Poche ore ci separano dalla messa in onda del terzo capitolo della serie Twin Peaks, il più grande fenomeno mediatico dei primi anni Novanta e per molti l’opera che ha aperto la nuova era della serialità televisiva. Da quando, nell’ottobre del 2014, David Lynch annuncia in un tweet sibillino l’intenzione di dare un seguito alla sua opera più iconica, milioni di ex telespettatori, ormai divenuti internauti esigenti, hanno seguito con ansia le vicende di una produzione piena di colpi di scena, come l’iniziale dietrofront di Lynch dovuto ai limiti di budget imposti da Showtime, smentito poi dall’annuncio di un’imponente produzione di 18 episodi tutti diretti da Lynch, con un cast di primo livello. Migliaia di articoli, indiscrezioni, smentite hanno accompagnato l’analisi di ogni più piccolo dettaglio di Twin Peaks, senza però riuscire a sollevare nemmeno un lembo dell’enorme telo – rosso? – che ricopre la nuova creatura di Lynch. Di fronte alla nuova stagione, il pubblico è pronto ad assumere il consueto approccio dello spettatore medio lynchiano: un mix di grandi aspettative estetiche e un abbandono quasi religioso al mistero. Eppure Lynch si potrebbe considerare un regista quasi – certo, quasi – prevedibile, che si affida a un linguaggio visivo basato su elementi e concetti ricorrenti, quasi fosse una tavola periodica dei componenti di base.
Fuoco
La celebre Signora Ceppo, misterioso personaggio-oracolo di Twin Peaks interpretato dall’attrice Cathrine Coulson – scomparsa recentemente -, afferma che il fuoco è il diavolo, che si nasconde nel fumo come un codardo. Il fuoco è rappresentazione del Male: nel diario di Laura Palmer viene ritrovata la frase “Fuoco cammina con me”, che sarà anche il titolo del prequel, diretto sempre da Lynch, in cui vengono raccontati i sette giorni precedenti alla morte della giovane. Il fuoco è però anche segno di trasformazione e di rinascita, come nel caso del film Lost Highways del 1997, in cui Renée e Fred Madison assistono allo spettacolare incendio della casa in cui muore il loro acerrimo nemico. Ancora fuoco in Wild At Heart, in cui in un flashback viene mostrato un uomo in fiamme: è il padre della protagonista Lula (Laura Dern). Sarà il ricordo di quell’evento a spingere la ragazza ad abbandonare l’inquietante madre per inseguire il suo sogno d’amore con Sailor (Nicholas Cage).
Vento
Cold Wind Blowing è il titolo di una delle canzoni di David Lynch contenute nell’album The Big Dream (2013) e suona come una triste ballata anni 50 per cuori infranti. La musica e il sound design giocano un ruolo fondamentale nei film di Lynch, spesso curati in prima persona dal regista, che fin dai tempi di Eraserhead ama catturare suoni ambientali e manipolarli. È l’ululato del vento quello che udiamo nelle prime scene del suo primo lungometraggio. È il vento a sottolineare particolare sequenze, e ancora il vento è il mezzo grazie a cui i demoni di Twin Peaks si muovono, migrando da un corpo all’altro. L’elemento dell’aria è agente scatenante delle mutazioni dei personaggi. Suono, musica e immagini sembrano nascere contemporaneamente nella mente del regista, come descrive bene l’aneddoto riportato dal Guardian sulla genesi del tema musicale di Laura Palmer: “Make it like the wind, Angelo”.
Oscurità
Dopo Fuoco e Vento ci si aspetterebbe l’elemento acquatico o terrestre. Ma Lynch non è un filosofo presocratico e preferisce invece l’oscurità; non è un caso che nella sua produzione pittorica prevalga spesso il colore nero. “Il nero possiede profondità. È come una piccola apertura: ci si entra, e dato che l’oscurità è permanente, la mente si distende, e una quantità di cose che accadono lì dentro divengono manifeste. Ci si comincia a rendere contro di ciò di cui si ha paura – o di ciò che si ama, e diventa tutto come un sogno”. Lost Highway si apre sui fari di un’auto in corsa su una strada del tutto buia. Dale Cooper emerge dall’oscurità per accedere alla loggia nera, e nell’oscurità la limousine di Diane percorre la Mulholland Drive nell’omonimo film.
Epidermide
“Imparai che appena sotto la superficie c’è un altro mondo, e mondi ancora differenti se scavi più in profondità”. Fin dai primi cortometraggi Lynch rivela un’ossessione per tutto ciò che è irregolare e organico, in particolare per le bizzarrie dei corpi umani e la pelle che li riveste: mappa mutevole e pulsante. Non è un semplice desiderio di scatenare repulsione o terrore nello spettatore, bensì di esplorare i confini del consueto per mostrare le meraviglie dell’ignoto. Lynch prova una vera fascinazione per i corpi e la loro trasformazione: “Gli esseri umani sono come delle piccole fabbriche che generano una quantità di prodotti. Il concetto di qualcosa che cresce all’interno, tutti quei fluidi, quei ritmi e quelle mutazioni, e ancora quelle sostanze chimiche che in qualche modo catturano la vita, si dividono e si trasformano in qualcos’altro… è incredibile”.