Nel folto dei sentieri – titolo dell’ultima raccolta di versi di Umberto Piersanti – può riferirsi tanto alla terra marchigiana quanto allo spazio, al pari dolce e sconnesso, selvatico e folgorante, della memoria. La dorsale costituiva del libro è infatti il recupero del tempo, anche improvviso e privo di volizione. I testi si compongono per lo più sui riflussi del passato che emerge e porta in primo piano il vissuto privato del poeta, colto sotto una luce nostalgica («ah, potere rientrare | dentro la foto…», p. 105) che dilata il confronto con i «tempi nuovi» (p. 11).
Tutta la silloge è segnata dal senso del tempo che passa, inesorabile, disfacendo una condizione umana che soltanto la memoria può provare a comporre di nuovo. Questo sembra il valore primigenio del ricordo rispetto alla «fuga dei giorni | che mai ha tregua» (p. 151) e che minaccia una sconnessione nelle cose. Ciò comporta un incespicare, un’incertezza che si fa anche distanza dagli uomini e produce una sensazione di lucida solitudine e mancata appartenenza («io non gioco mai, | in ogni gioco | sto sul bordo del campo», p. 184). Per questa ragione il ricordo tende a ripiegare in chiave protettiva e racchiudersi nell’ambito familiare, coinvolgendo – per instaurare uno scambio vero, pure retrospettivo – alcune delle figure più vicine: il padre, la madre, la sorella. Anche il presente traccia il tentativo di un dialogo ristretto, ostico, specialmente con il figlio Jacopo, autistico, che «abita una contrada | senza erbe e fiori» (p. 138) e che è, per certi versi, deuteragonista del libro.
La presenza pervasiva della natura si dispiega nelle pagine del libro in modo continuo e stratificato, con l’esplicitazione costante dei nomi delle piante e degli animali che popolano il paesaggio delle Marche entro cui è inscritta l’esperienza illustrata dai versi. Qui si rinviene il senso letterale del titolo della raccolta: Nel folto dei sentieri è proprio dove il poeta si cala nella realtà, in un tentativo di assimilazione e scioglimento delle cure della vita di tutti i giorni. Questa tensione finisce per intersecare i diversi piani dell’esistenza, come in Nell’acqua delle terme:
remota primavera
fatta eterna,
nella corsa degli anni
persa e oscurata,
ma poi ritorna,
a tratti,
e non sai come
(p. 210)
Come appare nel passo appena riportato, la natura ha anche una funzione contrastiva e sottolinea, agli occhi del poeta, la finitezza dell’essere umano, già solo con la sua ricchezza, la proliferazione delle forme e dei colori. Una compattissima tessitura cromatica innerva d’altronde tutta la raccolta, sia sul piano referenziale che su quello metaforico («riso bruno», p. 44, «riso biondo», p. 85): la percezione è anzitutto visiva.
Nel complesso, però, la scrittura appare troppo fioca, dolciastra: incapace di scardinare l’ancoraggio al vissuto personale con il suo dispiegamento uniforme e privo di increspature. Non riesce a spezzare il senso di fatica nemmeno la presenza variata della natura, anzi la sua pervasività finisce per sfociare in un moto di ripetizione. Il cammino Nel folto dei sentieri – reali, esistenziali e mnemonici – rimane chiuso all’interno di un perimetro circoscritto, che si rivela invalicabile.
Umberto Piersanti, Nel folto dei sentieri, Milano, Marcos y Marcos, 2015, pp. 235, € 17.
* La copia recensita di Nel folto dei sentieri ci è stata gentilmente resa disponibile dall’editore Marcos y Marcos.