Atti osceni in luogo privato è la storia di Libero Marsell, adolescente complicato, seduttore magnetico e impenitente, compagno maturo. Amanti come piccole pietre preziose in un’educazione sentimentale per amplessi; amori come perle incastonate nel racconto di una vita vissuta sempre sul filo di una vitale tensione emotiva e sensuale. Una vita esemplare quella del protagonista dell’ultimo romanzo di Marco Missiroli; una vita scandita dalla presenza di donne ingombranti quanto decisive: la madre, prima e dopo qualsiasi amore; la fragile Marie, prima troppo grande, poi troppo amica per poter essere anche solo sfiorata; poi Lunette, la «farfalla nera», in pubblico animatrice della contestazione, dietro i paraventi animale docile e fedele; e infine Anna, amore impossibile e compagna di vita. In mezzo, sogni a occhi aperti, amori vagheggiati e tanti, forse tantissimi rapporti consumati, rapide tacche che marchiano il tronco cavo che porta Libero dall’infanzia a una convinta maturità.
Tra la Parigi dell’impegno – complice un Sartre da poco scomparso, la cui aura ancora illumina i ragazzi che si accalorano ai tavoli del Deux Magots – e la Milano di una bohème scalcagnata eppure irresistibile – il praticantato in uno studio di avvocati senza scrupoli, la ricompensa morale del servire ai tavoli di una trattoria sui Navigli –, scorre una vita senza rimpianti, fatta di momenti felici e di momenti difficili, come ogni vita, ma risolta sempre grazie all’invidiabile abilità di Libero di scommettere su di sé e sul proprio fiuto.
È un personaggio seducente, quello costruito da Marco Missiroli; un personaggio capace di andare contro corrente, di abbandonare il noto per l’ignoto sull’onda di scelte azzardate o impulsive – lasciare Parigi solo per scappare da una delusione d’amore, innamorarsi della fidanzata del proprio amico – e di avere alla fine, sempre e inesorabilmente, ragione.
È un personaggio perfetto, questo Libero Marsell, capace di consumare amori e sentimenti alla stessa velocità con cui intesse legami duraturi, che resteranno a puntellare la sua emotività instabile. Dalla madre al padre acquisito, dalla donna che fu la sua prima infatuazione al datore di lavoro, chiunque conosca Libero non riesce più a staccarsene, ma anzi si sente investito dal dovere morale di aiutarlo a diventare un uomo migliore. Forse perché in fondo Libero è un ragazzo predestinato. Non tanto nel suo nome – come più di un personaggio vorrebbe fargli credere –, quanto nella parabola della sua felicità resta inscritto il suo destino. Un destino che conoscono tutti, tranne lui. Ed è per questo che ogni personaggio si premura di rendere Libero consapevole di quanto sia speciale e di come le difficoltà, le sofferenze e le ingiustizie che a tratti si affacciano sulla sua esistenza – dalle delusioni amorose alla scomparsa dei propri cari – non siano altro che inevitabili passaggi di un percorso unanimemente votato alla felicità.
Ognuno sembra vivere al solo scopo di offrire a Libero un boccone del suo destino, di rivelargli un angolo della sua anima ancora sconosciuto. Gli scambi tra Libero e gli altri personaggi sono retti da equilibri ben identificabili: tutto deve convergere sul momento chiave della rivelazione sorprendente – «La tua forza è nella chimica, Libero» (51) – o della domanda che apre squarci di consapevolezza che solo l’esperienza interverrà a colmare – «Giorgio mi sistemò la camicia: “Rispetti il tuo nome?”». Frasi brevi, lapidarie, memorabili: oracoli mondani che scandiscono il progressivo comporsi di una personalità luminosa.
Missiroli mette al servizio di Libero Marsell – «le Grand Libero», come lo chiama la sua amata Marie – la sua ars oratoria e a suon di sentenze scolpisce un profilo avvincente e apparentemente complesso. Sorge infatti il sospetto che dietro quest’aura di viveur ineffabile si celi una personalità molto più vacua. Il termine giusto per descrivere Libero sarebbe forse quello che Sandro Veronesi aveva coniato per definire la protagonista femminile degli Sfiorati: «schiumevolezza». Si tratta di un concetto che tiene assieme il fascino irresistibile della bellezza, ma anche l’impressione della sua vanità: una bellezza pronta a svanire al semplice ritrarsi dell’onda lunga dell’infatuazione. Per questo Libero Marsell appare come un personaggio falso, costruito sulle fragili impalcature di qualche frase a effetto ammantata di un vago spessore concettuale – «Le tombe sono un’invenzione del dolore» (76) – o del fascino languido di una frase in francese proferita al momento giusto – «C’est pour toi, mon papa», pronunciato sulla tomba del padre.
Lontano dai sentimentalismi più biechi e scontati, da racconto d’appendice, il tono emotivo del romanzo di Missiroli si attesta sui livelli di un “pathos consapevole”, pretenzioso nelle sue ambizioni di maturità: improvvisi sussulti, rivelazioni sorprendenti intervallate da passeggiate di riflessione scandiscono il ritmo di un romanzo giocato su un tono di scintillante languore. A scongiurare i rischi dell’estenuazione intervengono gli ammiccanti quanto illusionistici riferimenti cult, sparsi a tutti i livelli del romanzo, dalla costruzione dei personaggi alla definizione degli scenari.
Bastano pochi esempi. Anna, ultimo, grande e definitivo amore di Libero, si presenta come il prototipo della ragazza completa, intellettualmente vivace, emotivamente complessa, tesa com’è tra maturità e fragilità. In realtà il suo personaggio si risolve in un patchwork di luoghi comuni improntati a una prevedibile originalità: la grande dedizione con cui insegna in una scuola per stranieri, la «Repubblica» arrotolata sotto il braccio e le risposte a tre domande opportunisticamente “capitali”. «A che età hai perso la verginità? – Quindici. – Cosa pensi del femminismo? – Qualcosa di buono. – E di Dio? – Qualcosa di buono» (205). Per personaggi di minore importanza, la concentrazione dei caratteri è ancora più alta, e forse anche più efficace: «Amava la birra, l’ossobuco e aveva un debole per la meringa sul fondo della coppa Smeralda» (205). Particolari irresistibili, altrettanti ammicchi a un lettore che non trova più ragioni per resistere al fascino della scrittura brillante di Missiroli.
Il quale trova sempre nuovi oggetti su cui esercitare un’abbagliante capacità inventiva e una prosa rutilante: come la «piccola bellezza di Milano», città «aspra da fuori, intima oltre le facciate» (120), che scalza Parigi dal podio morale del protagonista; o come i libri, consigliati, letti e discussi, riferimento constante nella biografia di Libero, tanto da comporre il palinsesto di una formazione sentimentale che tuttavia sembra assecondare più la bibliofilia compiaciuta di chi scrive (e di chi legge) che le esigenze di una verosimile dinamica emotiva: «Ripensai a Camus: dov’era finito l’impeto dello Straniero? E l’etica della difesa?» (120).
Tanto si potrebbe ancora dire di Atti osceni in luogo privato, esemplare di un rampantismo letterario che pretende di rinnovare il nostro immaginario, ma finisce per arenarsi nei topoi di una nuova, schiumevole retorica pop. Il romanzo di Missiroli si esaurisce così, in un conformismo naïf e oscenamente conciliatorio, che rinuncia a ogni audacia e spreca un evidente talento scrittorio in uno sterile desiderio di piacere.