Ci sono un giocattolaio che vende solo giocattoli rotti, una ragazza che raggiunge l’orgasmo solo mentre guida, un trentaduenne che indossa solo pigiami, una star del cinema che non può fare il bagno altrimenti si scioglie come un dado vegetale, un tizio con due mani destre, una coppia di fatto uomo-cane con sei bellissimi figli, e tanti altri personaggi che tirano a campare facendo i conti con la realtà della fiction. Paginette veloci e un po’ inquietanti che si leggono nello spazio di pochi minuti, a volte in due o tre occhiate, mentre si assolve a qualche incombenza casalinga come mettere l’acqua sul fuoco o ritirare i panni dalla lavatrice. Questa è la materia de L’interpretazione dei sogni di Freud Astaire di Angelo Zabaglio aka Andrea Coffami, pubblicato dalla Gorilla Sapiens di Roma.
Ma che cosa raccontano questi personaggi? Innanzi tutto ci guardano negli occhi e si presentano, cosa rara in un racconto, dove di solito i personaggi sono troppo impegnati a rappresentare se stessi per rispettare le più elementari regole dell’educazione. E una volta che sono stati introdotti, o che lo hanno fatto da sé, questa comitiva di occhietti vispi fa semplicemente accomodare il lettore dentro un universo di piccoli casi paradossali in cui è regola arrangiarsi, tirare a campare e sperare che prima o poi la svolta arrivi per tutti. Incasinati da una disoccupazione che evidentemente intacca anche il mondo della fiction, iperpopolato di tipacci raccomandati, prepotenti e boriosi, i personaggi di Zabaglio/Coffami presentano il proprio curriculum vitae come se fossero ad un colloquio o a un provino, poi, quando il lettore ha cominciato ad assorbire l’onda d’urto di queste confidenze a volte molto delicate, raccattano le proprie cose ed escono dalla porta per rientrare, cambiato il costume, nella pagina successiva.
Ma non bisogna pensare ad una scrittura improvvisata o naïve. I personaggi dell’Interpretazione portano avanti una visione delle cose programmaticamente sovversiva, schierandosi contro tutta la cattiva affabulazione (film, libri, tv) cui siamo bovinamente soggetti da sempre e sempre di più. E dentro questi racconti, sparso un po’ alla rinfusa, si trova davvero di tutto, i Gormiti, De Niro, i manga giapponesi, l’amaretto di Saronno, Casa Vianello, l’anitra wc, il Bifidus, Forum su Rete 4, Barbie & Ken, Barbara D’Urso, Il trono di spade, i Phoo, Old Boy di Park Chan-wook, Licio Gelli, L’allegro chirurgo, Alessandro Cecchi Paone, The Ring, Tom Hanks, il David Letterman Show e naturalmente Hollywood, Hollywood: «Ieri sera mi sono rivisto il dvd di Io sono leggenda con Will Smith, quell’attore/rapper nero di colore che faceva Willy il principe di Bel-Air e che ora fa i film seri patriottici di Dio e di Muccino. Fatto è che la particolarità di questa pellicola, oltre al fatto che per tutto il film (o quasi) ci stanno solo Will Smith e il cane (la svolta vera sarebbe stata se il mondo l’avesse salvato il cane, ma i produttori americani possono avere tanti soldi, ma le idee proprio lasciamo stare) […]» (p. 73).
L’autore affonda mani e piedi in questa materia, che poi è quella di ogni sano teledipendente cresciuto dagli anni Ottanta in poi. E infatti lo vediamo intento a consultare uno scaffale ingombro di migliaia di dvd perché il fato gli sta suggerendo con una certa insistenza di rivedere The terminal per salvargli la vita, oppure aggirarsi di prima mattina in pigiama per il quartiere Alessandrino di Roma perché, dopo aver visto Io sono leggenda, gli è venuto il sospetto di essere l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della terra. Passare dalla finzione alla realtà è questione di poco, e così, nel suo manuale minimo per mitomani, Coffami si fa personaggio della sua penna, nascondendosi dietro le figurine esili e incazzate dei suoi personaggi, o invitando la storia ad entrare direttamente in casa sua.
Naturalmente il problema dei problemi è quello della scrittura, cioè di essere uno scrittore riconosciuto e, soprattutto, pagato. La convinzione a cui si arriva è che gli scrittori da film, riconosciuti e pagati per l’appunto, non esistano. Così come ci sono personaggi precari, non possono esserci che scrittori precari. E di precarietà e precariato questo libro è tutto intriso. Come una specie di grand-guignol del lavoro in nero (confrontare a tal proposito la bio finale in cui l’autore riempie una mezza paginetta di lavori che ha fatto).
Per il resto, gli argomenti di Zabaglio sono allegramente scandalosi, e abbastanza compiaciuti di esserlo. Dunque, meglio stare lontani da questo libro se non si vuole vedere coppie ubriache che si fanno sposare da preti improvvisati, pedo/zoo-filie e altri tipi di “amicizie” virtuose, commerci di peti e urine, etc. Per qualcuno la corte dei miracoli di questo libro potrebbe anche essere una piccola corte degli orrori, ma le nefandezze che qui si raccolgono hanno una propria grazia, e l’autore cerca di stimolare chi legge con delle provocazioni continuate da cui spesso nasce una meraviglia grottesca, da cartone animato.
Alle spalle di Freud Astaire, personaggio che scopre il fondo della natura umana singing in the rain, ci sono una serie di suggestioni letterarie e cinematografiche che Zabaglio rifonde al fuoco dell’ironia provocatoria e sarcastica, spacciando i feticci che affiorano dal suo pentolone come il personaggio portavoce del libro spaccia giocattoli rotti: «Sono Adalberto, ho quarantasei anni, un neo sul labbro superiore e vendo giocattoli rotti. Già belli rotti, che tanto i bambini non è che capiscono molto quando un giocattolo è rotto o funzionante. Se a Big Jim gli manca un braccio mica se ne accorgono. […] Magari lo fai diventare reduce della guerra al terrorismo. Vendo pure le braccia singole, le mani, le gambe senza piede e dico ai bimbi che sono i kamikaze dopo il botto. Sono giocattoli!»
Angelo Zabaglio aka Andrea Coffami, L’interpretazione dei sogni di Freud Astaire, Roma, Gorilla Sapiens, 2016, pp. 128, € 13.