*Questa recensione è stata pubblicata su «Librobreve», il 13 dicembre 2015. La riproponiamo su La Balena Bianca per gentilezza dell’autore.
Ritengo che il modo migliore per dare notizia, almeno inizialmente, di Stesura di Manuel Micaletto (uscito a settembre per Prufrock spa, pp. 66, euro 12, immagini di copertina di Roberta Durante) sia riportare un brano dalla sezione centrale, quella che mi ha maggiormente colpito, per costruzione e scrittura. Il libro porta questo titolo e penso allora che si stendono molte cose, un colore, una crema o un testo. Pure un corpo abitato dal sonno è steso. La sezione di cui vi parlo si intitola creature del sonno (in ordine di grandezza):. Prima della lunga citazione, noto però questo: utilizzando un comunissimo strumento online per il conteggio delle parole in un testo e potendo contare anche sul file dell’impaginato del libro, troviamo che la parola “sonno” stacca enormemente qualsiasi altra in quest’opera. Siamo a oltre 180 ricorrenze, le quali distanziano davvero di molto un altro sostantivo frequente che è “buio” che si attesta sulla ventina, più o meno come “letto”, “corpo”, “occhi”. Interessante è la discreta presenza di sostantivi come “zanzare”, “risveglio”, “morti”, “balene”, vicini alla decina di casi.
1 . le balene
“gather’d in shoals immense, like floating islands”. il pezzo forte: e la taglia: le balene sono i pesi massimi del sonno. visitano le profondità, gli abissi, e similmente le vette. che le balene volino non è certo un mistero. che somiglino ai dirigibili, nemmeno. il ventre imbottito di elio, le atmosfere, l’alluminio: in una balena tutto, davvero tutto fa pensare a un dirigibile. perciò le balene galleggiano sulle nostre teste – ma come gabbiani, portate dal vento, senza muovere un muscolo. planano dalla ionosfera fino al nostro cielo, così basso, e vengono per noi. e noi a vederle piangiamo a dirotto, perché ci sembrano la pace. ma ciò che più ci intenerisce è la loro sbalorditiva somiglianza ai morti. e non mi riferisco solo alla coda, o alla pinne, ma a questa mania di spiaggiarsi, di finire il fiato. così, oggi, nessuno saprebbe distinguere il canto di una megattera da quello di un morto.
non è un caso, infatti, che gli antenati delle balene fossero mammiferi, e che venissero sulla terra per partorire. alcuni cuccioli scavarono tunnel fino al centro della terra, e col tempo divennero placche tettoniche. Altri restarono sulle rive, ed ora sono scogli. noi stessi siamo i discendenti dei primi cetacei, sfuggiti al riflusso delle acque, alle cieche mosse delle testuggini avviate al mare. non siamo enormi, è vero, ma siamo stanchi: e la stanchezza è un esito dell’enormità.
quel che importa delle balene: su di loro grava il silenzio immane del sangue. sono creature agoniche, stremate da una tenerezza terminale. tutto è vanità e un rincorrere il vento, certo, ma l’ago della bilancia trema ancora. e sui piatti non troviamo un soffio nel dio, ma un peso di balena, il tracollo delle acque. le sacche del diluvio pronte a esplodere, l’eredità dei nostri padri che precipita il perdono e ci scorta con la sua mole smisurata, ci tende la sua pinna caudale. il leviatano addomesticato. ed è vero, anche, che nessuno ha mai visto una balena, una balena intera, perché nessuno ha occhi abbastanza grandi. ma con gli occhi del sonno, gli occhi murati, capovolti come un calzino, allora sì. infine: è plausibile che le balene si radunino sulla luna con una certa frequenza, assieme a tutti gli altri oggetti. dall’oceano pacifico al mare della tranquillità, in un tonfo di sonno. e così spieghiamo le maree: quando le balene nuotano sulla luna le acque si ritirano, per poi alzarsi al loro ritorno. e si fanno carico del nostro sonno. il sonno di una balena è sempre spaiato, sacrificato ai polmoni, al respiro volontario. una veglia inesausta, lo stillicidio dei sommersi. poiché nel sonno non c’è peso. come nel mare, come sulla luna.
L’immersione nel sonno attraverso la scrittura sostiene queste prose non narrative che diventano invenzione a più riprese, ad ogni modulo o fase, ad ogni ingranare di ciclo. Non si tratta di un elogio del sonno o, peggio ancora, dei tanto incomprensibili elogi della lentezza. Nel caso di Micaletto vi è più verosimilmente la rifondazione di un devastato immaginario, cioè rifondazione di qualcosa che per definizione è legato alla veglia (quando non è addirittura “immaginario collettivo”). Non c’entra solo l’inconscio, per stavolta. Non più di tanto almeno. La cosa strana e debordante è che tutto avviene ripartendo dal sonno. E allora l’informatica, una cinetica da videogioco, le FAQ, il ctrl+5, il benchmark sono elementi primari di questa rifondazione che sventola un rinnovato ritmo circadiano, dello stile e della scrittura. Ecco, a me pare che questo libro pianti un tentativo meritevole d’attenzione e un’intima necessità di esserci proprio in questa rifondazione, perfettamente inserita in molte tradizioni novecentesche e al contempo perfettamente nuova, innovativa. L’autore, lui sì davvero giovane (è nato a Sanremo nel 1990), stende allora una scrittura che è primariamente interrogativo biologico sulla propria essenza, persino sulla propria utilità, all’altezza/bassezza dell’A.D. 2015. Insomma, non è più vero che chi dorme non piglia pesci.
(Chi desidera leggere Il piombo a specchio, opera prima di Micaletto, può andare qui. In chiusura invece il booktrailer di Stesura.)
Immagine: Piero Manzoni, Achrome, 1958.