Anche questo mese la ciurma consiglia la musica da non perdere, tra gli album che ci siamo fatti scappare ad ottobre e quelli che sono ritornati di moda dal lontano 2004, un’Alta Fedeltà che accontenta tutti i gusti.
Esben and the Witch – Older Terrors [Season of mist/2016] (Davide Saini)
Post rock? Dark folk? Goth pop? Shoegaze? Dream pop? Un’etichetta buona per il trio di Brighton non è ancora stata trovata, ma sta di fatto che loro continuano sulla loro strada, e che strada! La cosa sicura è che nella loro musica c’è del Metal, e di quello migliore, e non a caso l’ultimo album Older Terrors viene pubblicato dalla Season of Mist. Rispetto ai lavori precedenti l’arcana voce di Rachel Davies si accomoda, e ci fa accomodare, in pezzi dalla durata decisamente più lunga che si lasciano alle spalle alcune passate sensazioni elettroniche, a favore di uno sprofondare in pattern ipnotici e in una natura possente e crudele. Ognuna delle 4 canzoni che compongono Older Terrors è volutamente indipendente e autonoma; costituiscono un insieme ma ognuna racconta la sua storia e questo per andare incontro ai nuovi modi di ascoltare la musica. A chi è dedicato l’album? Beh, facile: To Edward Young’s Night Thoughts, John Martin’s apocalyptic visions, Caspar David Friedrich’s forays into the forest and to the sparks of light that glimmer in times of utter darkness.
Julia Jacklin – Don’t Let The Kids Win [Transgressive Records/2016] (Alessandra Scotto di Santolo)
Ricordate la vostra crisi esistenziale da quarto di secolo? Se non l’avete ancora vissuta o non vi torna in mente nulla, ascoltare il debutto di Julia Jacklin vi darà un’idea di cosa sto parlando. L’australiana intreccia abilmente elementi di rock alternativo e country-rock con ossessionanti vignette indie-folk. Malcontento, stato d’animo sottomesso e una maturità che va oltre i suoi venti-e-qualcosa anni, fanno da sottofondo ad un album con il carattere di una vita vissuta duramente. Il sottile spirito delle sue canzoni ci fanno pensare alla quasi-coetanea Courtney Barnett, ma la sua voce ricorda quella dell’inglese Laura Marling. Jacklin ha aspettato quasi un decennio per questo suo debutto e tutto il cinismo di una vita passata ad inseguire il suo sogno è sempre più chiaro, canzone dopo canzone.
Banks – The Altar [Harvest Records/2016] (Giacomo Raccis)
L’album è uscito alla fine di settembre, ma meritava una menzione: la californiana Jillian Rose Banks, per tutti Banks, conferma infatti le buone vibrazioni suscitate da Goddess (2014) e sforna un album compatto, dove l’R&B si mischia con l’elettronica, producendo ora suoni ovattati (Gemini Feed), ora invece melodie che richiamano l’indie degli XX (Lovesick). Per trovare però i bassi duri e la voce distorta dai sintetizzatori che già avevamo apprezzato in Begging for thread dovete puntare le vostre fiches su Trainwreck.
La Oreja de Van Gogh – El Pianeta imaginario [Sony Music Entertainment/2016] (Francesca Salamino)
Dopo cinque anni di attesa, il gruppo spagnolo La Oreja de Van Gogh torna sulle scene questo novembre con El Pianeta imaginario. Non è un caso: proprio quest’anno, il gruppo celebra i suoi venti anni di carriera e lo fa cercando un messaggio “sempre più potente” (come ha di recente dichiarato la band). Ogni traccia, infatti, affronta un tema diverso che però ha in comune con gli altri il fatto di essere stato ispirato dall’attualità sociale e politica della Spagna e dell’Europa: dall’Alzheimer alla violenza di genere, all’immigrazione. Negli ultimi album, il gruppo aveva sperimentato diversi generi musicali ma questa volta l’impressione è che si sia concesso un generale ritorno alla melodia del pop-rock, con incursioni dell’elettronica, anche se ogni canzone a una storia musicale a sé, come accade per il tema trattato.
Nada – Tutto l’amore che mi manca [On the road music factory/2016] (Massimo Cotugno)
La scena di The Young Pope, il cui il neo Papa Pio XIII ascolta in compagnia del ministro della Groenlandia una canzone di Nada intitolata Senza un perché è stato uno dei momenti più amati dai fan della serie, tanto che il pezzo è schizzato al secondo posto tra i singoli più scaricati da iTunes, dietro solo a Vasco Rossi. Ma facciamo un passo indietro.
È il 2004 quando Nada Malanima detta più semplicemente Nada torna in studio per un album che vede alla produzione nientemeno che John Parish – il fautore di tanti successi di Pj Harvey e Tracy Chapman – e la partecipazione di Cesare Basile. La presenza di musicisti abituati alla sperimentazione sonora, doveva subito far intendere che Tutto l’amore che mi manca non sarebbe stato l’ennesimo album di una tra le più schive signore della musica italiana, ma un’inaspettata prova di coraggio. Su quella voce dal timbro naif ma capace di convertire anche l’esponente più ortodosso del bel canto, Nada stava costruendo un ponte tra la musica leggera e il cosiddetto indie rock, fondendo orecchiabilità e ricerca sonora, facilità del ritornello e grande consapevolezza della parola cantata. Il risultato è stato il miglior disco indipendente di quell’anno e la (ri)consacrazione di una cantante al tempo stesso accessibile e del tutto sfuggente a una qualunque categorizzazione.
Per ascoltare la playlist completa di novembre, seguite La Balena Bianca su Spotify!