo lavoro è non solo un agilissimo strumento di lavoro per gli studiosi, ma anche un pungolo per ogni lettore a ripercorrere la poesia di Montale inseguendo il percorso delle ispiratrici. Esse, osservandoci da questa galleria di ritratti, emergono dalla fitta nebbia di sempre e restano per noi incise nella memoria, indifferentemente che siano state amori “eterei o carnivori / o solo epistolari”.
Giusi Baldissone (a cura di), Le muse di Montale. Galleria di occasioni femminili nella poesia montaliana, nuova edizione accresciuta, Interlinea, Novara 2014, pp. 119, € 15,00