“La La Land” è l’ultimo film di Damian Chazelle, regista reduce dal grande successo di Whiplash. Ha il titolo che suona come un jingle scanzonato, sembra uno scioglilingua a pronunciarlo. Tradurlo è complesso: “Terra del la la”, o “Terra del doppio La”, o, con un nesso di senso, “Terra della musica”. E dell’arte forse insieme. Arte? O presunta arte? Sarebbe meglio parlare di successo perché è in fondo questo che conta a Los Angeles, città abbreviata in L.A. (ancora “la” quindi e non è un caso). Qui quelli che contano “venerano tutto, ma non danno importanza a niente”, come afferma Sebastian, il protagonista maschile del film; così i nostri protagonisti sopravvivono nella città delle star senza riuscire a dimostrare quello che valgono né diventare quello che desiderano. È la città del La La La, ma anche quella del Bla Bla Bla. Sarà una certa suggestione proveniente dal chiacchiericcio della Roma stigmatizzata nella Grande Bellezza, ma anche qui i “potenti” continuano a blaterare del niente e sembrano non avere orecchie né occhi per chi ha davvero qualcosa da dire: i giovani. Così, per fuggire da un mondo che li mastica e sputa, Mia (Emma Stone), aspirante attrice e Sebastian (Ryan Gosling), musicista jazz, ridotto a suonare musichette kitsch in ristoranti qualsiasi, si incontrano, si amano e si sostengono a vicenda per conquistare il loro posto nel mondo. Il genere cui questo film si avvicina maggiormente è la commedia musicale, ma quello che lascia addosso, a visione conclusa, è una sana e profonda tristezza. Quello che “La La Land” descrive, pur con squarci poetici, è il mondo reale: viviamo davvero in un microcosmo che ai giovani non lascia alcuno spazio. Questo film è malinconia pura. Dapprima quando dipinge la lotta ostinata per raggiungere il successo, e poi, a successo raggiunto, quando i protagonisti guardano indietro, al prezzo pagato per la realizzazione dei propri sogni.
Questo film, che ha già raccolto applausi e premi in alcuni Festival internazionali – a Venezia Emma Stone si è conquistata la Coppa Volpi; in patria la pellicola ha già portato a casa ben sette Golden Globe e le quattordici candidature agli Oscar fanno ben sperare – ha il grandissimo merito di riuscire a parlare ad un pubblico vario, con differenti aspettative e background. Se da una parte intrattiene, e a tratti commuove, raccontando una storia in cui non ci si può che immedesimare, dall’altra mostra una capacità tecnica eccellente: piani sequenza perfetti, l’uso della pellicola al posto del digitale, una fotografia bagnata dalla luce; tutto concorre a realizzare metacinema privo di retorica. Molte sono le citazioni dai grandi film del passato: i classici della commedia musicale in primis, ma anche film di genere diverso che hanno fatto la storia del cinema.
Tra tutti il riferimento principale pare essere il francese Jacques Demy che già Chazelle definisce sua fonte di ispirazione: il regista francese, dedicatosi a partire dagli anni ’60 ai musical, spazia da produzioni vivaci e colorate come Les Parapluies de Cherbourg ad altre più malinconiche come Josephine, traduzione italiana per Les Demoiselles de Rochefort, citata precisamente nel primo piano sequenza del film. In La La Land ritroviamo sia il vitalismo di Demy, sia la sua ossessione per la ricerca dell’inquadratura e del colore, sia una tristezza di fondo che riesce a rappresentare la vita vera, in un genere invece tendente al patinato. Tra gli altri riferimenti tutta la produzione Metro Goldwyn Mayer di Vincente Minelli e i musical di Fred Astaire e Ginger Rogers.
I due protagonisti sono all’altezza dei loro predecessori? Emma Stone si conferma un’attrice sorprendente: intensa e ironica insieme, buca lo schermo con il suo sorriso e le sue fragilità. Non posso dire lo stesso di Ryan Gosling, forse uno degli attori più sopravvalutati di Hollywood: mediocre e al limite della monoespressività in un film che, visto il genere, non lo permetterebbe.
La la land, pur non essendo perfetto – dopo la metà il ritmo e l’appeal del film calano per poi riprendersi sul finale e alcune scene risultano troppo kitsch anche per un musical – è un ottimo prodotto che ha riempito e continuerà a riempire le sale grazie alla sua capacità di divertire ed emozionare. Probabilmente anche agli Oscar farà incetta di premi, un po’ come The Artist nel 2012. Film coraggiosi, belli e ben girati, ma anche furbi nello strizzare l’occhio a quello che il pubblico di certo non potrà che apprezzare.