È il più autobiografico romanzo di Fulvio Ervas. Parliamo di Tu non tacere, secondo libro in cui l’autore trevigiano abbandona la figura del detective Stucky che l’ha fatto conoscere agli appassionati del giallo italiano ma non l’ha consacrato nel panorama degli scrittori più letti come è avvenuto con Se ti abbraccio non aver paura (Marcos y Marcos, 2012), sul tema dell’autismo.
Il professore di scienze e scrittore Ervas ci racconta la storia di un professore di scienze e scrittore (non era difficile ispirarsi…) alle prese con un dubbio di coscienza: aiutare o no un ex allievo, un po’ testone ma genuino, a fare luce sulla tragica morte di suo padre? E poi, come farlo?
Il romanzo procede a due voci. Un capitolo è affidato al racconto del professore, quello successivo alla voce del ragazzo, in un’alternanza ordinata di narrazione in prima persona.
Le due trame di Tu non tacere si incrociano a p. 43 quando il professore e il suo ex alunno si ritrovano a distanza di quattro anni dal diploma di maturità. In quel lasso di tempo di non frequentazione, la vita di Lorenzo Vivian aveva subito uno strappo, una perdita irreversibile: la morte del padre travolto in macchina da un pirata rimasto ignoto e relegato per quattro anni a letto, paralizzato. Il professore, alle prese con un memoriale, un consuntivo sulla sua professione («A cosa serve un insegnante? A riempire un registro (adesso elettronico)? A scrivere la formula dell’etanolo alla lavagna?», p. 87), avrà un moto di altruismo che avverrà per gradi. Il primo passo per lui sarà prendere coscienza della perdita avvenuta nella famiglia Vivian, un lutto di proporzioni enormi per i tre figli rimasti orfani (Lorenzo, Laura e Alvise) e per una vedova in difficoltà. Poi si rivolgerà, su consiglio di un vicino, alla TNT («“TNT” chiedo “come l’esplosivo?”», p. 94), una società per il risarcimento danni causati da errori sanitari pubblici e privati gestita da tre paladine del diritto alla sanità, Tosca, Norma e Tina. Da lì seguirà a distanza il procedere della causa, incontrando più volte la reticente madre di Lorenzo e anche il ragazzo scoprendo altri tasselli del puzzle di quella triste vicenda. La trama procede lasciandosi dietro una scia di suspense: riusciranno i nostri eroi a far luce sull’accaduto e ad ottenere l’agognato rimborso della causa medica («Prof, non per soldi né per vendetta. È semplice rispetto. Mio padre aveva il diritto di essere assistito al meglio. È per questo che vorrò essere pagato, fra qualche anno», p. 339)?
Autobiografia, giallo ma anche romanzo di formazione: Lorenzo sta crescendo e lo seguiamo pagina dopo pagina fare i suoi ragionamenti nella tormentata elaborazione del lutto, prendere le sue decisioni (la facoltà di medicina e il tirocinio in reparto, andare a convivere con Michela), inalberarsi, sbagliare e poi ritrovarsi. Si sfoga così: «Ti ripetono tutto il giorno diventa grande e non ti dicono mai ti vedo un po’ più grande perché non potrebbero più dirti diventa grande e finisce il loro divertimento, scompare il ruolo dell’adulto e altre stronzate, quel loro sentirsi cavalieri e tu scudiero per sempre» (p. 84).
Tra le frasi più riuscite del libro-verità di Ervas, romanzo che ha trovato il coraggio di scrivere dopo un lungo periodo di studio e approfondimento sul tutoring per danni alla persona e sui meccanismi assicurativi, la seguente: «Siamo figli di un Darwin minore» (p. 38), per indicare che l’evoluzionismo in natura, nel caso dell’umanità, non ha dato sempre buoni frutti. Oltre al padre della teoria evolutiva, tra le pagine si cita il grande scrittore dell’horror Stephen King, inserendo un micro nucleo narrativo dal finale annunciato: una giovane donna in fin di vita, Elisabetta, chiede al dottor Clown di esaudire un suo ultimo desiderio, ricevere una storia tutta per lei dal re del brivido americano. Lorenzo estende la richiesta al professore ma infine si farà carico lui stesso, ispirato dal fratello minore, di comporre una storia delicata quanto funambolica («Ti stiamo seguendo in tanti, su quel filo. Persone curiose e meno curiose. E alla fine di quel filo ci ritroveremo tutti: ricci, balene, guinea pig e persino le fragole. E tu ci farai da guida, tu che hai le tasche piene di aghi di pino e gemme di albicocco, tu che conosci bene l’arte del funambolo, che stai suonando nel grande concerto della vita, il concerto dei sani e dei malati…», p. 342).
Le pagine scorrono sotto gli occhi furtivi e voraci del lettore, come lo stile paratattico e sincopato dell’autore. Una costellazione di punti divide in frasi brevi il discorso di Ervas, corredato da una presenza costante di frasi dirette (frequenti i dialoghi tra i personaggi) e flusso di coscienza (in questo caso con interpunzione scarsa), ininterrotto nel procedere incerto di decisioni e pensieri del professore o del giovane studente di medicina.
Stile leggero e argomento denso, per concludere, come ci aveva abituati Ervas col suo ultimo romanzo, questa volta spostando il focus dall’handicap alla malasanità. La trama a due voci che si rincorrono e si confondono, si competano e si respingono sono il pregio del libro; procedere per tentativi e pezzi di puzzle in capitoletti che sembrano scritti nelle pause tra una lezione e un’altra, il limite maggiore.
Fulvio Ervas, Tu non tacere, Milano, Marcos y Marcos, 2015, 352 pp., 18 €.
* La copia recensita di Tu non tacere ci è stata gentilmente resa disponibile dall’editore Marcos y Marcos.