Il primo pensiero che nasce in un lettore occidentale di fronte al titolo della raccolta Gli eroi sono gli eroi (Marcos y Marcos, 2015) di Mariagiorgia Ulbar, è un pensiero rivolto a qualcosa di greco. Gli eroi, come scrive Ulbar, sono gli eroi. Tutti sappiamo cos’è un eroe, non serve neanche parlarne: siamo tutti greci. Veniamo da lì, dal cavallo di Troia e dalla grotta di Polifemo. Con quella locuzione, lungi dall’essere tautologica, quanto piuttosto confidenziale, Ulbar sembra suggerire al lettore l’importanza maieutica di intraprendere un viaggio dentro se stesso e nelle cose, per rivelarle.
Il percorso di Ulbar attraverso le parole è in questo senso un viaggio che viene fatto per tutti; la missione è la Ricerca con la R maiuscola, è la ricerca dei significati: «è tutto un simbolo qui, | da qualunque parte io mi volga» scrive la poetessa, e non è un caso che una delle sezioni del libro si intitoli ‘La cercatrice’.
Se il poeta, come in Caproni, è un minatore che si avventura nelle faccende umane: «io cercavo l’oro dei difficili» scrive Ulbar «mi dissero che c’era un tesoro in casa tua». Così, nelle liriche seguenti il viaggio verso i fondali dell’umano si infittisce: «in un’altra città | erranti, dentro un preciso sentiero ma | erranti» poiché le pieghe che prende l’esistenza possono anche imbrogliare, scompaginare, e sempre «Un filo rosso manca che unisca me al resto: | traduco le stesse storie di sempre | le mie, le tue, dei popoli estinti | quelle dei rimanenti,». Vi è in questo sguardo delicato ai rimanenti una fiducia nell’antico e puro legame che dovrebbe tenerci uniti, nei secoli, noi umani in viaggio, perché infatti «il filo sta sottoterra, scorrente».
È in questo modo che, molto presto, nel viaggio della poetessa il dolore della visione muta in amore, un amore più forte per l’indagine, amore per l’essere (o essere stati) qui: hora heri (cit.). A volte anche a sua insaputa, Ulbar ci invita a uno sguardo più luminoso sulla vita, che poi è quello degli eroi, gli eroi che, coraggiosi, sognano sempre un mondo nuovo e risolto.
Ciò che rende questo libro un unicum nel contesto di una giovane società letteraria che va sempre più verso l’espressione di ‘puri fatti’, semplici ed espliciti, è proprio lo stile che Mariagiorgia Ulbar sceglie per raccontarci il suo sguardo sulla vita, uno sguardo che invita ad amare la complessità del reale, mai a rigettarla. Per Ulbar, in questo figlia di Mallarmé, la poesia non si fa con le idee, ma con le parole, e si sa che la prima qualità della parola poetica è la sua apertura verso un mondo sconosciuto, dove vige un continuo dialogo fra suono e senso.
Il cammino, quindi, è inverso: laddove una gran parte della lirica dei nostri giorni nasce dalla materia, cioè da un’esperienza sensibile, ‘di vita’, per trarre una riflessione più alta che trascenda l’esperienza, la poesia di Mariagiorgia Ulbar parte sempre dalla metafisica, dalla percezione cioè che vi sia un ‘di più’, nelle cose, un nucleo di senso che viva oltre i fatti e che non si mostri ai nostri occhi, se non attraverso una continua metamorfosi e riproposizione attraverso le parole. Il centro non è fermo: si muove.
In altre parole, la poesia di Mariagiorgia Ulbar suggerisce, ad ogni rilettura, un aspetto che prima non avevamo colto. Per questo ‘Gli eroi sono gli eroi’ non è mai un libro che inquieta, nemmeno quando è ossessionato dal tempo o quando affronta il tamburo della morte, perché al lettore rimane, ad ogni sua rilettura, il piacere della visione.
In questo senso Mariagiorgia Ulbar è una Cassandra, non tanto nelle vesti profetiche, ma in quelle di guardiana, visionaria e lucida allo contempo. Con la sua opera, infatti, la poetessa si fa custode di un luogo denso e oscuro, che per comodità di sintesi chiameremo anima; una qualità, questa, che si legge ancora in pochi autori: quelli che amano e hanno «sempre amato | un futuro inesprimibile e inespresso.»
Mariagiorgia Ulbar, Gli eroi sono gli eroi, Marcos y Marcos, 2015, pp. 105, € 15.