Una premessa: la figura del postino Cheval mi appassiona da tempo e mi son sempre chiesto come mai nessuno abbia tratto un romanzo sulla sua vita. Un condensato di incredibile forza di volontà, tragedia umana, una dimostrazione della terribile potenza dell’immaginazione, ma anche della meraviglia dell’essere artisti nel vero senso della parola. E il Palais idéal è uno dei posti che mi riprometto di visitare, un giorno o l’altro. Quindi sono stato innanzitutto invidioso e poi curioso di leggere il libro di Alessandro Tasciatti sul Facteur Cheval e sulla visita al suo Palazzo.
Ferdinand nasce in una famiglia modesta il 19 aprile 1836, dopo alcune vicissitudini (deve lasciare la scuola per lavorare come panettiere) grazie a una raccomandazione riesce a diventare postino nelle campagne del Sud Est della Francia, a Charmes-sur-l’Herbasse, nel dipartimento di Drôme di cui è originario. La sua storia umana è caratterizzata dalla sfortuna: da piccolo gli muoiono i genitori, poi due mogli e i figli. Una vita accompagnata dalla tragedia ma nulla che possa far intuire cosa si portava dentro, il seme che si stava sviluppando dentro la sua mente. Un albero che inizia a crescere nel momento in cui Ferdinand si ristabilisce nel suo paese, nel momento in cui viene trasferito come postino e può finalmente vivere con la sua famiglia. Proprio in quel momento una scintilla: un inciampo in una pietra. Una pietra con una forma particolare che lo fa cadere rovinosamente con la pesante borsa della posta. All’improvviso si riaccende il suo vecchio sogno di costruire il Palazzo, riporta a casa la pietra e così ha inizio tutto. Per 33 anni costruirà con le sue mani, di notte e nei giorni liberi il suo palazzo: sia chiaro non per andarci a vivere! Un palazzo “ideale”, un sogno, un’opera d’arte. Una gigantesca opera d’arte: più di 1000 pietre per 350 metri quadrati (26x14x11) di stanzette, grotte, anfratti, un labirinto di sculture e decorazioni di ispirazione cristiana e indù.
Parlando di quest’opera è doveroso sottolineare l’ammirazione di artisti surrealisti del calibro di André Breton e Max Ernst (come avrebbero potuto non rimanerne colpiti?) ma anche di Pablo Picasso (che realizzò una serie di disegni sul Facteur Cheval) fino ad arrivare a Jean Tinguely. Questo bisogno di riferimenti in chi parla di Cheval nasce, credo, da un bisogno di legittimazione estetica dell’opera stessa: grande esempio di Art Brut e non ammasso di pietre raccolto da un pazzo. Perché in fin dei conti il Facteur Cheval fu anche questo: postino, credente, uomo con una scala di valori “solida” (Dio patria famiglia), ma anche un pazzo che si spacca la schiena a spostare pietre in ogni minuto lasciato libero dal duro lavoro di postino. Un uomo che ha inseguito un sogno pazzo e l’ha realizzato: un vincente tutto sommato.
Trasciatti a riguardo riflette giustamente su come ad affascinare del Palais idéal sia spesso più la modalità di realizzazione (la fatica costante e coerente di un solo uomo per decine di anni, lo sfogo di una fantasia gratuita…) piuttosto che l’opera d’arte vera e propria. Ma se è vero che è stupefacente che tutto ciò sia uscito dalla mente e dalle mani di un solo postino incolto di una regione abbastanza remota della Francia, è anche vero che questo postino pur con tutte le sue ingenuità ha creato un’architettura che preannuncia Antoni Gaudí e che in parte può rientrare nella riflessione teorica sulla scrittura automatica di Breton.
Certo l’artista in questo caso fonde se stesso nella realizzazione del suo sogno e risulta difficile dividere chiaramente opera e artista; ma questo non può invalidare di principio il valore dell’opera. Quindi una pigna di sassi sì, un accrocco di idee ingenue sì, ma anche un’opera d’arte visionaria e di valore.
Per raccontare questa storia Trasciatti mischia, come avrebbe fatto Cheval, materiali e registri diversi: narrazione, memorialistica, diario di viaggio, invenzione romanzesca fino a scattare da solo le foto del Palazzo. In questo modo riesce a costruire un affresco credibile e ben fatto, interessante e per niente noioso. Il libro, dopo un inizio difficile tanto nella scrittura quanto nella lettura, riesce ad arrivare “al sodo”: al personaggio del Facteur Cheval e al viaggio verso il Palais. Passata la tormentosa parte iniziale l’equilibrio diventa perfetto: alle riflessioni sull’opera e sulla vita dell’artista si inframmezzano i racconti del viaggio compiuto da Trasciatti con un’amica (che collabora al racconto con pagine del proprio diario). L’autore strappa la simpatia del lettore con le sue idiosincrasie, ma soprattutto a risultare produttivo e interessante è il suo confrontarsi con Cheval da uomo a uomo e da artista a artista.
Un libro molto piacevole (anche il volume è molto ben curato) che racconta una delle vicende artistiche più strane, originali e coerenti mai esistite. Un ottimo modo per avvicinarsi al Facteur Cheval e alla sua opera e per riflettere sul senso dell’arte e della dedizione.
Alessandro Trasciatti, Avevo costruito un sogno, Ediesse, 12 €