Ecco la seconda delle cinque interviste ai finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2017, che verrà assegnato nel Ridotto del Teatro Donizetti di Bergamo, sabato 29 aprile 2017. Questa volta vi proponiamo la chiacchierata fatta con Rossana Campo sul suo libro Dove troverete un altro padre come il mio (Ponte alle Grazie/2015)
Dove troverete un altro padre come il mio è un memoir, quindi un libro in cui ricostruisci il tuo rapporto con tuo padre. Solitamente si arriva a questo genere di libro alla fine di un percorso come un’autobiografia segnata da una tappa di maturità: è effettivamente così dopo i tanti romanzi che hai scritto in questi vent’anni di carriera? È una soglia, quest’ultimo libro?
Non voglio dire che sia una tappa di maturità, che son diventata matura o che sia arrivata ad un grado di maturazione come scrittrice e come donna, questo non tocca a me dirlo. Però sicuramente è stato un evento nella mia vita molto importante e il viaggio che ho fatto proprio per scrivere questo libro mi ha portato in alcune zone importanti per me come donna e come scrittrice. Quindi credo che sia un libro importante comunque.
In questo caso si capisce che il libro è il prodotto di un’elaborazione di un lutto, di una perdita ma proprio di un intero rapporto con la figura paterna. La scrittura è avvenuta alla fine di un’elaborazione interiore, personale e analitica o è stata uno strumento di questo percorso di elaborazione?
Entrambe le cose, perché quando ho deciso di fare un libro dai quaderni personali che avevo scritto, era il momento in cui mi sentivo evidentemente pronta per prendere la parola scritta, quindi per arrivare idealmente a dei lettori e a delle lettrici. Però ovviamente il processo di scrittura ha comportato il fare i conti con tutta un’altra serie di cose che sono uscite, che mi venivano incontro e che chiedevano la parola.
La scrittura – il modo di scrivere – mi sembra abbia un ruolo molto importante in questo libro. Sia la scrittura che in qualche modo ricalca la parlata dialettale nei momenti in cui parla la figura del padre e che in alcuni momenti parla anche Rossana, sia in altri casi una scrittura che cerca di imitare una sorta di parlato infantile. C’è una sorta di continua variazione di registri all’interno del libro. È stata una cosa spontanea nel momento in cui ti immedesimavi in diversi passaggi della tua vita? Veniva una lingua da ogni epoca oppure era una cosa studiata forse?
Con la scrittura penso che ci sia sempre un insieme di cose, cioè c’è un istinto che uno scrittore e una scrittrice ha, credo. Un istinto narrativo. Per cui sente quale può essere la lingua, quale può essere il ritmo, la parlata di un personaggio. E ovviamente parlando di mio padre, una figura come la sua, non potevo farlo parlare in un italiano perfetto o addirittura ricercato. Così pure nelle parti in cui c’è la me stessa bambina, mi è piaciuta farla parlare anche con le sgrammaticature e i salti di sintassi che avevo o che immagino adesso di aver avuto.
Però l’impressione è che questo parlato infantile rimanga anche quando a parlare è l’io adulto. Come se la posizione di figlia rimanesse anche al di là della scomparsa del padre, quando invece sarebbe richiesto, o abitualmente se ne prende il posto e quindi si diventa adulti.
Adesso non sono io a dirlo, ci sono vari secoli di psicologia e psicoanalisi a dirci che noi portiamo dentro stratificate tutte le età che siamo stati, tutte le nostre parti bambine, ragazzine, eccetera. Poi forse io, non avendo figli, sono rimasta più figlia di chi diventa madre o padre.
Qual è secondo te l’elemento che permetterebbe al tuo libro di vincere il Premio Bergamo?
Negli incontri che sto facendo sia per il Premio Bergamo che per altri motivi, mi colpisce molto che tanti uomini e tante donne ritrovano la loro parte di figli e ritrovano i loro genitori pur avendo delle storie diversissime dalla mia. Quindi forse l’elemento vincente è questo fare un po’ i conti con queste figure così importanti, nel dolore e nella sofferenza ma anche nell’amore.