Brian Friel, nato nel 1929 a Omagh, nella contea di Tyrone in Irlanda del Nord, è «l’autore teatrale più importante e più rappresentato nel mondo di lingua inglese degli ultimi quarant’anni». Nonostante ciò, in Italia è pressoché sconosciuto e le sue opere tradotte sono oggi di difficile reperibilità. La pubblicazione quest’anno, per Marcos y Marcos, della raccolta di racconti Tutto in ordine e al suo posto è per questo di grande importanza. Il primo avvicinamento di Friel alla letteratura non è infatti legato al teatro ma alla forma narrativa della short story. Pubblicati prima su diverse riviste, tra cui le americane «New Yorker» e «Saturday Evening Post», i racconti di Friel sono stati in seguito riuniti in un unico volume dal titolo The Saucer of Larks, nel 1962, e in una seconda edizione definitiva nel 1966, intitolata The Gold in the Sea. È a questi testi che Daniele Benati ha dedicato il suo lavoro di traduzione e di curatela. Si tratta di un’opera prima, un laboratorio di personaggi e situazioni su cui Friel ha sviluppato la sua carriera drammatica successiva; ma i dieci racconti che abbiamo ora la possibilità di leggere hanno la forza di una poetica compiuta, in grado di imporsi nella memoria del lettore come solo la vera letteratura sa fare.
La barca si muoveva sul lago a una velocità costante. In certi momenti sembrava che fosse inghiottita dall’oscurità e subito dopo veniva ritrovata, esposta, bloccata dal fascio di luce proiettato da un fanale; poi si perdeva di nuovo e di nuovo veniva ritrovata. Pian piano, senza variazioni, continuò a riapparire e a scomparire in modo esasperante fino a che i momenti in cui essa svaniva nell’oscurità cominciarono a sembrare infinitamente lunghi, e quelli in cui era visibile parevano soltanto brevi flash. Ma l’alternanza di luce e ombra era regolare – i veicoli si trovavano alla stessa distanza l’uno dall’altro – e presto gli occhi della gente impararono a riposarsi quando la barca veniva a fondersi con l’oscurità, mentre nei tratti in cui essa attraversava un fascio di luce la divoravano, notavano la nuova posizione dei remi, l’inclinazione della schiena di McElwee e le spalle tese, un po’ curve, del rabdomante. Nessuno parlava, nessuno osava farlo. Una parola alla persona vicina, una sbirciatina all’orologio, un’occhiata all’espressione di Nelly, e si poteva perder di vista la posizione della barca.
Il rabdomante trova il corpo di Arthur Doherty, che viene condotto a riva. L’atto di riportare a galla il cadavere si accompagna allo svelamento del segreto che il defunto portava con sé, nascosto dalla cura delle apparenze della moglie Nelly.
Realtà e immaginazione sono nei racconti di Friel i protagonisti di una lotta infinita, che ha come esito il costante rimodellarsi dell’identità di una terra, l’Irlanda, che sembra essere fatta per produrre storie. A volte essa si presenta come una «brulla campagna […] senza vita e stretta nella morsa del gelo», un luogo inospitale che suscita un desiderio di fuga frustrato, come avviene nei racconti L’oro in fondo al mare, I raccoglitori di patate e Gli Illusionisti; altre il luogo in cui specchiarsi per ritrovare se stessi, come nel racconto Fra le rovine; altre ancora come la terra in cui lasciarsi incantare dalla meraviglia di una natura incontaminata, così come è descritta nello splendido racconto La valle delle allodole:
A settecento metri dalla punta del promontorio, il sentiero scendeva a precipizio in una minuscola valle, un piattino di erba verde contornato da dune di sabbia giallastra, mentre il promontorio terminava in una collina alta e smussata che rompeva il vento dell’Atlantico. L’impeto del vento continuò per un po’ a risuonare nelle loro orecchie dopo che furono entrati nella valle, e questo li portò a rivolgersi ancora l’uno all’altro ad alta voce. Poi si resero conto del silenzio e, non appena ne furono zittiti, udirono le allodole: non un paio, né una dozzina o una ventina, ma centinaia di allodole, tutte invisibili nella calura azzurra del cielo, come un ombrello di musica aperto su quel piccolissimo mondo.
Costretti in questo paesaggio come i prigionieri di un incantesimo, i personaggi di Friel sono quelli che Benati definisce, citando un altro scrittore irlandese, Frank O’Connor, una submerged population group, una fascia sommersa di popolazione. Ma in loro non vi è mai una totale sottomissione al peso degli eventi. Nonostante non possano o non siano in grado di cambiare il loro destino con un atto di volontà, essi non sono mai degli arresi, sempre in cerca come sono di una rivincita anche piccola sulla vita:
Nel romanzo – scrive O’Connor – almeno un personaggio deve rappresentare in qualche modo il lettore – il Ragazzo selvaggio, il Ribelle, il Sognatore, l’Idealista incompreso – e tale identificazione conduce a una sorta di normalizzazione, di rappacificazione col mondo; ma non così nella short story, con quelle “sue figure di fuorilegge che vagano ai margini della società.
È in questa tensione costante, in questa messa in scena di una ribellione quotidiana che si riconosce la grandezza dei racconti dello scrittore irlandese. Senza mai addentrarsi nella sfera psicologica, lasciando al cesello dei fatti minimi e dei gesti minuziosamente descritti il compito di svelare l’interiorità dei personaggi, Brian Friel riesce a descrivere la complessità della natura umana.
Tutto in ordine e al suo posto è un capolavoro di letteratura comica, in cui il gioco pericoloso tra riso e angoscia trova un suo perfetto equilibrio. Si spera che a questa raccolta, pubblicata grazie al sostegno di Literature Ireland, segua un nuovo interesse verso questo autore dimenticato del Novecento, magari con una nuova traduzione delle sue opere teatrali.
Foto di copertina: Luigi Ghirri, Viaggio in Italia