Già dal titolo, La sottrazione di Marilena Renda annuncia una mancanza. La lettura dei versi vi sovrappone poi i significati di perdita e contaminazione, che permeano una libertà instabile o già consumata a seconda delle voci portate in scena. L’intersecarsi di vari piani di elocuzione è del resto una proprietà stilistica che caratterizza fin dal principio tutto il libro, dilatando l’istanza del caos che grava sull’universo nel quale si inscrivono le poesie, quello della scuola e dell’insegnamento.
La raccolta di versi è segnata per intero dall’oscillazione continua fra i termini dell’innocenza e della dispersione, che dissolve il tempo in un paesaggio liquido («Il tempo passa senza che lo capisco | e due mesi sono sei a tutte le ore del giorno», p. 39). Questo è il dominio proprio dei bambini, ritratti mentre camminano ai margini della loro coscienza.
Il tessuto linguistico è un fiume che scorre a una velocità contenuta, che la nominazione di oggetti quotidiani, l’impostazione referenziale, la componente dialogica (dispiegata con interrogazioni anche retoriche e l’inserto di discorsi diretti) contribuiscono a rallentare, senza però chiudere mai. Anche perché il corso del testo è disseminato di gorghi simbolici, che danno respiro alle poesie pure dove emerge prepotentemente la tensione tra il bisogno primario e non sempre consapevole di liberare la fantasia, la minaccia della consunzione dell’identità infantile e la presenza oppressiva dei “grandi” («Metti in bocca sangue d’orso, bevi quest’olio – sei morto, | le bestie hanno acceso un fuoco», p. 10). Questa mescidanza di oggetti, momenti e figure è senz’altro una delle risorse più feconde del libro, anche se talora sembra tradire l’equilibrio compositivo finendo per appesantire la sgranatura dei versi.
Ad ogni modo, lo scrosciare – vivido e fermo come in un fotogramma – di questa forza incosciente sul muro dei giorni è testimoniato da uno degli attacchi più limpidi e rappresentativi dell’intera raccolta:
“È il mio insetto, è venuto a trovarmi”,
dice il bambino dalla felpa nera
mentre una vespa sbatte contro il vetro,
dall’esterno, per dire ciao.
Si legge uno sbilanciamento della voce lirica che assorbe le coordinate cognitive del bambino, o perlomeno vorrebbe assorbirle. Sì, perché viene delineata la lontananza irrimediabile della dimensione adulta, pur all’interno di un ampio ventaglio di momenti diseguali. È qui che il vissuto di Marilena Renda emerge in modo più penetrante, portando in primo piano la difficoltà dell’adattamento, la precarietà del desiderio e l’ansia di un rapporto alla pari con i bambini, capace di stabilire, tra le diverse personae, un confronto vero e non viziato dagli inevitabili e anche involontari pregiudizi degli adulti. Questo moto restituisce un senso di autenticità, dettato dalla voglia di capire a fondo le proprie ragioni verificandole alla luce di quelle altrui – l’esplicitazione dei rispettivi limiti ne è alla base, non disinnesca lo sforzo e anzi lo rafforza.
Del resto, l’io messo in scena è per certi verso aperto e per altri latore di difficoltà che variano dal piano più propriamente esistenziale a quello lavorativo, a cui si collega la condizione d’insegnante che quando finisce la scuola deve spiegare «brevemente ad alunni e genitori la natura poco sentimentale dei contratti a tempo determinato» (p. 70). Così si legge in Bambini, l’ultima sezione del libro che raccoglie una serie di brevi frammenti in prosa dove si alternano lacerti di pensiero sulla vita – intima e relazionale – dei bambini, sui limiti del ruolo d’insegnante e sull’instabilità dell’io lirico («Una volta eri la salvatrice dei momenti difficili, ora non salvi più nessuno», p. 70). Emergono qui alcuni spunti – appena accennati però – relativi alla dimensione sociale, con l’esplicitazione di una geografia allargata che raffigura i movimenti che segnano il nostro tempo.
La sottrazione è un libro che, forse lentamente, chiede di costruire un universo in cui le fughe metaforiche e le referenze quotidiane si intersecano in modo eterogeneo e nei momenti migliori finiscono per compensarsi, creando un quadro a prima vista costretto, ma in fondo smosso e penetrante, dominato da una tensione continua e riflessa nella compresenza di tempi diversi dove «Le correnti d’aria | muovo in levare | e in avanti | (ma verso il basso, poi)» (p. 9).