Ecco la quarta delle cinque interviste ai finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2017, che verrà assegnato nel Ridotto del Teatro Donizetti di Bergamo, sabato 29 aprile 2017. Questa volta vi proponiamo la chiacchierata fatta con Nadia Terranova sul suo libro Gli anni al contrario (Einaudi 2015).
Un aspetto rilevante de Gli anni al contrario è la trattazione della storia, sia quella con la S maiuscola che quella personale dei due protagonisti, Aurora e Giovanni, dal momento che nelle sole 140 pagine del libro le vicende pubbliche e private procedono molto velocemente. L’intenzione è dunque quella di rappresentare una vicenda esemplare o una storia come tante inserita in quello specifico spaccato storico?
Quando ci si mette a scrivere si pensa sempre di raccontare una storia unica. È come quando si prova un grande dolore, il punto di vista personale lo assolutizza. Questa vicenda è unica perché è quella che è successa a me o quantomeno è ricaduta su di me. Chiaramente un sano realismo permette di identificare Giovanni e Aurora come due persone comuni il che non significa però che questa sia una vicenda completamente riproducibile per quanto tra i lettori del libro c’è stato chi ha detto di essere figlio di storie simili. Loro sono comuni, la loro vicenda unica.
Questi personaggi però sembrano incarnare ad un certo punto due tipologie completamente opposte: Giovanni fa sempre scelte sbagliate, l’estremismo politico, la lotta armata, la droga, mentre Aurora sembra sempre dalla parte del giusto dal momento che tenta di ricucire un rapporto che Giovanni tende invece a lacerare.
È così in apparenza, ma vorrei anche ribaltare questa visione. Giovanni fa anche delle scelte giuste nel senso che vive fino in fondo il marchio, il destino che si sente addosso, una cosa certamente autodistruttiva, ma che non tutti hanno il coraggio di fare, che lede se stesso, ma non fa male agli altri. Giovanni arriva a conoscere se stesso veramente fino in fondo, mentre Aurora, in apparenza sempre nel giusto, compiendo la scelta di salvaguardare figlia e lavoro perde il marito e questo è un rimorso sottile che nemmeno lei stessa riesce a confidarsi.
A questo punto una domanda sullo spazio del racconto. La Sicilia, la Messina della narrazione è un’ambientazione che emerge per pochi tratti; c’è il mare dello stretto che è diverso da quello delle vacanze, ma in generale questa è una Sicilia che non caratterizza l’azione. È una scelta voluta?
In realtà emerge in un senso che non siamo abituati a vedere. Certo, non è la Sicilia da cartolina, non ci sono mare e sole come risoluzione dei problemi, non c’è la “giornata che rischiara”. Non volevo nulla di tutto ciò nella narrazione; volevo una Sicilia che raccontasse la luce e il lutto di Bufalino, con un mare normale per chi lo vive, così integrato nella vita quotidiana da dimenticarsene. I siciliani spesso tendono ad andare al mare in luoghi e momenti assolutamente distaccati rispetto alla convenzionalità dell’Agosto vacanziero e guardano con superiorità i turisti e le pose da cartolina. Allo stesso tempo mancano le tracce della Sicilia gattopardesca, dove tutto è opulento, sfarzoso e immobile. È una Sicilia normale, anche e soprattutto perché Messina è una città assimilabile a qualunque altra, manca di un’identità forte come Palermo ad esempio, manca del gotico di Catania, insomma una città ignorata dagli stessi siciliani. La sua identità emerge dalle azioni dei suoi abitanti.
Oltre a Bufalino, che hai citato, ci sono altri autori siciliani a cui ti senti legata?
Il libro di Bufalino per me dirimente è stato Argo il cieco ovvero i sogni della memoria. Tutto Sciascia, in particolare gli interventi politici e i racconti, specialmente Il fuoco nel mare che dà una versione della leggenda di Colapesce simile a quella che compare nel mio romanzo, ma non sovrapponibile. Poi alcuni libri di Vincenzo Consolo e, da scrittore messinese, non si può ignorare Horcynus Orca. In realtà Messina è una città che può essere descritta solo attraverso lo Stretto è una città giovane, fantasma, che non esiste, mentre lo stretto da sempre è lì. In coda posso aggiungere tutti gli scrittori greci di Sicilia, intendendo la tradizione greca una tradizione completamente siciliana, molto più di quella araba ad esempio.
Come domanda finale, quella che poniamo a tutti i candidati: quale carattere potrebbe permettere a questo libro di vincere il premio?
La lingua. Perché potrei dire qualcosa sul contenuto, sulla verità o sull’anima del libro, di tutto ciò che quest’opera significa per me anche da un punto di vista autobiografico, ma questo non avrebbe alcuna pretesa di convincimento sugli altri. La lingua invece rappresenta a tutti gli effetti un piano oggettivo su cui ho lavorato.
La fotografia di copertina è di Rino Bianchi.