I genovesi si riconoscono facilmente poiché hanno paura dell’acqua. Non dico del mare, ché sarebbe riduttivo, dico proprio dell’acqua – dell’acqua nel mare e dell’acqua nel bicchiere. Si riconoscono subito, insomma. Hanno paura anche del mare, sia chiaro, e infatti hanno provato a chiuderlo al Museo del Mare, ma l’acqua è molto più grande del mare sicché i genovesi si sono costruiti anche un Acquario. Poi l’acqua cola da tutti i lati e si ingolfa, si sa, è naturale. Non bastava già il primo Molo del porto medievale a contenerla. E infatti, sul ciglio della baia, i genovesi avevano già costruito il Mandraccio, che poi significa recinto, ma i fortunati fra i genovesi che avevano un gruzzolo tiravano giù sul pelo dell’acqua i pontili e le calate, che poi sono quasi come i pontili ma coprono il mare che è pieno d’acqua. Anche l’aeroporto di Genova copre il mare e, infatti, è una pista d’atterraggio versata lì, sul pelo della costa, che i velivoli quasi ci scivolano sopra e cascano giù come è accaduto nel 1999, che il mare si inghiottì un aereo e insomma i genovesi facevano quasi bene ad aver paura. C’è anche un vaporetto che, dallo scalo in centro città, raggiunge il parco di Pegli con lo stagno dei cigni e, per farla breve, si passa da una pozza all’altra. Il vaporetto costa poco ma i genovesi lo bloccano quasi sempre perché è brutto tempo e il mare è agitato. E allora l’Azienda Metropolitana dei Trasporti lo ha chiamato Navebus, così sembra quasi che corra su ruote e invece galleggia su scafo, ma il tempo è brutto lo stesso e, comunque, il mare è agitato.
Se proprio non si può andare a Pegli, si può anche restare in centro, com’è naturale. In centro, all’ingresso del porto vecchio, c’era la fontana del Genio dell’Acqua, ché si sa che, quando si ha paura, si fanno un po’ i ruffiani. Ma poi la fontana è stata spostata in piazza Colombo e adesso fa la guardia ai banchi dei libri usati che sono molti e sono curiosi e fanno tutto il giro dei portici, ma i miei preferiti sono i banchi di piazza Banchi, che suonano tautologici e sono dietro Palazzo San Giorgio. Anche Palazzo San Giorgio è costruito sull’acqua, come stesse a galla, ma non è poi vero che galleggia, sicché, insomma, lì dentro i genovesi hanno chiuso Marco Polo che era colpevole di aver viaggiato via terra più che via mare. Si dovrebbe anche dire qualcosa di buono sul santo che uccise il drago e che è san Giorgio, appunto. E si dovrebbe dire, insomma, che secondo alcuni san Giorgio uccide il drago, ed è naturale così, ma altri rispondono invece che san Giorgio protegge Genova. Tutti concordano, tuttavia, su quello che c’è da vedere. E quello che c’è da vedere è che, sui portali incisi del Quattrocento, un esercito di innumerevoli santi Giorgi in pietra di Promontorio trafigge uno stormo di draghi – e quel che si spera, insomma, è che, dai secoli dei secoli, il cavaliere abbia la meglio sul mostro marino. Ma i genovesi hanno paura dei draghi perché, di tutti i guai che possono capitare, uno dei più tristi è che il drago si annidi nel pozzo. È una sventura grandemente spiacevole per tutti, ma è oltremodo spiacevole per i genovesi che hanno paura dell’acqua e un giorno scoprirono un drago proprio nel pozzo di via Fossatello. E allora chiamarono il vescovo che freddasse il basilisco che inquinava l’acqua. E insomma, com’è naturale, il mostro spirò, il vescovo fu santificato e sul luogo gli fu dedicata la basilica di San Siro. Non so che fine fece il pozzo. Non so neppure chi vada ancora in coltelleria, che poi è una bottega piuttosto piccola e garbata in cui si affilano i coltelli e si vendono accendini, ma ce n’è una in via Galata che sfida la fontana del Genio dell’Acqua e, poco oltre, bisogna andare a comprare la torta Panarello e bisogna dire che è buona. C’è anche un’altra coltelleria in via Orefici. Sopra la coltelleria c’è un bassorilievo e dentro il bassorilievo ci sono i cavalli e i Re Magi. Davanti c’è Tezenis. Ma dietro i Re Magi e tutt’attorno al bassorilievo, il panorama scolpito è una baia di scogli proprio come il panorama di scogli qui fuori, attorno a Vernazza o a Tellaro. È insomma più ligure che palestinese, nonostante i Re Magi. Nell’angolo in fondo a destra del bassorilievo, al numero 47 rosso di via Orefici, c’è anche una bava d’acqua e un cavallo scolpito che si china per bere ed è naturale ché i cavalli non possono fare altrimenti. È strano che l’acqua di Vernazza o di Tellaro, l’acqua di una scogliera, occupi solo un angolo in fondo a destra ma il fatto, si sa, è che l’hanno ingabbiata là dietro nel XV secolo ché già i genovesi di allora avevano paura dell’acqua.
A sinistra della coltelleria si può ordinare un cono di pànera, che è un semifreddo di panna al caffè e piace ai genovesi. Anche se è più spumosa la pànera in via Luccoli, ma, insomma, dipende dai gusti, perché poi via Luccoli sbocca in Piazza Fontane Marose che non sappiamo perché vanti un nome così bagnato che non solo è strano e pieno d’acqua, ma è pure il nome di una piazza a forma di strada, come del resto anche altre piazze genovesi. Ai genovesi, infatti, com’è evidente, non piacciono tanto le piazze ché le piazze sono larghe e piatte come i laghi e i laghi sono fatti d’acqua e se poi ci sono piazze grandi viene la tentazione di metterci una fontana d’acqua. Come a Campetto si può ancora vedere la fonte diabolica con le teste caprine e il satiro ubriaco che suona una conchiglia davanti al ristorante giapponese e al negozio di stoffe. Le piazze grandi che ci sono a Genova sono piazze nuove come piazzale Kennedy, che è un parcheggio e ci fanno il luna park, ma quando vai sulle giostre sembra di piombare sul mare là sotto come gli aerei che cascano dalle piste, insomma. Poi c’è piazza della Vittoria, che è una piazza dei fascisti e ci viene il Papa quando deve dire messa a Genova, con tutte quelle persone, e il Papa avrebbe voluto usare la palestra del Liceo D’Oria per cambiarsi d’abito, ma gli studenti non volevano e poi non so come sia finita. Soprattutto c’è piazza De Ferrari che per i genovesi vuol dire il centro ed è dell’Ottocento e quindi non è molto antica e allora si è supplito con una fontana immensa circondata da guizzi d’acqua che a volte i genovesi passano e li vedono tinti di rosa o di giallo e non capiscono mai perché. Perciò li hanno presi a noia e hanno voluto coprirli con le aiuole che, com’è naturale, servono a sedersi d’estate, perché insomma la paura dell’acqua è pur sempre la paura dell’acqua. Le altre piazze che ci sono, sono le piazze che furono il vestibolo dei palazzi nobili e sono adesso gli slarghi coi tavoli dei bar e con le birre dei bar – come piazza delle Erbe, delle Vigne, della Lepre e piazza San Cosma, che è grande come una stanza e quindi ci si può sedere anche senza le sedie, sui gradini e sugli arcosolii. Quando la birra è finita, poi, ci si può alzare e si può andare via. Per andarsene capita di prendere il treno verso Est, che i genovesi chiamano Levante, ma si può anche prendere la metropolitana per andare a Ovest, e allora si chiama Ponente.
A Ponente i genovesi hanno relegato l’industria, quando ancora c’era, e, quando ancora c’era, l’avevano impilata sulla linea di costa come si impilano le brocche su una mensola. Così il parallelepipedo celeste dell’ILVA è ancora laggiù, sdraiato sull’acqua, ed è a sua volta color dell’acqua. E alcuni dicono infatti che faccia male. Da Ponente a Manin ci sono i centri sociali: il Tdn, lo Zapata e il Buridda, che, mi hanno spiegato i miei colleghi, è anche il nome di una di una ricetta del polpo in umido.
A Levante invece vanno a ballare i genovesi quando si mettono la camicia e magari hanno voglia di scrivere la kappa di koala al Makò, al Sis, all’Albikokka. A Levante hanno piazzato anche il mare, così l’acqua, fuori dall’Acquario, è tutta raccolta di là e ci si può fare il bagno. Per usare gli stabilimenti in Corso Italia, però, bisogna pagare e alcuni non vorrebbero pagare sicché devono andare a Vernazzola ma a Vernazzola c’è il depuratore che i bambini dicono che è rotto e che c’è un tubo larghissimo e segreto, al largo, che restituisce al mare quel che sciacquiamo in bagno e, insomma, i più pavidi dicono sempre che l’acqua è meglio lasciarla dove sta, com’è naturale. Pure a Genova Nervi c’è il mare, però a Nervi si va per vedere la passeggiata, e dalla passeggiata si vede l’acqua ed è piacevolissimo, ma c’è uno scrigno déco che cade a pezzi ed era l’Hotel Marinella e ci piacerebbe usarlo in qualche modo, ma si chiama quasi come il mare e i genovesi hanno paura dell’acqua, quindi l’Hotel Marinella arrugginisce. A Genova Nervi si va anche ai parchi di Nervi, che sono grandi e pieni di cose che ci sono nei parchi. E poi c’è Wolfson che a Nervi ha lasciato la sua collezione di design anni Trenta e a Miami ha fondato l’Università, e infatti sia qui che a Miami ci sono le palme e a Genova Nervi c’è anche un viale delle Palme. A Nervi stavano anche gli slavi e alcuni erano famosi come Sholeim Aleichem, che però era uno scrittore ebreo, e la poetessa Maria Konopnicka, che invece non lo era, anche se le piacevano proprio tanto le notti a Carignano, dove vedeva il mare ma lo vedeva quand’era brutto tempo e allora la Navebus non poteva salpare.
Gli ebrei, d’altro canto, non stavano a Levante perché facevano le professioni del centro città e poi facevano il teatro, come il regista Fersen e lo scenografo Luzzati, che i genovesi pensano sia molto famoso. Ed è meno famoso il Premio Primo Levi che gli ebrei genovesi danno alle persone famose come Spielberg o Carlo Azeglio Ciampi e ha sede a Corvetto. Anche il signor Teglio non è molto famoso ma imbarcava gli ebrei di tutta Italia per spedirli in America a salvarsi, quando c’era la guerra, e alcuni dicono che anche Colombo era un ebreo ma di Colombo non parleremo. Ci sono ancora gli svizzeri di cui non ho detto niente benché sia un argomento gradevolissimo. Ai genovesi di origine elvetica piace vivere bene e si sa che, per vivere bene, servono divani e confetterie, com’è naturale, ed è quindi naturale che gli svizzeri abbiano aperto la Pasticceria Svizzera di Albaro e la Caffetteria Klainguti di Soziglia. I genovesi di origine elvetica hanno aperto anche la ditta di mobilio modernista Issel e la ditta Rayper che fornì la Regia Marina savoiarda. Al figlio del signor Rayper, poi, piaceva soprattutto dipingere e si sa che si finisce sempre per dipingere tutti insieme e allora si dipinse all’aria aperta e c’era il vento e la pietra fosca di Lavagna ed era l’Ottocento e i genovesi la chiamarono la Scuola dei Grigi, ma poi, a furia di spogliare e sottrarre, si dipinge sempre di meno ed era il Novecento e alla Galleria La Bertesca si tenne la prima mostra in Italia di Arte Povera. Quando è stato il Duemila, quindi, si è continuato a spogliare e sottrarre, com’è naturale, e Vanessa Beecroft si è diplomata all’Accademia Ligustica e ha portato in giro le modelle nude delle sue performance e poi le ha portate tanto in giro che ormai sono anche all’estero.
Per andare all’estero i genovesi possono partire dall’aeroporto GOA e per raggiungere l’aeroporto possono prendere il Volabus, che è un bus normale, così come la Navebus è una nave normale. Se vanno all’estero, i genovesi vanno per lo più a Mykonos e a Barcellona e vogliono andare anche a Londra oppure vanno tutti in blocco nei Balcani per non dire di essere andati a Mykonos. Se vanno a Mykonos, a volte, i genovesi sono delle ragazze e, se sono delle ragazze, vanno a volte a studiare alla Biblioteca Berio, con il Woolrich e con il casco rosa o rosso in un braccio, perché nell’altro braccio non portano la borsa bensì portano il bauletto. In questo caso i genovesi indossano orecchini grandi che loro chiamano anche etnici e allora vivono ad Albaro o, se sono andati a Mykonos una volta sola, da piccole, vivono a Castelletto. A Castelletto ci si va perché suona bene e perché dall’alto si può vedere qualcosa della città che fa sentire genovesi i genovesi mentre bevono la granita siciliana. Ma se proprio si vuole vedere tutto, allora bisogna andare a Righi, che sarebbe lontano ma c’è la Funicolare, che se i genovesi la prendono sanno di essere proprio genovesi anche senza la granita siciliana. E non è difficile che succeda, anche se la Cremagliera di Granarolo è tutta di legno e sembra più bella, mentre l’ascensore obliquo di Quezzi è di vetro e quindi sembra nuovo. C’è anche l’ascensore di corso Dogali che all’inizio è un trenino in un tunnel finché non lo tira su un gancio in un lungo imbuto e, quando infine si esce, si esce in cima alla collina ed è divertente ma dura solo qualche minuto. Dopo qualche minuto, però, si può entrare al Castello De Albertis o solo fare un giro al parco del Castello De Albertis. Ed è più rischioso di quanto si creda, ché, oltre al Castello De Albertis, ci sono il Castello Bruzzo e il Castello MacKenzie e il Castello Turke, che accerchiano il golfo dalle colline, e poi ancora il Forte Diamante, il Forte Sperone e i Forti Fratelli che accerchiano i castelli e, insomma, stanno tutti lassù in agguato a guardare l’acqua perché a volte, com’è naturale, l’acqua si alza e, se piove che c’è già l’acqua alta, allora si riempie tutto d’acqua e certe persone muoiono e dopo si ripete che i genovesi hanno paura dell’acqua, ma ne hanno più spesso paura a novembre e soprattutto, se proprio devono scegliere, a novembre sui lungotorrenti.
Sul ciglio del torrente i genovesi hanno già costruito la città dei morti che è Staglieno e ha più pinnacoli della città viva lungo tutta la Valbisagno. Ma anche la Valbisagno ha le sue cose e iniziano con la passeggiata dell’Acquario Storico, su cui si passeggia perché la paura deve essere abitata, e anche la Valbisagno deve essere abitata e dall’alto si vedono le bolle verderame delle cupole. Le cupole, come è normale, sono gonfie come palloncini e sono Santa Fede e Santa Zita e persino il condominio eclettico in via Monticelli 2. I veneziani, si sa, hanno anche loro un bouquet di palloncini verderame sulla laguna. Ma i veneziani ci vivono, sull’acqua, e non dico sul mare, ché sarebbe riduttivo, vivono proprio sull’acqua. I genovesi invece hanno paura dell’acqua e vivono su una città che sembra una città ma è una scogliera. E sulla scogliera hanno alzato piramidi di cemento armato che, nel Dopoguerra, alloggiassero tutti quelli che dovevano essere alloggiati, perché ci sono sempre quelli che devono essere alloggiati, ed è naturale così. Ma anch’essi vanno avvertiti che l’acqua è un pericolo spiacevole e che i draghi sono un guaio, dunque, per farla breve, i grandi progetti di residenze popolari sono stati chiamati Biscione a Marassi, Diga a Bolzaneto e Lavatrici a Voltri. Perché non si potesse dire che non era chiaro. Anche l’emblema dei genovesi, cioè il grifone, è chiaro, poiché persino gli scultori babilonesi sapevano che il grifone porta le bufere e le bufere si fanno con l’acqua, quindi anche il marinaio è un simbolo dei genovesi, ma dall’altro lato dello stadio. E quando i genovesi dicono che c’è il derby, intendono proprio che il grifone e il marinaio devono vedersela l’uno con l’altro e a volte piove, infatti, durante il derby. E, quando piove, lo stadio è rosso e rettangolare come una piscina e ha quattro torri come un castello. Si sa che i genovesi conoscono i castelli perché i castelli sulle scogliere servono a sorvegliare l’acqua quando magari, veleggiando all’orizzonte, arrivano i corsari o passano i saraceni ché c’era un tempo in cui i genovesi erano nemici dei saraceni e adesso, ancora, i genovesi hanno il costume di scendere al promontorio di capo Santa Chiara e, sulla palafitta, ordinano una birra e due mojito e bevono ai bagni Santa Chiara, su un pontile da cui si vede l’acqua, all’ombra del castello, perché i nemici è meglio averli sott’occhio e, si sa, anche questo è naturale.
Foto di Claudio Gastaldo